Era bastato poco, davvero poco, perché la notizia che si stava svolgendo il processo a Sirius Black si diffondesse a macchia d’olio. Parlando con Shira, la segretaria del Dipartimento degli Auror, Frank aveva innescato una reazione a catena e ben presto tutti gli Auror in servizio erano a conoscenza della novità. Molti di loro avevano amici e conoscenti in altre sezioni del Ministero, così le voci cominciarono a rimbalzare anche agli altri piani.

Intanto alcuni giornalisti avevano iniziato a gironzolare nell’Atrium con aria indifferente, nella speranza di cogliere qualche informazione, informazioni che non tardarono ad arrivare. I dipendenti del Ministero sapevano essere molto chiacchieroni all’occorrenza.

Sara, dopo aver lanciato il sasso, era tornata con Frank fuori dall’aula del tribunale ad attendere il verdetto del Winzengamot e da un angolo osservava il corridoio popolarsi di curiosi. C’erano un sacco di persone che Sara conosceva, anche solo di vista, ma anche molte che non conosceva. Una giornalista, che era stata una sua compagna di scuola, le fece un cenno di saluto che lei ricambiò.

Tra le persone che cominciavano ad aggirarsi davanti alla porta dietro cui il Winzengamot stava prendendo la sua decisione, Kingsley Shakelbolt svettava con la sua mole. Il suo interesse per il caso era comprensibile considerando che se ne era occupato lui per quasi due anni.

Sara si avvicinò all’Auror e, quando gli fu di fronte, lo salutò con una vigorosa stretta di mano.

-          E così sembra che le abbia rubato il lavoro – disse Sara guardandolo di sottecchi.

-          Direi che ha fatto un lavoro molto migliore del mio. Ha fatto in una settimana quello che io non sono riuscito a fare in due anni – rispose Kingsley con la sua voce calma e profonda che, anche in quell’occasione, non tradiva alcuna emozione.

La donna aveva ben poco da rispondere, così decise di non dire nulla e Shakelbolt non proseguì la conversazione. Dopo qualche istante comparve anche la zazzera rosa di Tonks. La ragazza si guardò intorno qualche istante e quando vide Sara e Kingsley l’uno accanto all’altro si voltò di scatto come per non farsi  sorprendere a osservarli.

Quell’atteggiamento stupì Sara e l’occhiata frettolosa che Kingsley lanciò a Tonks lo stupì ancora di più. Per un attimo si sentì incastrata in un qualche complotto, ma poi si convinse che era frutto della sua immaginazione. Stava diventando paranoica.

Il tempo scorreva con una lentezza esasperante. I minuti sembravano durare ore e le ore giorni. Da quando era diventata un’Auror, raramente aveva trascorso dei momenti così. Non le capitava quasi mai di restare con le mani in mano senza fare nulla e aveva perso l’abitudine di aspettare.

L’ultima volta che le era successo di sentirsi così incredibilmente impotente era stato quando aveva diciassette anni. Lily e James erano stati uccisi da qualche settimana, Sirius era stato arrestato, Harry ormai viveva con gli zii e mentre il mondo magico ancora festeggiava la caduta di Voldemort, Sara osservava il suo mondo cadere in frantumi.

Questo turbinio di eventi l’aveva sconvolta al punto che l’unica cosa che riusciva a fare era restare immobile ad aspettare che qualcosa o qualcuno facesse qualcosa di sensato della sua vita. Era dicembre, Natale si avvicinava e il mondo sembrava schifosamente felice. Sara non era a Hogwarts, non era riuscita a rimanerci, non dopo quello che era successo. Silente era stato comprensivo. L’aveva lasciata partire e le aveva anche concesso la possibilità di ritornare, se avesse cambiato idea, in fondo era il suo ultimo anno, sarebbe bastato un piccolo sforzo per arrivare in fondo e conseguire il M.A.G.O. Sara però non aveva più energie da spendere, per nulla.

Il giorno in cui i giornali avevano titolato la caduta di Voldemort, la morte dei Potter e l’arresto di Sirius Black era passata appena una settimana dall’ultimo incontro di Sara e Sirius. Era stata una delle settimane più terribili che Sara ricordasse di aver vissuto e mai avrebbe potuto credere che le cose sarebbero peggiorate a tal punto.

Dopo quattro giorni dalla tragedia, Madama Chips le aveva permesso di lasciare l’infermeria. Rebecca era rimasta con lei per tutto il tempo, però Sara non riusciva a dire una parola, non riusciva a mangiare, non riusciva a pensare. Solo il fatto di dover respirare la impegnava fino a sfinirla.

Lo stesso giorno in cui era uscita dall’infermeria, Remus era andato a trovarla a scuola. Aveva l’aria distrutta quasi quanto lei. Entrambi avevano perso tutto in pochi istanti e Sara sentiva che Remus era l’unica persona al mondo che avrebbe potuto capire cosa provava. Chiese a Silente di poter andare via dalla scuola per un po’ e si trasferì a casa di Remus, a Londra.

Dopo tre settimane era ancora lì. Appollaiata sul davanzale della stanza degli ospiti che Remus le aveva riservato, passava le giornate a guardare la strada sottostante. Osservava i passanti fare cose normalissime, ritirare la posta, andare a fare la spesa, accompagnare i figli a scuola, e provava un distacco estremo, come se lei fosse ormai tagliata fuori da quella vita.

Parlava sempre poco e mangiava ancora meno. Remus usciva la mattina per andare a lavorare, rientrava nel tardo pomeriggio e passava tutta la sera con Sara. A volte cercava di farla parlare, a volte la cercava di riscuoterla dal suo torpore, altre volte restavano semplicemente in silenzio a guardare entrambi fuori dalla finestra.

-          Ciao – salutò Remus comparendo sulla porta.

Era ormai buio, ma Sara non aveva acceso la lampada e l’unica luce che entrava nella stanza era quella dei lampioni della strada.

-          Ciao – rispose Sara senza voltarsi.

La ragazza scese dal davanzale e si sedette sul letto a gambe incrociate. Remus entrò nella stanza e fece lo stesso, sistemandosi davanti a lei la guardò negli occhi. Sara non riusciva a sostenere il suo sguardo, così si voltò nuovamente verso la finestra. Si sentiva in colpa per come stava trattando Remus, ma non poteva farci niente. O non voleva farci niente?

-          Scendi un po’ questa sera? – chiese il ragazzo speranzoso – Sono tre giorni che non esci da questa stanza.

-          Non ho ragioni per uscire da qui – rispose Sara in tono piatto senza smettere di guardare la finestra.

-          Sara… pensi di rimanere qui a crogiolarti nel dolore all’infinito? – chiese Remus con uno sbuffo – Non ti dimenticare che hai ancora una vita, non sprecarla così.

-          Non sono sicura di volerla questa vita – replicò lei come se stesse parlando del vicino di casa o del tempo.

-          Non dire idiozie! – esclamò Remus alzandosi di scatto – Lily e James hanno dato la loro vita per la nostra salvezza! Il minimo che puoi fare è onorarli non buttando al vento il tuo tempo!

Remus aveva quasi urlato. Uscì dalla stanza sbattendo la porta e Sara scoppiò in singhiozzi incontrollati.

Era tutto così assurdo. Fino a un mese prima era la ragazza più felice del mondo, innamorata, quasi diplomata. E ora non era più niente. Era un guscio prima svuotato completamente e poi riempito di dolore. Non riusciva a pensare ad altro che a James e Lily. James e Lily che si erano sposati da due anni, James e Lily che avevano appena avuto un bambino, James e Lily che avevano migliaia di progetti per il futuro. Non poteva credere che non li avrebbe visti mai più, che non avrebbe più passato una serata da loro, che non avrebbe più ricevuto una lettera di Lily che le raccontava i progressi di Harry nel camminare e nel parlare.

E poi pensava a Sirius, a ogni ora del giorno e della notte. Pensare a lui era un incubo, ma per quanto orrendo non ci sapeva rinunciare. Continuava a rivivere nella mente tutta la loro storia: quando si erano conosciuti a Hogwarts, tutte le litigate nei corridoi e in Sala Comune, il matrimonio di Lily e James, le gite in moto, le chiacchierate. Riviveva ogni dettaglio, ogni conversazione cercando dei segni, degli indizi che potessero chiarire quello che era successo. Sara non capiva, non riusciva a crederci! Il ragazzo di cui era innamorata non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Come poteva aver ucciso Peter e tutte quelle persone? E come poteva lei essersi ingannata a tal punto su di lui?

Neppure Remus credeva nella sua innocenza… e se non ci credeva Remus come poteva crederci lei.

Remus. Povero Remus. Si era fatto carico del dolore di Sara oltre che del suo. Faceva di tutto per aiutarla e lei lo trattava così. Era solo una ragazzina egoista e viziata.

Passò la serata e la notte a rigirarsi nel letto, a pensare, a piangere, a pensare ancora e a piangere ancora e ancora e ancora. Alla fine il suo corpo ebbe la meglio sulla mente e la precipitò in un sonno agitato e popolato di incubi.

La mattina seguente però si svegliò piena di buoni propositi. Tese le orecchie per sentire la porta chiudersi alle spalle di Remus e, appena fu sicura che se ne fosse andato, uscì dalla sua stanza e scese al piano di sotto.

La casa di Remus era costituita da quattro stanze: al piano terra c’erano la cucina e il salotto, mentre al piano di sopra c’erano due stanze da letto e un bagno. Non era grande, ma poteva essere accogliente. Evidentemente però, negli ultimi tempi, Remus non aveva avuto molto tempo per tenerla in ordine.

Erano appena le sette del mattino ma Sara si sentiva piena di energie, come non lo era da tempo. In uno sportello della cucina trovò alcuni detersivi, si procurò degli stracci e iniziò a pulire. Cominciò dalla cucina stessa: tolse la polvere, pulì i pensili e le mensole una ad una, riuscì a togliere le macchie di calcare dal lavello e disinfettò il frigorifero, pulì il pavimento e i vetri, staccò le tendine logore e le mise a lavare nella vasca da bagno al piano di sopra.

Dopo la cucina attaccò il salotto: spolverò, svuotò e riordinò ogni cassetto, ogni ripiano della libreria, ogni sportello. Spostò il divano e le due poltrone in corridoio e pulì a fondo il pavimento e il caminetto.

Quando ebbe finito con il piano terra era ora di pranzo e, per la prima volta da giorni, aveva fame. In cucina però non c’era quasi nulla da mangiare. Così la ragazza salì al piano superiore, si vestì con qualcosa di diverso dalla tuta che portava ormai da una settimana e andò al supermercato più vicino. Le erano rimasti un po’ dei soldi Babbani che il padre le aveva mandato per Natale, così li spese tutti per fare provviste. Per fortuna il supermercato non era molto distante da casa di Remus, perché le quattro enormi buste con cui Sara rientrò erano davvero pesanti. Sistemò la spesa nei pensili e nel frigorifero, quindi si preparò un panino che consumò con gusto.

Appena terminato il pranzo, Sara attaccò il piano superiore e sottopose le stanze da letto e il bagno allo stesso trattamento che aveva riservato al piano di sotto. Quando ebbe finito era quasi l’ora in cui Remus rientrava dal lavoro, ma aveva ancora il tempo di fare una doccia e preparare la cena.

Nonostante tutto, Sara era una discreta cuoca e, quando Remus entrò a casa sua, la trovò pervasa dall’invitante profumino di ragù e pollo arrosto con patate al forno.

-          Che stai facendo? – domandò perplesso affacciandosi in cucina.

-          Ho preparato la cena – rispose la ragazza semplicemente mentre estraeva le patate dal forno.

-          Hai anche fatto le pulizie! – esclamò il ragazzo passando un dito su una mensola che trovò miracolosamente priva di polvere – Grazie!

Sara lo fissò intensamente, poi disse:

-          Grazie a te.

Da quella sera le cose iniziarono a migliorare per entrambi. Quel dolore lancinante era sempre presente, ma entrambi stavano imparando a controllarlo. Ci sarebbe voluto tanto tempo e Sara avrebbe versato molte altre lacrime, ma quell’esperienza avrebbe creato tra lei e Remus un’amicizia che sarebbe durata a lungo.

Assorta in questi pensieri Sara quasi non si accorse di Percy Weasley affacciato alla porta dell’aula di tribunale che faceva segno a lei e a Parker di entrare.

La donna sentì le ginocchia tremarle in modo incontrollabile. Tutti i curiosi e i giornalisti che si erano raccolti si divisero in due ali ai lati del corridoio per lasciarli passare. Lei e Frank si guardarono per farsi coraggio. Era il momento della verità.

Lentamente si avviarono verso l’aula. Sara era divisa tra la voglia di sapere e la paura di sapere, ma era solo questione di attimi. Quando Weasley chiuse la porta alle loro spalle, il brusio che si era alzato al loro passaggio scomparve come per magia. L’unico rumore che si udiva erano i tacchi di Sara che picchiettavano il pavimento. I due si fermarono davanti al Winzengamot, si inchinarono e attesero, trepidanti, il verdetto.

Caramell aveva un’espressione che Sara non gli aveva mai visto prima, il volto grassoccio era chiazzato di rosso in più punti, la bocca era distorta da una piega a metà tra il maligno e il disgustato, gli occhi erano stretti a scrutare i due Auror davanti a lui.

Per qualche istante nessuno sembrò aver intenzione di parlare, poi una donna che reggeva sulle ginocchia una serie di fogli, prese la parola:

-          Ministro, vogliamo comunicare la decisione del Winzengamot? – suggerì.

-          Sì… ecco… Bè, glielo dica lei – disse infine Caramell apparentemente incapace di proseguire.

Sara spostò la sua attenzione sulla donna, che iniziò a leggere la dichiarazione stilata dal Winzengamot. Ad ogni parola il cuore di Sara accelerava i battiti e ogni parola erano una parola più vicini alla conclusione.

Finalmente avrebbero saputo.

Il verdetto.

*^*^*^*^*

A Grimmauld Place la tensione era palpabile. Quel giorno nessuno era riuscito a dedicarsi alle occupazioni abituali, né aveva osato lasciare la casa per timore di perdere notizie importanti. La cucina era molto più popolata del solito. Persino Mundugus era arrivato di prima mattina per avere notizie e non se ne era più andato; ora sedeva in un angolo, avvolto nel suo cappotto logoro, e di tanto in tanto sorseggiava un liquido non meglio identificato da una fiaschetta che teneva in una tasca.

James sedeva al lungo tavolo fingendo di leggere il giornale, ma senza concentrarsi molto sugli articoli; Remus era intento a riordinare i suoi conti annotando le entrate e le uscite su un quaderno piuttosto consunto, spesso però lanciava un’occhiata a Sirius come per accertarsi che non facesse nulla di avventato.

Ma cosa avrebbe mai potuto fare?

Lily non si sforzava neppure di dissimulare la sua ansia, allo stesso tempo però non smetteva di parlare con Sirius cercando di rincuorarlo. La signora Weasley si aggirava per la cucina alla ricerca di qualcos’altro da fare, ma aveva già spolverato e ripulito ogni superficie diverse volte. Sirius era sorpreso dall’ansia di Molly per le sue sorti: evidentemente la donna gli era meno ostile di quanto sembrasse.   

Sirius dal canto suo non era particolarmente agitato. Ormai era abituato all’idea di essere un latitante e se la sua condizione fosse rimasta la stessa non sarebbe stato particolarmente sorpreso. La cosa più importante era che adesso Sara sapeva la verità, sapeva che lui era innocente.

Sara.

Nei tredici anni che aveva trascorso ad Azkaban due pensieri gli avevano impedito di impazzire: sapere di essere innocente e la consapevolezza di tutto il dolore che aveva causato alle persone che amava di più al mondo. Nessuno di questi pensieri era felice e per questo i Dissennatori non erano riusciti a portarglieli via. Non era passato giorno senza che avesse ricordato il male che aveva fatto, al suo migliore amico e a sua moglie, al suo figlioccio e a Sara.

Non osava neppure immaginare cosa Sara avesse pensato di lui. Lei si era fidata, non gli aveva fatto troppe domande e si era accontentata di restare ad aspettarlo. Chissà cosa aveva provato quando aveva appreso della morte di Lily e James e del suo arresto.

Ogni volta che ci pensava, Sirius si sentiva stringere lo stomaco. Da quando era evaso aveva pensato più e più volte di andare a cercare Sara per raccontarle la verità, per dirle che lui non l’aveva abbandonata di proposito, che era stato incastrato. Ma come avrebbe potuto indurla a credergli? Così aveva rinunciato, ma questo non gli aveva impedito di pensare a Sara ogni giorno della sua vita, senza esclusione.  

La sua Sara.

Ma lei non era più la sua Sara, aveva la sua vita e probabilmente era fidanzata con qualcuno. Era uno sciocco a pensare di poter recuperare anche solo in parte il rapporto che aveva con lei. E pensare che aveva sprecato un sacco di tempo cercando di ignorarla e di soffocare il sentimento che stava nascendo per lei.

Quando lui, James, Remus e Peter avevano finito la scuola avevano giurato solennemente di non perdersi di vista e non era stato poi così difficile tener fede al giuramento. James e Lily avevano continuato ad uscire insieme, così anche la ragazza era entrata a far parte del gruppo. Anche l’amicizia tra Lily e Sara White era rimasta salda nonostante la distanza e durante le vacanze capitava che Sara uscisse con la loro compagnia.

Sirius aveva passato gli ultimi due anni a Hogwarts a cercare di tenersi alla larga da quella ragazza e ora se la trovava sempre tra i piedi. Non avrebbe saputo spiegare esattamente che cosa gli desse tanto fastidio della sua presenza, però lo metteva a disagio. Nei rari casi in cui incrociava lo sguardo di Sara si sentiva come se lei potesse vedere oltre quello che vedevano tutti gli altri e questo non gli piaceva affatto.

Era passato quasi un anno da quando avevano lasciato Hogwarts e quell’anno il compleanno di Lily cadeva nei giorni delle vacanze di Pasqua, per questo aveva deciso di dare una festa a casa sua. I genitori sarebbero andati qualche giorno in vacanza e la sorella di Lily, Petunia, si era appena sposata e non abitava più con i genitori. La casa dunque era a completa disposizione.

Per il suo diciottesimo compleanno la fidanzata di James aveva deciso di fare le cose in grande. Per i figli di Babbani era un compleanno importante ma Sirius non riusciva a capire che cosa ci fosse di così eclatante nel compiere diciotto anni. In ogni caso aveva risposto con entusiasmo all’invito. L’idea di una serata con i Malandrini, per di più in una casa dove non c’erano genitori a sorvegliare, era più che benvenuta.

Sirius arrivò leggermente in ritardo rispetto all’ora stabilita, atterrò dolcemente con la moto davanti a casa Evans e la parcheggiò in un punto in cui nessuno avrebbe potuto rigarla o rovinarla in alcun modo. Aveva comprato da poco la moto: se l’era regalata come premio per aver trovato il suo primo “lavoro serio”. Non era un granché come lavoro, era poco meno di un impiegato in una ditta che produceva manici di scopa; d’altro canto però era il lavoro in cui gli avevano accordato gli orari più flessibili e questo gli permetteva di lavorare anche per l’Ordine della Fenice. Albus Silente aveva coinvolto i Malandrini e Lily non appena avevano terminato gli studi e loro non si erano tirati indietro, nemmeno per un attimo.

L’idea della moto volante era piaciuta molto a James e Sirius sapeva che l’unica cosa che lo tratteneva dal comprarsene una pure lui era che mai e poi mai sarebbe voluto passare per quello che copia il suo migliore amico.

Mentre si avvicinava alla casa, Sirius sentì un gran vociare, soprattutto femminile, e musica ad alto volume; a quanto pareva gli invitati erano già arrivati in gran parte. Le amiche di Lily non erano niente di speciale ma erano sempre molto arrendevoli con Sirius.

Sì, la serata poteva essere molto divertente.

Attraversando il giardino per raggiungere la porta d’ingresso, Sirius passò davanti alla finestra della cucina. Uno sguardo casuale all’interno lo fece bloccare davanti ai vetri. Era Sara White quella? Che diavolo ci faceva lì? La risposta sorse semplicemente come era sorta la domanda: era amica di Lily ed era chiaro che l’avesse invitata al suo compleanno, per di più durante le vacanze. Ora Sirius non era più tanto certo che la serata sarebbe stata così divertente, la presenza della White poteva essere un problema.

Ma perché poi? Bastava che la ignorasse. O no?

Dando un’altra guardata attraverso la finestra, il ragazzo vide che Sara era intenta a farcire un vassoio di tramezzini mentre ballava una canzone dei Rolling Stones. Dopo qualche istante Lily la raggiunse e le ragazze cominciarono a ballare insieme ancheggiando e facendo piroette. Se la ridevano come matte e Sirius rifletté che non aveva mai visto Sara così scatenata e così sorridente. Nonostante fosse di ben cinque anni più giovane, non sfigurava affatto accanto a Lily e il suo sorriso non era poi male.

Questo pensiero colpì Sirius come uno schiaffo. Cosa diavolo gli veniva in mente?

Ad un tratto Lily guardò fuori, vide Sirius e lo salutò con la mano. Il ragazzo cercò di dissimulare l’imbarazzo fingendo di essere appena arrivato, non poteva certo ammettere di essere rimasto lì imbambolato a guardarle. Sara si voltò di scatto verso la finestra e Sirius la vide chiaramente irrigidirsi e ricominciare di fretta a occuparsi dei tramezzini.

Sirius si diresse deciso verso la porta di ingresso e sulla soglia trovò ad accoglierlo Lily accompagnata da James.

-          Ciao Sirius! – salutarono quasi all’unisono. Quei due erano sempre più inseparabili e sdolcinati.

-          Ciao ragazzi! Buon compleanno Lily – aggiunse porgendole un pacchetto fasciato in carta argentata.

-          Grazie! Non dovevi disturbarti – esclamò Lily introducendolo nell’ingresso – Allora di qua c’è da bere – disse indicando il salotto che si apriva sulla destra – mentre di qua c’è il cibo – dichiarò puntando il dito a sinistra verso la cucina – Il bagno è al piano di sopra. Divertiti! – concluse prima di tornare in cucina ad aiutare Sara.

Sirius rimase così solo con James. Insieme si trasferirono in salotto e si unirono a Remus e a Peter intenti ad aprire bottiglie dietro al lungo tavolo che fungeva da bar. L’ingresso di Sirius provocò un certo scompiglio tra le ragazze: alcune si voltarono imbarazzate, altre gli sorrisero ammiccanti e un paio accennarono un saluto.

-          Ecco la nostra star – sussurrò Remus quando l’ebbero raggiunto – Sempre un po’ in ritardo come i veri vip.

-          Smettila – si schernì Sirius, che però era evidentemente lusingato dalle attenzioni delle ragazze.

In breve tempo casa Evans si animò ancora di più. Arrivarono altri invitati, tra cui parecchi amici di James; il cibo circolava liberamente tra la cucina e il salotto, i cocktail e la birra andavano come acqua, la musica diventò progressivamente più scatenata con qualche lento, dedicato alle coppiette. Per tutta la serata Sirius vide Sara poco o niente. Quella ragazza si comportava in modo davvero strano: prima si scatenava a ballare in cucina e poi si riduceva a fare da tappezzeria. Le uniche volte in cui Sirius la vide stava parlando con Lily o con Remus.

Remus era il componente del gruppo con cui Sara aveva legato di più, quando uscivano tutti insieme parlavano spesso di scuola, di libri, di musica e anche quella sera sembrava non fare eccezione. Guardandoli chiacchierare Sirius provò l’impulso di unirsi alla conversazione, ma in quel momento stava ballando con una ragazza di nome Lisa e non poteva sganciarsi. E poi che cosa avrebbe potuto dire? Ogni volta che si rivolgeva a lei Sara diventava improvvisamente seria. Ma poi che cosa diavolo gli importava di quella ragazzina?

Terminata la canzone, il ragazzo colse l’occasione per allontanarsi. Sulle prime si diresse verso Remus, ma in quel momento si accorse che Sara non era più con lui. Con una scrollata di spalle cambiò direzione e uscì nel giardino a fumare una sigaretta.

Casa Evans si trovava in un sobborgo Babbano nei pressi di Londra, era una sorta di isola felice per chi non voleva vivere nel caos della città ma non voleva neppure allontanarsene troppo. Strade progettate a tavolino si incrociavano perpendicolarmente formando un reticolo. Ogni isolato comprendeva tre o quattro villette, con le pareti di colori vivaci, un garage ad un lato e un giardino più o meno curato tutt’intorno.

Il giardino degli Evans era tra i più curati, ma con quel pizzico di disordine studiato che non lo fa sembrare di plastica. Era la madre di Lily ad occuparsene e il suo gusto femminile si riconosceva nella disposizione dei fiori e negli arredi. Sotto il porticato c’era un dondolo bianco, due panchine di legno smaltato facevano ala al vialetto d’accesso e da un lato della casa c’era un gazebo di ferro battuto che ospitava le cene e le grigliate estive.

Fermo sulla porta, per prima cosa Sirius lanciò un’occhiata in direzione della sua moto per controllare che fosse tutto a posto, dopo di che si sistemò sul dondolo e accese l’agognata sigaretta. In casa faceva piuttosto caldo e il ragazzo trovò l’aria frizzante della sera molto piacevole.

Gustandosi il suo vizio aveva intenzione di non pensare affatto a Sara White, ma non aveva fatto in tempo a formulare questo proposito che la vide svoltare l’angolo della casa.

Quando si rese conto della sua presenza Sara si fermò di botto. Sirius notò un’espressione strana sul suo viso, sembrava un misto tra disappunto e divertimento.

-          Cosa fai qua fuori?

Sirius si pentì immediatamente del tono scocciato che aveva usato nel formulare quella domanda. Non era sua intenzione litigare con Sara, ma la sua bocca agiva prima che lui riuscisse a fermarla.

-          Niente – rispose lei sulla difensiva – Prendevo un po’ d’aria.

Pareva che nessuno dei due avesse molto da dire, ma Sara sembrava non aver intenzione di rientrare. Dava l’impressione di essere indecisa se dire qualcosa o meno e Sirius era curioso di sapere da cosa fosse causato quell’atteggiamento. Dopo qualche istante la ragazza prese fiato e, non senza un certo imbarazzo, disse:   

-          Mentre camminavo mi è capitato di sentire una conversazione molto interessante.

-          Che conversazione? – domandò il ragazzo ancor più incuriosito.

-          Bé se vuoi puoi sentire con le tue orecchie – replicò lei facendogli segno di seguirla.

Sirius si alzò dal dondolo e svoltò l’angolo della villa. Sara lo attendeva sotto una delle finestre del piano superiore e, con un dito premuto sulle labbra, gli fece segno di fare silenzio. Il ragazzo si avvicinò circospetto e man mano che si appropinquava sentì sempre più distintamente delle voci provenire da quella che doveva essere la finestra del bagno.

-          Certo che è proprio figo! – strillò una voce piuttosto acuta.

-          A chi lo dici – disse un’altra – tutte le volte che lo vedo le ginocchia mi diventano di burro.

-          E poi ha un sorriso – aggiunse una terza voce che Sirius riconobbe come quella di Lisa, la ragazza con cui aveva ballato poco prima – Sirius Black è decisamente il ragazzo più bello che abbia mai visto.

Sirius, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi puntati verso la finestra, abbassò lo sguardo verso Sara. La ragazza lo guardava lottando per non scoppiare a ridere e lui fu contento che la semioscurità nascondesse in parte la sua espressione. In parte era compiaciuto da quei commenti, ma in parte li trovava fastidiosi e inspiegabilmente trovava ancor più fastidioso che Sara li stesse ascoltando. Stava per andarsene quando la voce di una bionda che l’aveva salutato al suo ingresso espresse la sua opinione:

-          Vedrete se non riuscirò ad accalappiarlo! – esclamò in tono cospiratore – Non riuscirà a sfuggirmi ancora a lungo.

-          Non capisco perché ti accanisci tanto – disse ancora Lisa – E’ decisamente bello ma… c’è altro dietro la bellezza?

-          Io non mi accanisco… e poi non accetto di essere respinta. Da nessuno! – continuò la voce della bionda – Ricorrerò ad ogni mezzo, anche pozioni d’amore se sarà necessario.

A quel punto Sara era sul punto di scoppiare a ridere, così si allontanò di corsa tornando sotto il portico e Sirius la seguì.

-          Lo trovi divertente? – disse Sirius, che faticava a sua volta per non sghignazzare.

-          Un pochino sì… - ammise Sara senza smettere di ridacchiare.

-          Ora dovrò passare la serata a controllare che non mi manomettano cibo e bevande!

-          Almeno sei avvisato! – esclamò lei – Dovresti come minimo ringraziarmi.

Sirius fece finta di non aver sentito e continuò:

-          Ma tu guarda se, oltre che dai Mangiamorte, devo guardarmi le spalle anche dalle ragazze. E poi cosa vorrebbe dire quella! C’è molto altro dietro la bellezza.

Per quanto ci scherzasse quelle parole avevano colpito molto Sirius. Dava davvero quell’impressione di sé?

-          Davvero? – intervenne Sara strappandolo dai suoi pensieri – Dimostralo.

-          Che intendi dire? – chiese Sirius alla ragazza che si stava avviando per rientrare in casa.

-          Dimostra che c’è di più oltre a un bell’involucro. Per esempio smettendo di dare corda a queste oche.

Ora quella stessa ragazzina che aveva cercato di aprirgli gli occhi era diventata una donna e aveva il suo destino tra le mani. E lui, per l’ennesima volta, non poteva fare altro che aspettare.

La quiete del tutto apparente di Grimmauld Place fu rotta improvvisamente da un potente crack che si sentì provenire dall’ingresso, contemporaneamente il ritratto della signora Black prese a strillare a squarciagola. In cucina tutti erano balzati in piedi in attesa di notizie, solo Tonks poteva produrre quello scompiglio e il suo arrivo poteva significare solo Novità di quelle con la maiuscola. La ragazza percorse il corridoio fino alla cucina praticamente correndo. I passi risuonavano nella testa di Sirius allo stesso ritmo forsennato con cui il cuore gli martellava nel petto. Tonks entrò in cucina affannata e parlando così in fretta che nessuno riusciva a capire una parola. Ma l’esito del processo fu chiaro a tutti quando la ragazza si slanciò ad abbracciare Sirius e strillò:

-          Cugino sei libero! Libero! Libero! Libero! LIBERO!

Sirius si sciolse dall’abbraccio e la guardò incredulo, senza riuscire ad articolare una sillaba. L’intera stanza fu percorsa da un attimo di sconcerto, poi arrivò l’esplosione.

Sirius non ricordava un tale fragore dall’ultima volta in cui Grifondoro aveva vinto la Coppa del Quidditch. Tonks saltellava in preda ad un’allegria quasi isterica, Lily e Molly piangevano come due fontane, Mundugus festeggiò aprendo l’ennesima bottiglia, James e Remus andarono ad abbracciare Sirius.

Lui, dal canto suo, non riusciva ancora a credere all’enormità di quello che stava accadendo. Lo stordimento e la sorpresa però lasciarono ben presto spazio a una felicità mai provata prima.

Era libero!

Era stato scagionato!

Era finalmente padrone di vivere la sua vita!

Quasi senza accorgersene scoppiò in una risata fragorosa e liberatoria, rise così a lungo da farsi dolere i muscoli e da farsi venire le lacrime agli occhi.

Ancora non riusciva a crederci. Ma era convinto che presto si sarebbe abituato all’idea.

*^*^*^*^*

   

Sara aveva cercato di mantenere un contegno mentre si trovava davanti al Ministro e al Winzengamot, anche se né lei né Frank avevano potuto evitare che un enorme sorriso si allargasse sui loro volti. Avevano ringraziato compostamente per il tempo dedicato loro e per la fiducia accordata e si congedarono.

Quando erano usciti dall’aula, avevano superato in fretta i giornalisti, che immediatamente li avevano accerchiati, e si erano rifugiati in un corridoio deserto. Lì si erano guardati e come rispondendo a un ordine avevano cominciato a strillare e a saltellare esultando come matti.

Ce l’avevano fatta!

Li avevano convinti!

Avevano dichiarato Sirius Black innocente!

Sara era felice come una bambina. Ce l’aveva fatta. Era riuscita a raggiungere il suo scopo. Per prima cosa doveva andare a dirlo al Capo, poi doveva raccontarlo alla sua amica Rebecca, doveva sistemare gli aspetti burocratici e poi…

E poi?

Questo pensiero la fece vacillare per un momento. Che cosa avrebbe fatto dopo? Come sarebbe potuta tornare alla vita di tutti i giorni?

Ma poi decise che ci avrebbe pensato quando sarebbe stato il momento. Ora voleva solo godersi la sua felicità e il suo momento di gloria.

Il Capo aveva ostentato indifferenza per tutta la mattina ma, quando Sara arrivò nel Dipartimento degli Auror, lo trovò a passeggiare nervosamente avanti e indietro nel suo ufficio. L’uomo accolse la notizia del verdetto con un sorriso che Sara non gli aveva mai visto e con un sospiro di sollievo che sapeva di scampata condanna a morte. Anche la sua carriera era stata pericolosamente in bilico. Immediatamente il Capo acconsentì a scendere a parlare con i giornalisti; era sicuramente la persona più adatta: calmo, pacato, sempre misurato nelle parole. Sara avrebbe rischiato di farsi trascinare e dire più di quanto sarebbe stato opportuno. Così mentre il Capo assolveva ai suoi compiti istituzionali, Sara volò a cercare la sua amica Rebecca.

Ovunque andasse al Ministero era seguita da decine di sguardi. La notizia si era sparsa davvero in fretta e per una volta Sara non ne era infastidita ma compiaciuta. Tutti dovevano sapere cos’era accaduto, tutti dovevano sapere che Sirius Black era stato braccato e condannato ingiustamente. Tutti dovevano sapere la verità.

Quando infine riuscì a trovare la sua amica, non servirono parole. Bastò uno sguardo, Rebecca la conosceva troppo bene per non immaginare cosa stava passando. Si limitò ad abbracciarla e ad accordarle il suo pieno appoggio qualunque sarebbero state le sue scelte, da quel momento in avanti.

Il problema era che Sara non aveva nemmeno idea di quali fossero le sue possibilità. Tra quali opzioni doveva scegliere? Ancora non le era chiaro. Ma scoprirlo sarebbe stata solamente la prossima appassionante sfida.


 
Al Quartier Generale dell’Ordine della Fenice avevano festeggiato per tutta la notte e solo al mattino Sirius aveva potuto restare da solo per pensare. I suoi amici erano stati fantastici, lo avevano festeggiato e lo avevano fatto divertire per tutta la serata, senza accennare al fatto che la sua assoluzione era ancora in discussione. Ad un certo punto però la confusione aveva iniziato a dargli fastidio così, scusandosi con tutti, si era rifugiato nella sua stanza.

Grimmauld Place si trovava su un’altura e la casa dei Black era la casa più alta e imponente dell’isolato, per questo dalla sua finestra Sirius vedeva tutta Londra. Anche da ragazzo aveva passato lunghe ore appollaiato sul davanzale a immaginare di fuggire da quel posto tanto odiato. Ora però guardava la città con un sentimento diverso. Non aveva più bisogno di fuggire. Poteva andare e venire a suo piacimento. Era innocente e presto tutti lo avrebbero saputo. E tutto questo lo doveva a Sara.

Sara.

Strano a dirsi, non aveva pensato a lei per tutta la notte, la sua mente era stata troppo occupata a elaborare la notizia. Ma ora che era solo, nel silenzio, con il sole che cominciava a imporporare il cielo di Londra, i suoi pensieri erano tutti per Sara.

Chissà dov’era in quel momento. Cosa stava facendo? E soprattutto, a cosa stava pensando?

Una piccola parte del cuore di Sirius si cullava nella speranza che Sara stesse pensando a lui nello stesso modo in cui lui pensava a lei. Ma forse questo era chiedere troppo alla sorte. Più ci rifletteva, più capiva di essersi comportato male nei confronti di Sara. Non si era fidato abbastanza da dirle la verità e non osava immaginare quanto dolore dovesse averle causato con il suo comportamento. Ora che avrebbe riavuto la sua libertà, la cosa che desiderava di più al mondo era rivedere Sara.

Il ricordo del loro ultimo incontro però bastava a smorzare gli entusiasmi. Sicuramente Sara non avrebbe più voluto avere a che fare con lui.

Il giorno in cui Silente comunicò a Lily e James il contenuto della profezia di Sibilla Cooman, Sirius e Sara stavano insieme da più di due anni. Era la storia più lunga che Sirius avesse mai avuto ed era anche la più bella. Era stupito di se stesso, non credeva che sarebbe diventata una cosa così importante e profonda, né credeva di poter stare per così tanto tempo con la stessa ragazza senza sentire il bisogno di cambiare.

Con Sara era esattamente l’opposto di quello che era sempre stato. Per lui le ragazze erano un diversivo, piacevole, ma soltanto un diversivo. Lui aveva la sua vita e le ragazze erano un accessorio, qualcosa di secondario per cui lo spazio poteva esserci come non esserci. E quando lo spazio non c’era non si era mai fatto remore a troncare.

Sara non era un diversivo, Sara era diventata una delle componenti fondamentali della sua vita e ora erano altre cose a cedere il passo di fronte a lei. Le uniche persone che per Sirius erano altrettanto importanti erano i suoi amici, ma Sirius mai avrebbe immaginato che si sarebbe trovato a dover scegliere.

Dopo che Silente aveva dato loro la notizia, Lily e James si erano subito rivolti a Sirius per aver un consiglio.

-          Secondo te cosa dobbiamo fare? – domandò James seduto sul divano del salotto, con le mani affondate nei folti capelli corvini.

-          Dovete accettare il consiglio di Silente. Dovete mettervi sotto la protezione dell’Incanto Fidelius – rispose prontamente Sirius – Se me lo permetterete sarò io il vostro Custode Segreto – aggiunse poi.

Quasi non aveva dovuto pensarci. Era assolutamente naturale che fosse così. Lui era il migliore amico di James ed era il Padrino di Harry. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto proteggerli, era suo preciso dovere farlo, anche se questo avesse comportato il sacrificio della sua vita.

-          Sirius, non posso chiederti tanto! – protestò James – Non posso permettere che tu rischi la vita per proteggere noi.

-          E se non lo faccio io chi dovrebbe farlo? – chiese Sirius gravemente – Sono il Padrino di Harry, ho giurato di proteggerlo a qualunque costo. Io non ho famiglia, non ho niente da perdere.

-          E Sara? – domandò James ancora più gravemente – Cosa pensi di fare con lei?

Sirius aveva pensato subito a Sara, ma la sua decisione era stata immediata. Per quanto tenesse a Sara, non poteva tirarsi indietro. Non sarebbe più riuscito a guardarsi allo specchio se, nel momento di massimo bisogno, avesse voltato le spalle a James. Avrebbe trovato qualcosa da dire a Sara… anche se ancora non sapeva cosa.

James non aveva resistito molto alle insistenze e ben presto sia lui che Lily si erano convinti ad accettare che Sirius fosse il loro Custode Segreto.

Sara era a Hogwarts per l’anno scolastico e Sirius non l’avrebbe vista fino alla settimana successiva, quando era in programma la prima visita a Hogsmeade, per questa ragione ebbe diversi giorni per pensare a cosa raccontarle.

All’inizio aveva pensato di dirle la verità, ma in un secondo momento si era convinto che sapere che lui era il Custode Segreto dei Potter l’avrebbe messa in pericolo. Voldemort non si sarebbe fatto scrupolo di torturarla per avere informazioni o peggio avrebbe potuto rapirla per ricattarlo. A quel punto come avrebbe potuto scegliere?

Semplicemente non avrebbe potuto.

No, era meglio che lei non sapesse nulla. Qualcosa le avrebbe detto e, anche se sulle prime si sarebbe arrabbiata, una volta conclusa la faccenda avrebbe capito che lo aveva fatto per il suo bene.

Il giorno della gita a Hogsmeade, Sirius partì da Londra con un peso legato attorno al cuore. Era la prima volta in due anni in cui non era ansioso di arrivare da Sara. Ci aveva pensato migliaia di volte, ma non era ancora riuscito a trovare un modo per affrontare l’argomento.

Arrivato al villaggio parcheggiò la moto al solito posto e attese, appoggiato alla staccionata, in fondo al paese. Per un attimo sperò che Sara non arrivasse, poi si dette dello stupido. Non poteva fare il vigliacco, doveva avere il coraggio delle sue azioni… almeno con Sara.

Sara apparve dal fondo della via, raggiante come sempre. Quel giorno indossava un paio di pantaloni di velluto nero e una giacca di panno verde smeraldo. La ragazza andò verso di lui quasi correndo e, arrivata alla staccionata, gli buttò le braccia al collo.

-          Ciao! – salutò allegramente prima di dargli un caldo bacio sulle labbra.

-          Ciao – rispose Sirius cercando di avere il tono di sempre ma fallendo miseramente.

-          Sono contenta di vederti, non vedevo l’ora di andarmene da quella scuola. Allora, dove andiamo oggi?

Sirius non riusciva a sopportarlo, non poteva lasciare che lei si comportasse come sempre mentre lui doveva porre fine alla loro storia. Non era giusto, eppure non riusciva a costringersi a dire quello che doveva. Lui non voleva lasciarla.

-          Sirius ti senti bene? – chiese Sara accarezzandogli dolcemente un braccio – Sei pallido…

-          Sto bene – rispose Sirius – Andiamo.

E senza aggiungere altro la condusse fino alla moto. Nel giro di pochi attimi erano partiti. L’unico posto che a Sirius veniva in mente era il suo appartamento a Londra. Forse era crudele da parte sua portarla lì per dirle che non potevano più vedersi, la stava portando in un posto in cui lei sarebbe stata costretta a rimanere, senza avere la possibilità di dargli un ceffone e andarsene, perché comunque avrebbe dovuto farsi riaccompagnare a Hogwarts.

Mentre la moto sfrecciava verso Londra, Sirius avvertiva più che mai Sara che si stringeva a lui e la sua decisione vacillò. Forse poteva continuare a stare con lei, forse non era necessario lasciarla. Atterrando a Londra però Sirius capì che si stava illudendo. Non poteva avere tutto e aveva già scelto. La cosa fondamentale era proteggere James e la sua famiglia e avrebbe pagato fino in fondo il prezzo della sua scelta.   

Quando smontarono dalla moto, davanti al palazzo dove abitava Sirius, Sara domandò:

-          Vuoi restare a casa oggi? Per me va bene qualunque cosa, lo sai – aggiunse poi.

Sirius si sentiva come se lo avessero completamente svuotato, aveva la bocca asciutta e non sarebbe riuscito a parlare neppure se avesse avuto qualcosa di sensato da dire, così si limitò ad annuire.

Dio quant’era difficile.

Non aveva previsto che sarebbe stato così complicato, ma ora che aveva Sara davanti a sé gli mancava il coraggio per distruggere tutti i suoi sogni. I loro sogni.

Quando entrarono in casa, la ragazza andò a sistemarsi sul grande divano al centro del salotto. Sirius temporeggiò per un attimo nell’ingresso poi, prima che la risolutezza lo abbandonasse del tutto, andò a sedersi accanto a lei.

-          Sara… ti devo parlare – esordì con un tono che non avrebbe voluto che fosse così funereo.

-          Dimmi – lo incoraggiò lei aggrottando le sopraciglia. Cominciava anche lei ad apparire preoccupata.

-          E’ la cosa più difficile che io abbia mai dovuto fare…

-          Anche più difficile dell’esame della McGrannitt? – chiese Sara cercando di sdrammatizzare.

-          Sara ti prego – la interruppe Sirius – E’ una cosa seria.

-          Ok… mi devo spaventare? Stai male? E’ successo qualcosa a Lily, a Harry? – domandò la ragazza ora seria quanto lui.

-          No, no. Stanno tutti bene.

Sirius prese un respiro profondo, poi riprese a parlare.

-          Non esiste un modo facile per dirtelo. C’è una cosa che devo fare. E’ una cosa molto importante, ne va della vita di alcune persone però non posso dirti di più. E’ una cosa pericolosa e io non voglio che tu sia in coinvolta…

-          Aspetta, aspetta un momento! – lo interruppe Sara – Di cosa stai parlando? Non riesco a capire.

-          Sara ascoltami, io non ti posso dire cosa devo fare. Non posso perché metterei a rischio la missione e, cosa più importante, metterei a rischio te. Non voglio che tu sia in pericolo e meno cose sai meno rischi corri.

Sirius vide gli occhi di Sara indurirsi improvvisamente, non lo guardava a quel modo da quando la prendeva in giro a scuola, e questo fece sprofondare il suo morale ancora di più.

-          Sirius – iniziò lei alzandosi di scatto – mi hai sempre raccontato delle missioni che ti affidava Silente. Perché immagino che si tratti di una missione di Silente. E ora non puoi dirmi assolutamente nulla. Perché? Cosa mi stai nascondendo?

-          Non ti sto nascondendo niente – replicò Sirius stremato – Io non ti voglio mentire, potrei raccontarti una bugia e farti stare tranquilla per un po’, ma non ti voglio mentire. Allo stesso tempo non ti posso dire la verità, quindi preferisco non dirti niente. Ti chiedo solo di fidarti di me. E’ meglio che tu non sappia – concluse alzandosi a sua volta.

-          Come posso fidarmi di te se sei tu il primo a non fidarti di me! Hai paura che ti tradisca? Che mi faccia sfuggire qualcosa con qualcuno?

-          No, no! Non è così. Io so che tu manterresti il segreto ma non voglio che vengano a cercare te per arrivare a me! – rispose Sirius alzando la voce più di quanto non avesse voluto.

Sara si mise una mano sulla bocca e si voltò dando le spalle a Sirius. Lui si abbandonò nuovamente sul divano, si sentiva come se avesse corso una maratona, completamente privo di forze. Non avrebbe voluto che le cose prendessero quella piega, ma non esisteva un altro modo.

Sempre dando le spalle a Sirius, Sara si allontanò dal divano e raggiunse la finestra, appoggiò la fronte al vetro e rimase ferma immobile. Dopo qualche minuto o forse dopo ore si voltò. Sembrò soppesare le parole per un attimo, poi disse:

-          Stiamo insieme da più di due anni e in tutto questo tempo non mi hai mai dato motivo di dubitare di te. Spero, altrettanto, di non averti dato motivi per dubitare di me. Detto questo, mi pare di capire che non ho alternative. O accetto questa sottospecie di spiegazione oppure mi becco una simpatica bugia. Preferisco la sottospecie di spiegazione, anche se non mi soddisfa.

Sara aveva pronunciato l’intero discorso fissandosi le mani che teneva intrecciate. Sirius aveva l’impressione che se lo fosse studiato mentre guardava dalla finestra. Alzando lo sguardo verso di lei, Sirius non poté trattenere un mezzo sorriso. Era davvero una ragazza fantastica.

-          Ora – proseguì Sara, questa volta guardandolo negli occhi e andando a sedersi sul divano accanto a lui – vorrei sapere tutto questo che conseguenze avrà.

Questo era il momento che Sirius aveva temuto di più.

-          Non… non potremo vederci, per un po’. Almeno fino alla fine della missione – disse cercando di non avere un tono troppo triste.

Sara deglutì prima di rispondere.

-          E quanto pensi che durerà questa missione?

-          Questo non lo so, potrebbe durare a lungo… molto a lungo.

Quando Sirius vide Sara voltarsi nuovamente dall’altra parte fu preso da un panico inspiegabile. Scivolò sul divano avvicinandosi a lei e la cinse con le braccia. Quando lei si decise a voltarsi e nascose il viso nella sua spalla, Sirius vide che stava piangendo. Era la prima volta in più di due anni che vedeva Sara piangere.

-          Mi stai lasciando? – domandò Sara scostandosi leggermente.

-          Sara io non vorrei, ma lo faccio per il tuo bene…

-          Non raccontarmi idiozie! – strillò la ragazza alzandosi nuovamente – Non lo fai per il mio bene! Lo fai per non sentirti in colpa! Se non mi fidassi di te potrei anche pensare che stai solo cercando un modo per liberarti di me.

Sirius si alzò a sua volta, andò verso di lei e la prese per le spalle.

-          Io non sto cercando di liberarmi di te! Credi che non lo eviterei se potessi farlo? Non ho scelta! Devo fare questa cosa per potermi guardare ancora allo specchio senza farmi schifo!

Sara lo guardò con aria terrorizzata, mentre grosse lacrime calde le rotolavano sulle guance e Sirius si pentì di aver urlato. La strinse a sé con forza e lasciò che singhiozzasse con il volto affondato nel suo maglione. Mentre stavano lì, abbracciati, al centro della stanza, Sirius rifletté che quella avrebbe potuto essere l’ultima volta che la stringeva così e questo pensiero gli fece salire le lacrime agli occhi. Anche scavando a fondo nella memoria, Sirius non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva pianto.

-          D’accordo allora – disse lei infine – Se è così importante, fallo. Io ti aspetterò.

Cercarono di trascorrere il resto della giornata normalmente, come se non fosse cambiato nulla tra loro, ma per tutto il giorno non fecero altro che parlare della “missione” di Sirius e, considerando che lui non aveva intenzione di raccontare granché, finivano per ripetere sempre le stesse considerazioni. Alla fine arrivò il momento di separarsi.

Davanti ai cancelli di Hogwarts Sirius spense il motore della moto e aiutò Sara a scendere.

-          Bè – disse Sara con un sospiro – è ora che vada. Dammi tue notizie, se puoi.

-          Non so se ci riuscirò – rispose Sirius con una voce che non sembrava la sua.

Sara lo guardò esasperata, poi il suo sguardo si addolcì e disse:

-          Mi raccomando, fai attenzione.

-          Stai tranquilla.

-          Mi mancherai.

-          Anche tu.

Il loro ultimo bacio fu lunghissimo, interminabile e bagnato delle lacrime di entrambi. Nessuno dei due sembrava volersi staccare per primo. Sirius avrebbe voluto che quel momento si dilatasse all’infinito, ad un certo punto però si separarono.

Sirius fissò lo sguardo in quei profondi occhi castani, senza sapere che sarebbe stata l’ultima volta per molto, molto tempo. La ragazza si sforzò di sorridere poi, senza una parola, si voltò e corse verso il castello. Sirius rimase a guardarla, quando raggiunse il portone Sara si voltò un’ultima volta e gli mandò un bacio, soffiandolo dal palmo della mano.

Quando Sirius inforcò la moto e decollò, gli parve di lasciare un pezzo di anima davanti al cancello di Hogwarts.   

*^*^*^*^*

Era stata una delle nottate più lunghe della vita di Sara. Ormai erano oltre quarantotto ore che non dormiva, ma non le importava. Questo era più importante di ogni altra cosa al mondo e aveva perso talmente tante ore di sonno negli ultimi dieci anni che qualche ora in più non avrebbe fatto alcuna differenza.

Il momento che odiava di più delle udienze processuali era l’attesa, rimanere a fare anticamera la snervava incredibilmente e per scaricare la tensione passeggiava avanti e indietro davanti alla porta dell’aula, mordicchiandosi nervosamente le unghie. Mentre camminava i tacchi facevano risuonare il pavimento e le pareti di pietra del corridoio. Frank invece sembrava non essere in grado di reggersi in piedi; era seduto su una scomoda panca di legno allineata accanto alla parete, era pallido e visibilmente nervoso, quasi che fosse il suo primo processo, ma come biasimarlo? Questa era una cosa grossa. Se fossero riusciti a convincere il Winzengamot dell’innocenza di Sirius Black sarebbe stato un enorme successo, ma se avessero fallito probabilmente avrebbero perso il posto entrambi. Era quel genere di errori che al Ministero della Magia si pagavano molto cari.

A Sara pareva di aver vissuto gli ultimi quindici anni solo per arrivare a quel momento, a quell’attesa: dietro quella porta si sarebbe deciso tutto.

Lei e Frank avevano passato tutto il giorno precedente e tutta la notte barricati nell’ufficio di Sara a provare e riprovare i discorsi che avrebbero tenuto davanti all’assemblea. Si erano spremuti le meningi per trovare tutte le domande e le obbiezioni che avrebbero potuto fare loro e avevano dato una risposta ad ognuna. Non potevano essere più preparati di così, ma Sara ancora non credeva che fosse sufficiente. Tutto si riduceva alla fiducia che i membri del Winzengamot avrebbero avuto o meno nelle sue capacità e nel Winzengamot c’era anche Caramell.

Fu Percy Weasley a strappare Sara dalle sue riflessioni. Uscì con la sua aria pomposa ed arrogante ad annunciare che l’assemblea era pronta per l’udienza. Avrebbero ascoltato prima Sara e poi Frank, quindi il ragazzo doveva attendere all’esterno. Parker sembrò accogliere la notizia come un condannato a morte che vede prorogato il giorno dell’esecuzione.

Sara invece avvertì improvvisamente l’enormità di quello che avrebbe dovuto fare di lì a poco e fu convinta più che mai che non avrebbe dovuto accettare quel caso. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata, avvertì un lancinante vuoto allo stomaco e le mani presero a tremarle. Fissando le dita delle sue mani, tese di fronte a lei, Sara cercò di calmarsi e di non pensare a tutte le conseguenze che quell’udienza poteva avere.

Quando fu pronta le sue dita si strinsero in due pugni di ferro e Sara si voltò a guardare Percy Weasley con occhi di ghiaccio. Il ragazzo, messo a disagio da quell’occhiata, si voltò per rientrare nella stanza e Sara lo seguì.

L’aula era enorme e illuminata da un così grande numero di candele e fiaccole da sembrare quasi completamente bianca. Le pareti, con i mattoni a vista, erano spoglie ma gli scranni su cui sedevano i membri del Winzengamot erano eleganti e riccamente intagliati, ogni postazione era personalizzata in base al gusto e alle caratteristiche del suo occupante. Solamente una era vuota: quella che era appartenuta a Silente, sul cui schienale era scolpita una fenice nell’atto di risorgere dalle ceneri. Al centro, sullo scranno più ridondante e pacchiano, sedeva Cornelius Caramell, Ministro della Magia.

A Sara non sfuggì lo sguardo di disprezzo misto a compatimento che il Ministro le lanciò quando fece il suo ingresso, ma era troppo nervosa per arrabbiarsi. Cercando di apparire sicura, ma non presuntuosa, si fermò davanti all’assemblea e fece un piccolo inchino, come richiedeva il protocollo.

-          Buon giorno signorina White – esordì Caramell con tono mellifluo – Prego si accomodi – aggiunse indicandole una sedia al centro della stanza.  

Sara si voltò e gettò un’occhiata alla sedia. No, decisamente non poteva sostenere l’udienza seduta al centro dell’aula come una scolaretta.

-          Se permettete Ministro, signori, preferirei stare in piedi – rispose.

Il fugace attimo di confusione che colse sul volto di Caramell bastò a darle un po’ di coraggio. Il Ministro stava per rispondere quando un signore anziano dal volto gentile intervenne:

-          Come preferisce! Purché cominciamo, sono davvero curioso di sentire quello che ha da dirci.

Un mormorio di assenso seguì questo intervento e Sara indirizzò all’uomo un sorriso di gratitudine, sistemò i polsini della giacca dell’alta uniforme e iniziò a parlare.

-          Innanzi tutto vorrei ringraziarvi per l’estrema disponibilità con un così breve preavviso. Suppongo che tutti siate a conoscenza della questione su cui sono chiamata a deporre: la strage di Godric’s Hollow. In realtà l’incarico che mi era stato affidato era differente, lo scopo della mia indagine doveva essere quello di stabilire se esistesse o meno una connessione tra l’evasione di Sirius Black e quella dei dieci Mangiamorte, inoltre avrei dovuto cercare di scoprire qualcosa che potesse aiutarci a catturare Black. Con questa precisa intenzione ho preso in mano tutto il materiale disponibile riguardo alla strage di Godric’s Hollow. Volevo trovare qualcosa, qualche dettaglio che potesse indirizzarci verso un luogo o una persona legata a Black che potesse condurci a lui. Quello che ho trovato però è stato molto differente.

Come era accaduto nell’ufficio di Silente, quasi senza rendersene conto, Sara aveva cominciato a passeggiare avanti e indietro davanti all’assemblea. Accompagnava le parole gesticolando e facendo pause di estremo effetto. Nonostante l’agitazione, sembrava che l’arte oratoria non l’avesse abbandonata. Sara faceva attenzione a  non abbassare lo sguardo, ma allo stesso tempo cercava di non fissare troppo a lungo nessuno dei suoi attenti ascoltatori.

-          Già ad una prima lettura, il fascicolo sulla strage di Godric’s Hollow si è rivelato pieno di informazioni interessanti e apparentemente inascoltate. Riaprire quel caso non sarebbe stato nei miei compiti, ma a quel punto la mia curiosità si era risvegliata ed evitare di approfondire sarebbe stato impossibile.

A quel punto Sara iniziò ad illustrare le sue scoperte. Facendo ticchettare i tacchi sul pavimento si avvicinò ad un tavolo, addossato ad una parete, su cui aveva sistemato personalmente tutto quello di cui avrebbe avuto bisogno. Con un colpo di bacchetta sollevò il tavolo e lo depositò con un leggero tonfo davanti al Winzengamot.

-          Questi – proseguì sollevando alcuni fogli scritti fittamente – sono i rapporti degli Auror, dei Guaritori, dei Tiratori Scelti che la notte della strage ebbero modo di visionare la scena del delitto. Queste invece  - disse mostrando un plico di fotografie – sono le immagini scattate sulla scena dai fotografi ufficiali del Dipartimento. Da questi documenti emerge un quadro molto chiaro della scena e nessuna contraddizione. Proprio l’assenza di contraddizioni mi ha indotto a prendere in considerazione il primo indizio. Nel punto in cui fu rinvenuto il dito mozzato di Peter Minus nessuno, né i Tiratori, né gli Auror, né i Guaritori, hanno menzionato la presenza consistente di sangue. Certo potrebbe essere che i colleghi abbiano ritenuto superfluo parlarne, ma l’assenza di sangue è confermata senza ombra di dubbio dalle fotografie.

Per avvalorare le sue parole Sara si accostò al lungo tavolo che la separava dagli illustri maghi e streghe e vi depositò il plico di foto, invitando gli ascoltatori a passarsele per osservare con i loro occhi. Nel frattempo continuò a parlare.

Raccontò del suo stupore nel constatare che, nel punto in cui avrebbe dovuto essere saltata per aria una persona, non c’era più che qualche goccia di sangue. Descrisse le prove sperimentali che lei e Frank Parker avevano condotto in proposito, anche in questo caso mostrando le fotografie. Parlò dei suoi dubbi riguardo al taglio così netto del dito di Peter Minus. Raccontò ogni cosa, dando enfasi ad ogni dettaglio. Espose il profilo psicologico di Black, mostrò una copia del registro delle visite di Azkaban e presentò la copia del giornale che lo stesso Caramell non poteva negare di aver lasciato a Sirius Black.

Ormai Sara era entrata nel suo elemento e, ad ogni nuova informazione, Caramell diventava sempre più pallido. La maggior parte dei maghi e delle streghe invece seguiva il discorso con un rapimento tale che pareva che Sara stesse raccontando un romanzo. L’agitazione era scomparsa da un pezzo, Sara era quasi certa di avere in pugno la vittoria.

-          In base alle osservazioni effettuate da me e dal mio collega, Frank Parker – concluse dopo aver parlato per quasi un’ora – posso dunque affermare con un ragionevole grado di certezza che Sirius Black è innocente.

Il termine del discorso cadde nel silenzio più assoluto. Il Primo Ministro era pietrificato in una maschera di orrore, l’unica parte del suo corpo che pareva muoversi era una vena che gli pulsava visibilmente sulla tempia. I maghi e le streghe del Winzengamot erano altrettanto sconcertati, ma non tutti così evidentemente ostili.

Il primo a parlare fu il mago che aveva interrotto Caramell all’inizio.

-          Auror White! Ci ha dato veramente una bella gatta da pelare. Tutto quello che dice è molto interessante, ma se permette vorrei farle qualche domanda.

Ora cominciava la parte su cui Sara non aveva più il completo controllo: le domande. Cominciarono dalle domande di rito sulla sua professione: da quanto tempo lavora al Dipartimento degli Auror? Perché ha deciso di diventare Auror? Chi è il suo diretto superiore? Dove ha studiato? Perché ha scelto queste materie? Ha mai avuto problemi di salute, fisica o mentale? Ha mai sofferto di stress post traumatico in seguito a una missione affidatale dal Ministero?

Per queste domande Sara aveva risposte collaudate e precise, ma di lì a poco sarebbe venuto il difficile.

-          Credo che tutti i presenti siano d’accordo con me nell’affermare che la parte della sua spiegazione che ci convince meno sia quella a proposito dell’Incanto Fidelius – disse una donna seduta ad una estremità della fila – Come può affermare con certezza che i Potter avessero deciso all’ultimo momento di modificare i loro piani nominando Peter Minus loro Custode Segreto?

Sara si era aspettata questa domanda, ma non era certa di avere una risposta convincente. 

-          Questo non posso affermarlo con certezza, posso solo fare delle supposizioni. Sono però supposizioni fondate su dei fatti. Con certezza sappiamo che Sirius Black doveva essere il Custode Segreto dei Potter, lo sappiamo perché esiste una deposizione di Albus Silente a questo riguardo che risale a qualche giorno dalla scomparsa di Lily e James Potter. Ho ragione di credere che uno dei motivi per cui Sirius Black fu incarcerato senza processo e senza ulteriori indagini fu proprio questo. Si credeva che avesse tradito i Potter, che Minus l’avesse scoperto e che Black, in preda alla pazzia per la scomparsa di Voldemort, avesse ucciso Peter Minus e altri innocenti. Tutto questo non farebbe una piega se Peter Minus fosse morto davvero. Ma in base a quello che ho scoperto è chiaro che Minus non è morto, non in quel momento almeno. Dalle analisi effettuate sul dito sappiamo che aveva i mezzi per fuggire. Dalla fotografia sulla Gazzetta del Profeta possiamo supporre che all’epoca dell’evasione di Black fosse vivo.

Siamo certi che Peter Minus ha simulato la sua morte. Invece non possiamo dire con sicurezza se l’abbia fatto per paura di Black o per sfuggire alle sue colpe. Di sicuro però non avrebbe avuto bisogno di nascondersi così a lungo se fosse stata solo la paura a indurlo a fuggire. Una volta arrestato Sirius Black avrebbe potuto tornare allo scoperto, invece non l’ha fatto. Perché? Probabilmente perché non avrebbe potuto spiegare il suo ritorno agli amici di Lily e James Potter senza destare sospetti e non sarebbe potuto tornare dai Mangiamorte perché proprio per mano sua Colui che Non Deve Essere Nominato aveva trovato la sua fine.

-          Mi perdoni se mi permetto di smontare questo splendido castello di carte – intervenne il Ministro quando Sara ebbe risposto alla domanda – Ma come può essere sicura che il topo raffigurato nella fotografia della Gazzetta del Profeta sia Peter Minus? Potrebbe trattarsi di una coincidenza.

Sara lottò per mantenere l’autocontrollo e non schiaffeggiare il Primo Ministro. Per qualche istante l’immagine di lei che picchiava Caramell si impossessò della sua mente, ma riuscì a scacciare questo pensiero abbastanza rapidamente per rispondere:

-          Signor Ministro, personalmente credo poco nelle coincidenze e questa in particolare mi sembra una serie un po’ troppo estesa di coincidenze. E’ un caso che sul giornale che Black ha letto poco prima di evadere ci sia la foto di un topo a cui manca un dito? E’ un caso che quel topo sia scomparso dalla famiglia che lo aveva adottato pochi giorni dopo l’evasione di Black? E ancora è un caso che quel topo sia comparso in quella famiglia nello stesso periodo della strage di Godric’s Hollow? Inoltre mi permetta di osservare che non ho mai sentito di un topo tanto longevo.

Dopo questa risposta, la donna vide i membri del Winzengamot scambiarsi sguardi e frasi a mezza voce, alcuni addirittura annuivano con convinzione. Sara capì di aver colto nel segno quando Caramell la congedò, dicendole di fare entrare il suo collega. Evidentemente il Ministro si era accorto di non poterla mettere in difficoltà con le domande ed era ansioso di proseguire.

Sara si congedò un inchino, questa volta accompagnato da un sorriso, e si diresse con passo sicuro verso la porta dell’aula. Non appena uscì, Frank balzò in piedi come se la panca su cui era seduto l’avesse morso.

-          Com’è andata? – chiese in un sussurrò concitato.

-          Credo bene – rispose Sara con un sorrisetto di trionfo – Vai e colpisci! Non farti intimorire da Caramell, ho l’impressione che pochi siano dalla sua parte.

Sara si avvicinò a Frank, gli sistemò il colletto della giacca dell’uniforme e, con una pacca sulla schiena, lo spinse dentro l’aula. Ora non le restava che pregare che tutto filasse liscio e aspettare. Preparandosi all’attesa si abbandonò sulla panca; era un sollievo potersi sedere dopo così tanto tempo in piedi, inoltre i tacchi cominciavano a farle male.

In quel lugubre corridoio deserto il tempo scorreva con una lentezza esasperante. Sara pregò, rivisse mentalmente la sua deposizione, cercò di immaginare a che punto potesse essere quella di Frank, contò i mattoni del muro di fronte a lei, poi contò le piastrelle del pavimento. Quando stava per ricominciare da capo, la porta si aprì, lasciando uscire un Frank Parker esausto.

-          Racconta – lo invitò lei, facendogli segno di sedersi.

E il ragazzo raccontò, per filo e per segno, domande e risposte. Sara era ammirata per come Frank aveva sostenuto l’udienza. Sì, era quasi il momento che il ragazzo prendesse il volo e cominciasse a lavorare per conto suo.

-          Hai fatto un ottimo lavoro! – esclamò la donna al termine del racconto.

-          Grazie capo – rispose Parker sorridente.

Dopo qualche tempo in cui rimasero in silenzio, Sara decise di esprimere ad alta voce un’idea che le era venuta.

-          Frank, tu non trovi sia un peccato che nessuno sia a conoscenza di quello che sta accadendo? Ci siamo solo noi quaggiù, noi e il Winzengamot. Non trovo giusto che l’opinione pubblica debba essere privata di un così gustoso argomento di conversazione.

-          In effetti hai ragione – rincarò Parker che cominciava a capire dove volesse arrivare la donna – Mi piacerebbe conoscere anche l’opinione di altri in proposito.

-          Forse potremmo, così in via del tutto informale, diffondere la notizia che si sta svolgendo il processo a Sirius Black.

-          Improvvisamente – disse Frank alzandosi – sento il bisogno di andare ad offrire un caffè a Shira.

-          Mi sembra un’ottima idea – replicò Sara alzandosi a sua volta – Io invece credo che occuperò questo tempo coltivando vecchie amicizie.

Senza indugiare oltre i due Auror si separarono. Frank si diresse verso il Dipartimento; rivelare qualcosa a Shira, la segretaria del Dipartimento degli Auror, era come appendere manifesti per il Ministero. Sara invece andò alla voliera dei gufi che si trovava accanto al salone d’ingresso. Negli anni dell’Accademia si era fatta molti amici e alcuni di loro lavoravano nel giornalismo. Sarebbero bastate poche righe e Caramell avrebbe trovato una grossa sorpresa all’uscita dell’aula.

Sara era convinta che, a prescindere dall’esito dell’udienza, il mondo doveva sapere quello che era accaduto in realtà e se l’avessero licenziata per questo, sarebbe stato il suo ultimo grande atto da Auror Capo.


 
Per i lettori: ok, siamo agli sgoccioli. I tre capitoli che ho intenzione di pubblicare oggi sono gli ultimi tre che ho pronti. Dopo dovrete attendere qualche giorno che la mia mente metta insieme i prossimi capitoli e che le mie dita abbiano il tempo di scriverli al PC. Nel frattempo godete

Sara e Frank erano in laboratorio ormai da ore. Sara aveva raccolto campioni da ogni macchia di sangue sui vestiti di Sirius Black e ne aveva analizzato il DNA. La velocità delle apparecchiature magiche le aveva permesso di eseguire tutte le prove in poco tempo e nessun campione corrispondeva al patrimonio genetico di Peter Minus, questo significava che non c’era la minima traccia di Peter Minus addosso a Sirius. Quel sangue, come avevano ipotizzato inizialmente, doveva essere di Black.

Parker intanto aveva proseguito le analisi sul dito seguendo minuziosamente il protocollo e aggiornando Sara su ogni sua mossa. Rimaneva l’ultimo passo: le verifiche per gli incantesimi di trasfigurazione. Era il momento cruciale.

-          Ok, qui ho finito – disse Frank rompendo il silenzio – Mancano gli incantesimi di trasfigurazione.

-          Bene – disse Sara sforzandosi di sembrare distaccata – come hai intenzione di procedere?

Mentre Frank elencava le procedure, la donna trattenne il respiro. Al termine dell’elenco le enumerò mentalmente. Ok. Non mancava nulla. In quel modo avrebbe dovuto scoprire che Minus era un Animagus… ammesso che quegli incantesimi avessero effetto su un osso vecchio di quindici anni. Sara non riusciva più a restare in quella stanza, doveva uscire. Lasciò Frank alle prese con le analisi e si rintanò nel suo ufficio. Se avesse scoperto qualcosa, il ragazzo l’avrebbe avvertita immediatamente. Si sedette alla scrivania cercando di riordinare le idee ed elaborare la successiva linea d’azione. Non aveva molte prove a sostegno della sua tesi, ma doveva farsele bastare. Se non fossero state sufficienti per dimostrare l’innocenza di Sirius, Sara sperava per lo meno che bastassero a sollevare qualche dubbio. L’unico problema sarebbe stato superare le resistenze del Ministro: ammettere un errore di quelle proporzioni significava un bombardamento mediatico senza precedenti.

Mentre rifletteva, Frank si precipitò correndo nell’ufficio spalancando la porta:

-          Presto! Devi venire a vedere! E’… è incredibile! – strillò il ragazzo eccitatissimo.

-          Hai scoperto qualcosa? – chiese Sara alzandosi di scatto e cercando di trattenere un sorriso di sollievo.

-          Penso di si! Vieni, avanti!

Sara si precipitò in laboratorio. Lì Frank si posizionò dall’altro lato del tavolo rispetto al suo capo e puntò la bacchetta verso il dito, pronto a scagliare l’incantesimo.

Sara era talmente agitava che non riusciva a proferire parola, così gli fece un cenno d’assenso con la testa e dalla punta della bacchetta del ragazzo partì un fascio di luce blu e argento che andò a colpire quel che restava del dito di Peter Minus. Lo scheletro fu avvolto dalla luce azzurrina, quindi sembrò scomparire. In realtà non era affatto sparito, si era soltanto rimpicciolito assumendo dimensioni minuscole.

-          Che ne pensi? – domandò Frank con gli occhi accesi dal brivido della scoperta.

-          Tu che ne pensi? – disse di rimando Sara. Doveva stare molto attenta a sbilanciarsi in congetture, non poteva in alcun modo influenzare Frank.

-          Bè, chiaramente non è un osso umano e sono certo che non si tratta di un osso animale trasfigurato in umano, ma il contrario. Infatti se lasci passare un po’ di tempo torna alla forma umana originaria.

Mentre Parker diceva queste cose la stessa luce azzurrina avvolse le minuscole falangi riportandole alle dimensioni e alla forma precedente.

-          La cosa più probabile è che Minus fosse un Animagus – continuò il ragazzo parlando più in fretta del normale.

-          Direi che mi sembra l’unica spiegazione possibile – disse Sara con cautela.

-          Vediamo se il ragionamento fila – proseguì Parker che ormai sembrava aver preso gusto nella conduzione dell’indagine – Sappiamo che è improbabile che Black abbia ucciso Minus perché sulla scena e sui suoi vestiti c’era troppo poco sangue. Sappiamo che Black era o avrebbe dovuto essere il Custode Segreto dei Potter. La spiegazione più plausibile è che Minus abbia finto la sua morte tagliandosi il dito e trasformandosi per fuggire. Ma perché fuggire?

-          Avevamo ipotizzato due possibilità – intervenne Sara che a quel punto sentiva di dover contribuire – Minus, a conoscenza del tradimento di Black, si è finto morto ed è fuggito per paura. Oppure Minus si è finto morto e ha provocato la strage per coprire la sua fuga perché lui era in realtà il Custode Segreto dei Potter.

-          Però non avrebbe avuto senso nascondersi per tutto questo tempo se non era colpevole – osservò Frank – E’ più probabile che fosse lui il traditore...

Sara quasi non osava respirare, più idee Frank tirava fuori, minore sarebbe stato il suo intervento e se un giorno qualcuno avesse scoperto del suo legame con Sirius, questo sarebbe stato fondamentale in tribunale.

-          Questo però non si collega alla storia del giornale – aggiunse Parker ignaro di quello che stava passando per la mente di Sara – Continuiamo a non sapere quale sia stato l’input che ha spinto Black alla fuga.

In quel momento Sara si rese conto che Frank non avrebbe mai notato quel topolino sulla spalla del figlio di Arthur Weasley neppure se avesse sfogliato quel giornale per giorni interi, così decise che era venuto il momento di recitare. Occorreva un’interpretazione da Oscar, anche se non era mai stata molto brava a mentire.

-          Aspetta un momento! – esclamò come se avesse ricordato qualcosa di importante.

Schizzò verso l’ufficio e portò la copia della Gazzetta del Profeta sul tavolo del laboratorio. Cominciò a sfogliarlo freneticamente, come se stesse cercando qualcosa che non sapeva esattamente dove si trovasse, intanto pregava che Parker non si accorgesse che stava mentendo.

Quando ritenne di aver fatto abbastanza scena, spiegò il quotidiano alla pagina che ritraeva la famiglia Weasley.

-          Guarda! – esclamò indicando la fotografia – Questo sulla spalla del ragazzo non è un topo? – chiese la donna.

Il giovane si avvicinò la fotografia al naso e strizzò gli occhi per vedere meglio.

-          Oh mio Dio! – esclamò a sua volta – E’… è un topo… e… e gli manca un dito! – concluse quasi strillando – Credi che possa essere Minus? – chiese poi abbassando la voce.

-          Bé, perché no? Coincide tutto! Quello che abbiamo visto potrebbe essere benissimo essere il dito della zampa di un topo. Se davvero è Minus, sarebbe stato facile sparire da Godric’s Hollow senza dare minimamente nell’occhio.

Mentre Sara finalmente esprimeva ad alta voce tutto quello che aveva pensato quella mattina, Parker lesse rapidamente l’articolo che accompagnava la fotografia.

-          Ascolta – disse interrompendo le riflessioni della donna – qui dice che la famiglia si era presa una vacanza grazie al premio e che i ragazzi sarebbero tornati a Hogwarts il primo settembre. Tutti hanno sempre pensato che Black fosse diretto a Hogwarts per cercare Harry Potter… e se invece fosse andato a Hogwarts per cercare Minus dopo aver visto la foto?

-          Parker sei un genio! – strillò Sara al settimo cielo.

Aveva sperato con tutto il cuore che fosse Frank a scoprire che Minus era un Animagus, ma non avrebbe sperato tanto neppure nei suoi sogni più ottimistici. Ora avevano tutte le prove necessarie per sollevare un discreto polverone.

Sara lasciò a Frank il compito di scrivere un dettagliato rapporto sulle analisi e i test eseguiti. Lei invece aveva in mente un paio di verifiche che poteva effettuare in giornata.

Per prima cosa uscì dal Dipartimento degli Auror e si diresse con passo spedito verso l’ufficio di Arthur Weasley. Mentre bussava energicamente si augurò di trovare il signor Weasley da solo anche se sapeva che divideva il piccolo ufficio con un altro impiegato, un certo Perkins. Una voce gioviale dall’interno la invitò a entrare e Sara aprì la porta.

-          Buon giorno, scusi il disturbo – salutò la donna entrando.

Quel giorno sembrava girare tutto per il verso giusto. Nell’ufficio non c’era nessun’altro. Arthur sembrò lievemente sconcertato dalla sua visita, tanto che rischiò di scivolare dalla sua sedia.

-          Si sente bene? – domandò Sara chiudendosi la porta alle spalle.

-          Perfettamente – rispose Weasley invitandola con un gesto ad accomodarsi – Prego, mi dica cosa posso fare per lei?

-          Devo chiederle un’informazione… personale – disse Sara avvicinandosi alla scrivania ma restando in piedi – Uno dei suoi figli ha mai avuto un topo come animaletto?

Arthur Weasley impallidì visibilmente. Che il signor Weasley sapesse qualcosa?

-          Sì… sì mio figlio Percy ha avuto un topo di nome Crosta, che poi è passato a mio figlio Ronald. Ma perché me lo chiede? – rispose l’uomo in evidente imbarazzo.

-          Mi dispiace ma questo non posso dirglielo. Ancora una cosa – aggiunse Sara – come siete entrati in possesso del topo?

-          Lo abbiamo trovato che gironzolava per il giardino di casa – rispose Weasley.

-          Quando all’incirca? – incalzò Sara avida di informazioni.

-          Mio figlio Ron era nato da poco più di un anno e Percy aveva circa cinque anni. Quindi sono passati quindici anni più o meno. Ma non capisco…

-          E’ ancora con voi, Crosta? – continuò la donna senza dargli il tempo di concludere.

-          No, è… - e qui il signor Weasley esitò - …è fuggito, qualche anno fa.

Senza aggiungere altro Sara ringraziò e uscì dall’ufficio. Anche i tempi combaciavano perfettamente.

Ora c’era un’ultima cosa da fare. Sara a avvertì Frank che sarebbe stata fuori per il resto della giornata e si fiondò alla sua auto. Non aveva mai guidato così prima, teneva l’acceleratore premuto fino in fondo e aveva attivato tutti i dispositivi magici di cui la sua auto disponeva per andare più veloce, sgusciare meglio nel traffico e passare il più possibile inosservata. Quando partì dal Ministero era tarda mattinata, guidò per l’intero pomeriggio e arrivò a Hogwarts che ormai il sole era quasi completamente tramontato.

Sara lasciò l’auto al villaggio e raggiunse il castello a piedi. Mentre camminava riordinò mentalmente le idee. Aveva bisogno di parlare con Silente per avere conferma delle sue ipotesi. Ora anche quello che il Preside le aveva detto giorni addietro assumeva un senso nuovo. Quando lei aveva domandato se Sirius avesse tradito i Potter, Silente aveva risposto in modo ambiguo, probabilmente aveva sperato di darle un indizio.

Il pesante cancello, che si apriva sul viale di accesso di Hogwarts, si presentò davanti a Sara dopo una curva. Quel cancello le ricordò tutte le volte che Sirius l’aveva riaccompagnata a scuola dopo aver passato la giornata insieme.

Ma non era il momento di perdersi in sentimentalismi. Aveva ancora molto lavoro da fare.

Sara percorse il viale quasi correndo e arrivò davanti al portone quasi senza fiato. La donna rimase per un attimo ferma sui gradini di pietra per riprendere fiato. Nell’ingresso intanto parecchi ragazzi sciamavano in varie direzioni, verso la Sala Grande o verso i rispettivi dormitori, ma nessuno sembrò far caso a lei. Per entrare Sara attese un momento di calma, quindi si avventurò tra i corridoi per andare ad avvertire Gazza del suo arrivo e farsi annunciare a Silente.

Giunta davanti all’ufficio del custode, Sara bussò, prima delicatamente poi con più forza ma non ottenne alcuna risposta. Forse poteva attendere lì, oppure poteva andare direttamente da Silente. Mentre rifletteva sul da farsi, avvertì una presenza ai bordi del suo campo visivo e voltandosi vide Minerva McGrannitt avanzare verso di lei. Sulle prime sembrò che la professoressa non l’avesse riconosciuta, poi quando fu più vicina osservò meglio Sara e sbiancò.

Sara si domandò che cosa nel suo aspetto avesse l’effetto di far impallidire le persone. Prima il signor Weasley ora lei. Che accidenti avevano tutti? La professoressa si avvicinò a passo di carica e, quando fu davanti a lei, disse:

-          Desidera?

-          Buona sera, mi dispiace disturbare. Sono Sara White – esordì Sara.

-          So bene chi è lei. Che cosa ci fa qui? – domandò la McGrannitt nel suo tono più asciutto.

Sara aveva cercato di essere cortese il più possibile, ma visto l’atteggiamento decise di adeguarsi al tono e rispose seccamente:

-          Devo vedere il professor Silente – poi aggiunse – Subito.

Senza rispondere Minerva McGrannitt si voltò e si avviò lungo il corridoio. Sara intuì che doveva seguirla e allungò il passo per raggiungerla. Quando si trovarono davanti alla statua di pietra che introduceva negli appartamenti del Preside, la professoressa pronunciò la parola d’ordine e precedette Sara sulla scala a chiocciola. Una volta raggiunta la sommità, bussò piano e, quando ricevette un segnale dall’interno, aprì la porta.

-          Professor Silente, c’è la signorina White – annunciò utilizzando sempre lo stesso tono secco.

-          Prego, si accomodi signorina – disse Silente in un tono molto più cordiale.

Sara superò la McGrannitt che uscì dall’ufficio e si chiuse silenziosamente la porta alle spalle.

-          Buona sera Professore – salutò la donna stringendo la mano che il Preside le porgeva – Mi dispiace disturbarla ancora.

-          Non si preoccupi, è un piacere vederla – rispose Silente tornando a sedere sulla sua poltrona – Cosa posso fare per lei?

Sara fece un respiro profondo e cercò le parole per iniziare.

-          Da quando ho iniziato le indagini ho sempre avuto le sue parole che mi ronzavano in testa. Non riuscivo a capire che cosa avesse voluto dirmi, così mi sono spaccata la testa per cercare una soluzione. Quando ho preso in mano il fascicolo sulla strage di Godric’s Hollow non ho dovuto neppure scavare troppo a fondo per trovare le prime cose strane e in base a queste mi sono fatta un’idea. Visto che lei non fa più parte del Winzengamot – proseguì la donna – posso raccontarle quello che ho scoperto senza timore che annullino il processo.

-          Sarò ben felice di ascoltare le sue scoperte – disse Silente sistemandosi sulla sua sedia come se si preparasse ad ascoltare una storia interessante.

Sara cominciò a raccontare ogni cosa dall’inizio. Raccontò le sue scoperte in ordine cronologico, spiegando dettagliatamente il come e il quando. Alla fine riassunse la sua ipotesi su come dovevano essersi svolti i fatti.

Senza rendersene conto, mentre parlava si era alzata in piedi e aveva cominciato a camminare avanti e indietro davanti alla scrivania del Preside. Quando ebbe finito il racconto, il cielo fuori dalla finestra era scuro e punteggiato di stelle. Sara si fermò davanti a Silente e concluse:

-          Allora ho ragione oppure devo essere rinchiusa nel reparto per malattie mentali del San Mungo?

Silente le fece cenno di sedere, quindi si sistemò gli occhiali sul naso. C’era un sorriso lieve che gli attraversava il volto che Sara non riusciva a decifrare.

Era compiacimento o scherno?

Mentre parlava aveva cercato di mettere in primo piano l’Auror Capo e lasciare in disparte la donna, ma ora l’attesa del verdetto le faceva quasi mancare il fiato. Sara sapeva che dalla risposta di Silente sarebbe dipesa ogni cosa. Cosa avrebbe fatto se il Preside le avesse riso in faccia?

-          Le faccio i miei complimenti, signorina White – disse infine – Si è avvicinata talmente tanto alla verità dei fatti che non ho praticamente nulla da correggerle.

I polmoni di Sara ricominciarono a ricevere ossigeno e la sua testa si svuotò completamente. Non riusciva ad articolare nessun pensiero razionale. C’erano soltanto una serie di immagini sconnesse che le passavano davanti agli occhi ed erano talmente rapide che riusciva a coglierne solo qualche dettaglio, ma non il senso generale. Sapeva che avrebbe dovuto essere felice, perché aveva trovato la verità, aveva ragione e ora avrebbero dovuto crederle, ma non riusciva a provare altro che un sordo stordimento.

Ad un certo punto si rese conto che avrebbe dovuto dire qualcosa e qualcosa nel suo inconscio le fece ricordare che lei era una perfezionista.

-          Ha detto che non ha praticamente nulla da correggere nella mia teoria, però qualcosa c’è. Cosa ho sbagliato? – domandò Sara.

Il Preside ridacchiò impercettibilmente, poi rispose:

-          Lei mi ha detto che suppone che Sirius sia evaso da Azkaban per andare in cerca di Peter Minus e che, sapendo che era con un giovane mago, fosse venuto a Hogwarts a cercarlo. In realtà non è del tutto vero. Sirius era venuto a Hogwarts per proteggere Harry da Minus.

Sara rimase per un attimo interdetta. Poco a poco le parve che qualcuno le stringesse un pugno di ferro attorno allo stomaco.

Come aveva fatto a non pensarci! Harry era stata la vera e propria molla che aveva spinto Sirius a evadere. Non il desiderio di vendetta, ma la preoccupazione per il suo figlioccio.

Sara si vergognò di se stessa, come aveva potuto non ricordarsi dell’amore e della venerazione di Sirius per Harry. Ne avevano parlato spesso e ogni volta Sirius le aveva detto che avrebbe fatto qualunque cosa per Harry, sempre e in qualunque situazione.

Harry Potter era nato in piena notte, in un ospedale Babbano di una cittadina vicina a Godric’s Hollow. Sirius e Sara stavano insieme da circa un anno ed era stato l’anno più bello e intenso che lei avesse vissuto.

Quella notte Sara era nella sua stanza, a casa dei genitori, cercava invano di dormire dopo l’ennesima litigata con sua madre. L’argomento del momento era proprio Sirius. Naturalmente sua madre non sapeva che era un mago, né che aveva cinque anni più di lei, ma le continue uscite di Sara e la sua aria felice l’avevano insospettita e aveva capito che si trattava di un ragazzo. Messa alle strette Sara aveva dovuto confessare e sentire il nome del ragazzo della figlia aveva dato alla signora White un duro colpo. Non aveva idea di chi fosse e questo significava che non era il figlio di una delle famiglie altolocate di Londra, di conseguenza non poteva essere una buona compagnia. Sara era stufa di essere costretta a difendere ogni sua azione come se fosse sotto processo, ma con sua madre non c’erano alternative. Così per evitare una lite ogni volta che usciva di casa aveva cominciato a inventarsi scuse su scuse: la palestra, la piscina, lo studio a casa di un’amica, aveva persino raccontato che andava una volta a settimana dall’estetista. Di tanto in tanto però doveva dire la verità e allora erano dolori.

Stesa sul letto, con gli occhi piantati sul soffitto e le braccia incrociate dietro la testa, Sara stava architettando la scusa da raccontare il giorno successivo, quando ad un tratto sentì qualcosa picchiettare alla finestra. Si alzò di scatto dal letto e si avvicinò circospetta per dare un’occhiata. Qualcuno tirava dei sassolini contro il vetro… e poteva essere soltanto una persona.

Senza neppure guardare giù, Sara si precipitò all’armadio e si vestì di corsa, indossò le scarpe e afferrò la borsa che giaceva abbandonata ai piedi del letto.

Una volta pronta strisciò fuori dalla sua stanza, che si trovava nella mansarda, scese le scale e oltrepassò la porta della stanza dei suoi genitori trattenendo il fiato. Era molto tardi e tutti dovevano essere a dormire, ma i problemi di insonnia erano all’ordine del giorno in famiglia, per questo era meglio essere prudenti. Arrivata al piano terra la ragazza entrò in cucina e uscì dalla porta sul retro, chiudendosela alle spalle.

Il giardino era buio e umido, si sentivano ancora alcuni grilli emettere il loro verso. L’unica luce proveniva da qualche sporadico lampione sparso lungo i sentieri. Quando svoltò l’angolo della casa, Sara si trovò davanti Sirius.

-          Ciao! – salutò in un sussurro buttandogli le braccia al collo.

Si erano visti solo quel pomeriggio, ma a Sara era parso un secolo. Lui le diede un leggero bacio sulle labbra, ma non si dilungò troppo in convenevoli. Era evidente che aveva qualcosa da dirle.

-          Che succede? – chiese la ragazza sempre sussurrando.

-          Sta per nascere! – esclamò lui al settimo cielo.

-          Davvero?! – esclamò Sara – Quando? Lily è già in ospedale?

-          Sì, mi ha avvertito James. Ti va di accompagnarmi? – chiese Sirius.

-          Naturalmente!

I due si incamminarono velocemente verso il cancello d’ingresso, uscirono dal portoncino laterale e salirono sulla moto di Sirius, parcheggiata ad attenderli. Sara era felice come se le stesse per nascere un nipote, non vedeva l’ora di conoscere il figlio di Lily e James.

Il volo fu rapido e l’aria frizzante della notte svegliò Sara più di qualunque caffè. Quando la moto cominciò a planare per scendere a terra, la ragazza si strinse a Sirius. Era il momento di ogni volo che temeva di più, ma Sirius era un pilota abile e atterrò leggero come una piuma sull’asfalto di un grande piazzale.

L’ospedale era illuminato a giorno, non c’era finestra oltre la quale non brillasse una lampadina. Sirius parcheggiò la moto nell’angolo più lontano dall’ingresso, quindi insieme si avviarono verso la scintillante porta a vetri. Camminavano rapidi e in silenzio, era chiaro che entrambi erano nervosi, neanche fosse stato figlio loro quello che doveva nascere.

Non appena entrati fermarono un infermiera di passaggio e le chiesero indicazioni per il reparto di ostetricia. I due ragazzi imboccarono un corridoio, poi un altro, infine una scala che percorsero saltando i gradini tre a tre. Giunti in cima si guardarono attorno smarriti, cercando la direzione giusta nel dedalo di corridoi, quando a un tratto si sentirono chiamare da una voce familiare.

-          Da questa parte! – disse la voce di Remus Lupin.

Sara e Sirius si voltarono e videro l’amico in piedi in una sala d’aspetto ingombra di sedie e vecchie riviste.

-          Quali notizie? – domandò Sara ansiosa, quando l’ebbero raggiunto.

-          Sembra che vada tutto bene – disse Remus con un sorriso incoraggiante – James naturalmente è con Lily, l’infermiera ha detto che possiamo aspettare qui.

Quando Sara si voltò verso la sala d’attesa, notò che non erano soli. Anche Peter Minus li aveva raggiunti e ora sedeva in un angolo, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra.

Mentre Sirius continuava a confabulare con Remus, Sara si avvicinò a Peter e lo salutò. Quindi si sedette di fronte a lui.

-          Come va? – chiese la ragazza tanto per fare un po’ di conversazione.

-          Bene – rispose lui laconico.

-          Sei sicuro di sentirti bene? – domandò ancora la ragazza scrutandolo in volto.

-          Sì – rispose Peter voltandosi verso di lei.

Quando Minus si voltò verso di lei, Sara vide che era pallido, tirato, più magro dell’ultima volta che l’aveva visto. Tutto questo parve a Sara molto strano, ma non conosceva Peter abbastanza da poter giudicare.

Della compagnia, Peter Minus era quello con cui la ragazza aveva legato di meno. Era così timido, riservato ancor più di Remus, parlava poco e quando parlava era per approvare qualcosa che avevano detto gli altri. Non aveva quasi mai scambiato con lui parole che non fossero di circostanza oppure mediate da un discorso generale. Almeno non da quando stava con Sirius; le uniche vere conversazioni le avevano avute ben prima del matrimonio di Lily.

Dopo qualche minuto, Sirius e Remus smisero di parlare e i quattro amici si prepararono ad una lunga attesa. Di tanto in tanto qualcuno si alzava per sgranchirsi le gambe o per uscire a fumare una sigaretta, ma nessuno sembrava aver voglia di fare conversazione.

L’attesa proseguì per due ore, che ben presto divennero tre, poi quattro. Infine, da una porta in fondo al reparto, uscì James che teneva in braccio un fagottino avvolto in una coperta azzurro cielo.

-          E’ un maschio! – comunicò al colmo della gioia.

I tre ragazzi gli corsero incontro, mentre Sara rimase qualche passo indietro. Quello era il momento dei Malandrini, lei avrebbe avuto tutto il tempo dopo di fare la conoscenza del nuovo arrivato.

Quando James alzò lo sguardo estasiato da suo figlio a Sara, la ragazza si sentì autorizzata ad avvicinarsi. Dalle coperte spuntava solamente un visetto arruffato e addormentato incorniciato da folti capelli neri. Sara non poté far altro che sorridere.

-          Come avete deciso di chiamarlo? – chiese Sirius con un sorriso molto simile a quello di Sara.

-          Harry – rispose James senza staccare gli occhi dal bambino – Harry James Potter.

Dopo qualche istante un’infermiera li richiamò all’ordine e James e Harry tornarono da Lily, lasciando gli amici ad attendere nuovamente.

Qualche tempo dopo il bambino fu trasferito nella nursery e la madre venne sistemata in una stanza. Mentre Lily riposava, Sirius, James e Sara rimasero davanti al vetro della nursery a osservare il piccolo Harry come se non avessero mai visto un neonato in vita loro.

-          Sirius – fece il neopapà ad un tratto.

-          Sì?

-          Vorresti essere il padrino di mio figlio? – chiese James, staccando per un attimo lo sguardo dal bambino e fissandolo negli occhi dell’amico.

Sirius si voltò e deglutì poi, con il sorriso più grande e luminoso che Sara avesse mai visto, rispose:

-          Sarà un onore.

Era mattina inoltrata quando Sirius riaccompagnò a casa Sara. Prima di salutarsi, si fermarono davanti al cancello a scambiarsi ancora qualche parola.

-          E così – cominciò la ragazza – sarai il padrino di Harry – non aveva potuto fare a meno di mettere una sfumatura amara in quella osservazione e questo la disturbava.

-          Così pare – rispose Sirius appoggiato alla moto.

Aveva l’aria di non essere del tutto presente, come se avesse la mente ancora davanti a quel vetro nella nursery, e per un attimo Sara provò un moto di gelosia nei confronti di quel neonato che aveva il potere di distogliere i pensieri del ragazzo da lei.

-          E’ una bella responsabilità – commentò scacciando dalla mente questi pensieri funesti.

-          Sì, lo è. Spero di essere all’altezza – rispose lui pensieroso.

-          Lo sarai sicuramente – disse Sara incoraggiandolo con un sorriso. Se essere il padrino di Harry lo rendeva così felice lei sarebbe stata al suo fianco.

-          Questo non lo so – continuò Sirius – Ma so per certo che farò tutto quanto è in mio potere per proteggerlo e per stargli accanto.

Solo a distanza di quindici anni Sara comprendeva appieno il significato di quelle parole. Sì, Sirius avrebbe fatto sempre qualunque cosa per Harry. Tant’è vero che il pensiero di lei non era stato sufficiente per indurlo a evadere, mentre la preoccupazione per Harry sì. E quando era uscito di prigione non era andato a cercare Sara, ma Harry.

*^*^*^*^*

La convocazione straordinaria della riunione dell’Ordine della Fenice colse tutti di sorpresa. Era passata da un pezzo l’ora di cena a Grimmauld Place e i più mattinieri stavano quasi per prepararsi ad andare a dormire, quando il Patronus di Silente apparve nella cucina annunciando l’imminente arrivo del Preside.

Oltre agli abituali occupanti del Quartier Generale, ben presto si materializzarono Tonks, Kingsley, Mundugus e tutti gli altri. Minerva McGrannitt e Severus Piton mancavano all’appello, probabilmente non avevano potuto lasciare il castello. Quando Silente arrivò, l’assemblea era riunita, pronta a ricevere le notizie, buone o cattive che fossero.

Sirius, seduto al solito posto, con James di fronte a sé e Remus accanto, si domandava cos’altro potesse essere successo quel giorno da richiedere una riunione straordinaria a quell’ora. Qualcosa nel suo istinto gli diceva che si stava per arrivare a una soluzione, stavano accadendo troppe cose tutte insieme. Dentro di sé era dilaniato come sempre, l’incertezza era terribile, ma forse era preferibile non sapere piuttosto che sentirsi condannare una seconda volta. In parte il racconto di Arthur, che aveva detto che Sara era andata a chiedergli del topo Crosta, aveva fatto sperare Sirius, ma non osava più farsi illusioni.

L’impazienza lungo la tavola era palpabile, ma l’ingresso di Silente pose fine al chiacchiericcio generale. Il Professore entrò con tutta calma e si sistemò a capotavola prima di iniziare a parlare. La sua espressione era indecifrabile, Sirius non avrebbe saputo dire se fosse preoccupato, arrabbiato o divertito. Per trovare una delucidazione, alzò gli occhi verso James, che però gli restituì uno sguardo altrettanto interrogativo.

-          Signori – esordì Silente rivolgendosi al suo personalissimo pubblico – perdonatemi per avervi convocato a quest’ora tarda, ma la comunicazione che devo farvi è molto importante.

Nessuno fiatava, in attesa. Sirius quasi non osava respirare, perché Silente ci metteva tanto ad arrivare al sodo?

-          Oggi è stata da me la signorina White e, come credo sappiate già, è stata anche dal signor Weasley. Per quanto abbia assicurato alla signorina White che avrei mantenuto la massima riservatezza sulle confidenze che ho avuto l’onore di ascoltare, sono certo di non venir meno a questa promessa riferendovi la nostra conversazione.

A questo punto Silente riportò per filo e per segno quanto gli aveva detto l’Auror.

Mentre il Preside parlava, Sirius sentì un piccolo fuoco accendersi nel petto. Questo fuoco, man mano che il racconto proseguiva, diventava sempre più caldo e avvolgente e l’uomo non aveva il coraggio di muoversi, di parlare, di guardare un punto diverso dal volto di Silente. Temeva che un movimento anche impercettibile avrebbe fatto svanire quello che sembrava essere il più bello e incredibile dei sogni. Non poteva crederci! Sara aveva davvero capito che lui era innocente! Aveva risolto quel mistero senza altro aiuto che non quello del suo intuito e, forse, gli avrebbe regalato la libertà. Era una cosa troppo incredibile da credere.

Sirius riuscì a tornare parzialmente in sé quando si sentì rivolgere direttamente la parola da Silente, che disse:

-          E così Sirius, sembra che tu sarai presto un uomo libero.

Sirius non aveva parole per rispondere. Si limitò a sorridere, ma non era il solito sorriso amaro e sarcastico. Era un sorriso vero, il primo che riuscivano a strappargli da quando era arrivato a Grimmauld Place. Lui non poteva vederlo, ma la trasfigurazione che quel sorriso portò sul suo volto lo fece ringiovanire di dieci anni.

A questo punto, nella cucina di Grimmauld Place, si scatenò una festa improvvisata. Mundugus estrasse dalle pieghe del suo mantello alcune bottiglie di whiskey, il signor Weasley andò in dispensa e tornò con le braccia cariche di burrobirre e Molly si mise immediatamente ai fornelli per un banchetto improvvisato.

Sirius percepì solo parzialmente le parole di congratulazioni, gli abbracci e le pacche sulle spalle che arrivavano da ogni parte. Si riscosse soltanto quando James lo afferrò per le spalle e gli disse, prima di abbracciarlo:

-          Amico mio! Non sai quanto sono felice!

Anche Sirius era felice, come non lo era da un sacco di tempo, forse come non lo era mai stato. Non soltanto sorrideva, ma gli veniva da ridere. Doveva ridere, era in arretrato di tredici anni. Ancora non riusciva a crederci, non sapeva capacitarsi di quello che stava succedendo, ma all’improvviso decise che si sarebbe goduto quel momento fino in fondo.

-          Anch’io sono felice! – disse infine.

*^*^*^*^*

Sara rientrò al Ministero che la mezzanotte era passata da un pezzo. Percorse i corridoi e le scale fino al suo ufficio saltellando come una ragazzina in un prato di margherite, ignorando gli sguardi sconcertati dei pochi che incontrò sul suo cammino.

Giunta al Dipartimento degli Auror trovò Frank Parker barricato nel suo ufficio, ancora intento a trascrivere rapporti e relazioni ufficiali. Il ragazzo la accolse con un sorriso ampio quasi quanto il suo e, senza perdersi in troppi convenevoli, si misero entrambi al lavoro.

Passarono la notte a riordinare il materiale e a preparare una relazione dell’indagine da presentare l’indomani prima al Capo e poi al Ministro. Sara era felice, per la prima volta da mesi era davvero felice, soddisfatta del suo lavoro e delle sue capacità. Il lavoro notturno non le era mai pesato,  ma quella notte fu ancora meno difficile del solito e al mattino non si sentiva affatto stanca. Anzi, era piena di energie e non vedeva l’ora di portare a compimento la sua opera.

Più ci pensava più era convinta che nessuno, neppure la persona a lei più avversa, avrebbe potuto dubitare delle conclusioni che aveva tratto. Nessuno avrebbe più potuto dubitare dell’innocenza di Sirius Black.

-          Bene Frank – disse abbandonandosi contro lo schienale della sedia su cui era seduta ormai da ore – Direi che siamo pronti per andare dal Capo.

-          Andiamo allora.

Il Dipartimento ormai era popolato dal turno di giorno e Sara si stupì di come tutto fosse estremamente normale. Come poteva essere tutto come prima dopo quello che lei aveva scoperto? Mentre si dirigeva con il collega verso l’ufficio del Capo avvertì alla bocca dello stomaco quel misto di ansia e eccitazione che la prendeva sempre quando arrivava alla conclusione di un’indagine e quindi al processo. La calma però era fondamentale.

-          Buon giorno Capo! – salutò allegramente la donna entrando nell’ufficio – Veniamo a comunicarle importanti novità.

-          Buon giorno signorina White, signor Parker. Prego accomodatevi – li invitò il Capo.

L’uomo conosceva a sufficienza Sara per sapere quando si preparava a sferrare il colpo finale e lei sapeva che l’avrebbe lasciata esporre senza interruzione. Questa era la prova generale per il discorso che avrebbe fatto al Ministro.

Una volta sistemati davanti a sé i plichi contenenti la documentazione, Sara cominciò la sua relazione. Parlò per una mezz’ora abbondante senza interruzioni né esitazioni, aveva ripetuto quel discorso nella sua mente decine di volte per tutta la notte. L’espressione del Capo era spesso imperscrutabile, ma in quel caso Sara lo vide chiaramente passare dalla curiosità allo stupore fino allo sconcerto. E ne aveva ogni ragione.

Sara aveva un unico dubbio. Tutte le informazioni che aveva raccolto inducevano a credere che Peter Minus non fosse stato ucciso, ma che avesse simulato la sua morte. Queste congetture però perdevano valore senza un movente. Doveva rivelare al Capo quello che le aveva detto Silente? Che Sirius Black avrebbe dovuto essere il Custode Segreto dei Potter?

-          Signorina White, questo è il caso più grosso in cui mi sia imbattuto da quando occupo questa poltrona e sono contento di averlo affidato a lei. Si è dimostrata all’altezza delle aspettative – disse il Capo mentre Sara ancora rifletteva.

L’Auror Capo non poté fare a meno di sorridere, mentre il suo orgoglio guadagnava un migliaio di punti in pochi secondi, però doveva parlare. In tribunale quelle ipotesi non avrebbero retto senza il movente. Si voltò verso Frank, che la guardò con le sopraciglia sollevate; anche lui probabilmente stava pensando alla stessa cosa.

-          La ringrazio Signore, ma non è tutto – si risolse a dire Sara.

-          No?

-          C’è un particolare, di cui sono venuta a conoscenza solo di recente…

Raccontare quella storia senza nominare Silente e glissando tutte le domande su come avesse fatto a saperlo fu piuttosto complesso, ma Sara riuscì a completare il discorso senza tradirsi. Alla fine il Capo rimase in silenzio con un’espressione indecifrabile sul volto.

Sara temette di aver travalicato i limiti e sentì lo stomaco sprofondare a livello del pavimento. Aveva rovinato tutto? Ora come avrebbe fatto a spiegare che sapeva certe cose? Oddio, perché non ci aveva pensato prima?

-          Si, lo sapevo – disse infine il Capo.

-          Come?! – esclamò Parker, mentre Sara, paralizzata dall’orrore, era incapace di fare altro che sbattere le palpebre ripetutamente.

-          Il Ministro Caramell, dopo l’omicidio di tutte quelle persone, ricevette da Silente in persona l’assicurazione che Sirius Black era il Custode Segreto dei Potter. Tuttavia può essere che abbiano cambiato piano senza informare nemmeno Silente.

Sara avvertì il click che faceva scattare l’interruttore della rabbia. Caramell, persino Caramell, lo aveva saputo prima di lei. E il Capo, che sapeva a sua volta, non le aveva detto niente!

Ritrovando la parola Sara disse:

-          Hem… vediamo se ho capito. Caramell lo sapeva, Lei lo sapeva e non avete pensato di dirmelo quando mi avete affidato le indagini?

-          Era una informazione riservata.

-          Riservata? Così riservata da non poterla comunicare ad un Auror Capo? Non è poi così riservata se sono riuscita a saperlo comunque! Quante altre cose non so? – domandò Sara con il tono di voce che saliva pericolosamente. Possibile che non ci fosse fine alle sorprese in questa storia?

-          Nient’altro... – rispose titubante il Capo – Non che io sappia.

-          Come faccio a crederle adesso? – chiese Sara abbandonandosi su una sedia, non più così furiosa ma quasi rassegnata.

Cominciava a domandarsi se qualcuno, in tutta quella vicenda, fosse stato completamente sincero con lei e se ci fosse almeno una persona a conoscenza di tutti i dettagli. Sembrava un puzzle senza fine e lei si stava stancando di fare l’indovina.

Parker notò lo stallo tra Sara, al colmo della frustrazione, e il Capo, che sembrava non avere intenzione di dire altro, e decise di prendere in mano la situazione. Iniziando a raccogliere il materiale, disse:

-          Immagino che adesso la cosa migliore da fare sia presentare il caso al Ministro Caramell. Capo, lei viene con noi?

Sara spostò lo sguardo dal volto del Capo a Frank e senza dire altro lo aiutò a raccogliere fogli e fotografie. Era arrabbiata, era frustrata, era stanca, sfiduciata, esasperata. Aveva una gran voglia di mandare tutti al diavolo e ritirarsi in un eremo su una montagna.

-          Probabilmente ha ragione – disse il Capo – avremmo dovuto dirglielo.

Sara non aveva più voglia di discutere. Si limitò ad annuire e ribadì la richiesta di Frank, di presentare il caso al Ministro. Bisognava mettere da parte le divergenze e fare fronte comune per convincere Caramell.

I tre Auror uscirono insieme dall’ufficio e si diressero verso “gli appartamenti” di Caramell spostandosi con passo quasi marziale. Vedendo quell’insolita processione, nel Dipartimento cominciò a diffondersi il sentore che stesse per accadere qualcosa di grosso, anche se nessuno poteva immaginare quanto grosso.

Incontrare il Ministro fu più complicato del previsto. Dovettero superare l’ostinato ostruzionismo di Percy Weasley che si rifiutava di lasciarli passare asserendo che il Ministro non voleva essere disturbato per nessuna ragione. Era probabile che Caramell si aspettasse quella visita ed era altrettanto probabile che stesse cercando di ritardarla il più possibile. Alla fine il Capo fece valere la sua autorità sul segretario personale del Ministro e i tre furono ammessi al cospetto della massima carica nel mondo della magia.

-          Buon giorno signor Ministro – salutarono gli Auror quasi all’unisono.

-          A cosa devo questo onore? – domandò Caramell con un tono che faceva intuire che non lo considerava affatto un onore ma una seccatura inevitabile.

-          Abbiamo importanti notizie da comunicarle – annunciò il Capo, che aveva tutta l’aria di spassarsela un mondo – Signorina White, lascio a lei l’ingrato compito.

-          Grazie Capo. Dunque Ministro – esordì la donna facendo mostra di una calma che non aveva.

Era ancora arrabbiata col Capo, ma almeno sapeva di poter sfruttare tutte le possibili argomentazioni per convincere il Ministro. Decise di giocare subito pesante e calò un poker d’assi.

-          Abbiamo portato a termine le indagini sul caso Black e la conclusione è che Sirius Black è innocente.

Fu come se Sara avesse sganciato una bomba in faccia al Ministro. Caramell passò dal suo colorito naturale al rosso, quindi al violaceo poi impallidì fino ad assumere un colorito terreo. Sul suo volto non si vedeva solo stupore, ma vero e proprio orrore.

-          Ma… ma… non è possibile! Come può essere innocente! Siete usciti tutti di senno! – strillò Caramell.

-          Ministro, se vuole concedermi la possibilità di spiegare posso dimostrarle come questo possa non essere così impossibile – disse Sara cercando di ricondurlo alla ragione.

Caramell parve comprendere che non aveva alternativa e cercò di ricomporsi. Sara approfittò del momento per cominciare a raccontare, per la seconda volta nell’arco di un’ora, lo svolgimento delle indagini. Mentre la donna parlava, Frank gli mostrò i documenti, le prove, le fotografie che avvaloravano la loro tesi, ma il Ministro era congelato in una maschera di indignazione.    

Quando Sara arrivò al termine del discorso non era certa che Caramell avesse capito il senso di quanto era stato detto. Il Ministro sembrava del tutto incapace di proferire parola, così toccò al Capo rompere il silenzio.

-          Ministro, converrà con noi che, alla luce di quanto detto, Sirius Black non può essere colpevole.

-          Inaudito – bisbigliò Caramell nuovamente rosso in viso – Inaudito! – strillò poi più forte – E voi queste le chiamate prove? Vi sembra il modo di condurre un’indagine?

-          Signore – intervenne Sara prima che l’uomo continuasse – Non vedo in quale altro modo avremmo potuto agire a quindici anni di distanza e mi sembra che abbiamo raccolto prove a sufficienza.

-          A sufficienza? – ripete il Ministro – Sono supposizioni! Come potete dire che Peter Minus era il Custode Segreto dei Potter, non avete alcuna prova. Non c’è modo di dimostrarlo. Io stesso ho avuto precise assicurazioni da Albus Silente che Sirius Black era il Custode Segreto!

-          Su questo punto devo essere d’accordo – ammise Sara cercando di non perdere il sangue freddo – Ma se in questo caso non possiamo avere la certezza, possiamo essere certi oltre ogni ragionevole dubbio che Sirius Black non ha fatto saltare in aria Minus. La mancanza di sangue, il taglio del dito così netto, la fotografia sul giornale non sono supposizioni, sono fatti. Se non possiamo essere certi della colpevolezza di Peter Minus abbiamo motivi sufficienti per dubitare seriamente della colpevolezza di Sirius Black.

Terminato questo discorso Sara si lasciò sfuggire un’occhiata verso il suo Capo che, con uno sguardo, la incoraggiò a continuare.

-          Ministro quello che le chiedo è di sottoporre questo caso al giudizio di una giuria.

-          Non riunirò il Winzengamot per questa pagliacciata! Diventerei lo zimbello dello stato – urlò Caramell alzandosi dalla sedia.

-          Signor Ministro – continuò Sara impegnandosi per non urlare a sua volta – non credo che si tratti di una pagliacciata. E poi se non ricordo male non è mai stato concesso un regolare processo a Sirius Black. Lo avete sbattuto dietro le sbarre senza dargli la possibilità di difendersi. Che cosa penserebbe la gente di questo?

Dall’espressione di Caramell, Sara comprese di aver toccato un nervo scoperto. La mancanza di un processo era un’irregolarità cruciale nell’arresto di Sirius Black.

-          E sia allora! – sentenziò infine Caramell – Avrà il suo processo signorina White, ma non si aspetti di vincerlo.

Senza indugiare oltre Sara e Frank raccolsero i documenti e con il Capo si avviarono verso la porta. Mentre stavano per uscire, Caramell li fermò:

-          Farò riunire il Winzengamot domani mattina alle nove – comunicò con tono di sfida.

Mezza giornata era un tempo quanto mai ristretto per preparare un’udienza come quella, ma Sara non osò protestare, avrebbe dovuto accontentarsi.

-          Maledizione! – esclamò Parker una volta tornati nell’ufficio di Sara – Il processo domani! E’ una follia come possiamo preparare le deposizioni entro domani.

-          Ce la faremo Frank, tranquillo.

Nemmeno Sara era convinta di quello che stava dicendo. Aveva un mare di cose da fare e troppo poco tempo per farle accuratamente come avrebbe desiderato, ma occorreva adattarsi.

Poche ore, poche ore soltanto e avrebbe conosciuto il verdetto della giuria. Su quel caso e sul suo futuro.


 
A notte fonda Sara e Frank cominciavano a disperare di trovare qualcosa in quel giornale. Sara lottava per non cadere in preda al panico, non aveva quasi più nessuna pista da seguire. Svanendo l’ipotesi del giornale, l’unico lumicino in fondo al tunnel restava il dito di Minus che avevano riesumato. Lei e il collega avevano diviso il quotidiano in due blocchi, ciascuno si era occupato di un blocco e poi se li erano scambiati per evitare che qualcosa sfuggisse all’attenzione dell’uno o dell’altro. Al termine di questo estenuante compito, interrotto soltanto dal fruscio delle pagine e dal crepitio delle sigarette che Sara fumava in continuazione, Frank si era assopito sul divano. Sara però non riusciva a riposare.

Ricompose il giornale e ricominciò a leggere. Provò a mettersi nei panni di Sirius, chiuse gli occhi e richiamò quella terribile sensazione che la invadeva ogni volta che metteva piede ad Azkaban. Provò a immaginare come doveva essere provare quel gelo straziante per tredici anni consecutivi senza potersi allontanare, senza un momento di respiro. Si vide rinchiusa in una cella di tre metri per due, senza alcun contatto con l’esterno e senza alcun contatto con l’interno, completamente isolata. Sola. Intrappolata. Senza avere nulla da fare, senza alcun modo di occupare il tempo, in un luogo in cui il tempo stesso diventava qualcosa di terribilmente indefinito.

Che cosa avrebbe fatto con un giornale?

Lo avrebbe sicuramente accolto con gioia, come la manna dal cielo. Lo avrebbe divorato da cima a fondo, avida di informazioni sul mondo esterno. Oppure lo avrebbe letto poco per volta per far durare la novità più a lungo possibile. Sì, forse avrebbe fatto così. Si sarebbe goduta ogni dettaglio, ogni parola, ogni fotografia.

In quest’ottica Sara riprese il giornale dall’inizio, lesse ogni riga come se non avesse saputo nulla del mondo per anni e anni, osservò ogni fotografia per cercare qualcosa di strano, qualcosa che tredici anni prima sarebbe parsa strana, insolita, improbabile, addirittura impossibile. Osservò con minuzia certosina ogni particolare, ogni numero di pagina, ogni replica della data impressa all’angolo dei fogli, persino le cornici delle fotografie. Per guardare meglio le immagini, Sara estrasse da un cassetto pieno di cianfrusaglie Babbane una lente d’ingrandimento.

Arrivando alle ultime pagine ricominciò a cadere preda dello sconforto, non aveva ancora trovato niente. Tra le notizie di minore importanza lo sguardo vagò per un attimo sulla fotografia di una famiglia. Erano i Weasley.

Subito non li aveva riconosciuti, ma poi aveva notato il viso allegro di Arthur e una schiera di ragazzi molto somiglianti tra loro. Il trafiletto parlava di un premio che avevano vinto ad una lotteria. Sara avvicinò la lente alla foto e cominciò ad analizzarla: al centro c’erano Arthur e quella che doveva essere sua moglie; ai lati dei genitori stavano due ragazzi, uno alto con i capelli lunghi e un orecchino piuttosto evidente e l’altro più basso e nerboruto, con le spalle muscolose di chi fa un lavoro di fatica; in primo piano c’era quello che Sara riconobbe come un giovanissimo Percy Weasley, due ragazzi vivaci e identici e ancora un ragazzo lentigginoso con il braccio sulle spalle dell’unica ragazzina.

Era un bel quadretto, sembrava una famiglia felice e nulla di più, ma Sara si soffermò a lungo su quella foto. Era così diversa dalle foto della sua famiglia: era difficile vedere fotografie con tutta la sua famiglia riunita e, nei rari casi in cui accadeva, erano foto stiracchiate, piene di facce imbronciate e di musi lunghi.

Ad un tratto una macchia scura attrasse lo sguardo della donna. C’era qualcosa sulla spalla del ragazzo in primo piano. Sara aguzzò la vista e si avvicinò al giornale con la lente. Era… sembrava un animaletto… un topo forse.

Un topo?

Sara ebbe un sobbalzo allo stomaco e le si asciugò la bocca. Guardò di nuovo il giornale. Era proprio un topo, grassoccio, con occhietti piccoli e acquosi. Sembrava proprio… ma Sara non osava pensarci. Alzò lo sguardo e si abbandonò contro lo schienale della poltrona. Lo stomaco le si attorcigliò lasciandole una sensazione di vuoto al centro dell’addome. Il cuore le martellava nel petto e dovette concentrarsi per non smettere di respirare.

Quello era… ma forse era assurdo da credere… eppure non poteva essere che così.

Se avesse avuto ragione, se quello fosse stato davvero Peter Minus, avrebbe potuto essere stata quella la molla. Sirius conosceva bene Peter, lo aveva visto trasformarsi milioni di volte, sarebbe bastata un’occhiata per riconoscerlo e sarebbe bastato ancora meno per decidere di evadere e andare a cercarlo.

Per la terza volta Sara tornò a guardare la fotografia della famiglia Weasley. Sì era proprio un topo e assomigliava molto al topo in cui si trasformava Peter Minus e che lei aveva visto alcune volte. E poi… La rivelazione arrivò come una secchiata d’acqua gelida: a quel topo mancava un dito! Ecco la prova che quello era Peter Minus, ecco la prova che Peter Minus era vivo!

Sara fu tentata di svegliare Frank, ma poi si trattenne. Frank non sapeva che Minus era un Animagus e non doveva sapere che Sara era a conoscenza di questo “dettaglio”. La donna si alzò e andò in cucina per riflettere con calma. Si preparò una tazza di caffè quindi cominciò a passeggiare per la stanza, sorseggiando il caffè bollente e pensando in modo frenetico.

Peter Minus era vivo, o almeno lo era fino a due anni prima.

Questo significava che Sirius non l’aveva ucciso.

Mio dio… Sirius Black era… innocente.

Quando Sara prese coscienza di questo, la parola “innocente” cominciò a rimbombarle in testa, una vampata di calore proveniente dalle parti dello stomaco la assalì come un’onda e lei fu costretta ad appoggiarsi ad una parete per non svenire. Anche se non aveva voluto ammetterlo neppure con se stessa, dall’inizio dell’indagine aveva sperato di trovare qualcosa che scagionasse Black… Sirius… ma ora che aveva la prova davanti agli occhi ne era comunque sconvolta. Era davvero innocente, non aveva ucciso nessuno e nessuno gli aveva creduto!

Una valanga di emozioni travolse la donna, euforia, felicità, disperazione, panico, frustrazione, senso di colpa. Due calde lacrime rotolarono sulle guance di Sara, ma non doveva piangere, non se lo poteva permettere e non doveva scordarsi che Frank era ancora nella stanza accanto.

Si impose la calma, cercò di fare un respiro profondo ma questo le si bloccò al centro del petto provocandole quasi un dolore fisico. Non poteva farsi vedere da Parker in quello stato.

Appoggiò la schiena alla parete ricoperta di mattonelle di terracotta e si lasciò scivolare fino a toccare il pavimento. Si strinse le ginocchia con le braccia e abbandonò la testa su di esse.

Calma.

Respira, Sara. Inspira. Espira. Calma, devi restare lucida e concentrata.

Mentre cercava di convincere i suoi nervi a reagire nel modo giusto iniziò a riordinare le idee.

Minus era vivo, non era stato ucciso. Ma allora la strage di tutte quelle persone? Con tutta probabilità era stato Peter a provocarla per fingersi morto e coprire la sua fuga. Ma per quale motivo aveva bisogno di fuggire? La risposta venne da sé: perché era colpevole, era colpevole di tradimento. Aveva tradito gli amici che gli avevano dato fiducia e lo avevano scelto come Custode Segreto. Per di più questo aveva causato la fine di Voldemort, quindi Minus sarebbe stato braccato sia dai Mangiamorte che dai suoi vecchi amici. Quale geniale piano fingersi morto e darsi alla macchia sotto forma di topo! D’altronde non era registrato da nessuna parte come Animagus, così come non lo erano Sirius e James.

Tutto combaciava perfettamente.

Ora l’unico problema era come sfruttare queste informazioni che lei non avrebbe dovuto avere.

Un’altra ondata di panico la prese alla gola. Sirius era innocente e lei non aveva mezzi per dimostrarlo. O meglio, un modo c’era. Poteva rivelare al suo Capo e al Ministro che lei conosceva Sirius Black e Peter Minus, che sapeva che erano Animagi e raccontare loro tutta la storia. La sua carriera sarebbe finita, ma questo era il lato meno importante. Il lato più importante era che probabilmente non le avrebbero creduto, avrebbero pensato che era impazzita o peggio che era una complice di Black e l’avrebbero arrestata.

No, non era una soluzione. Non sarebbe servito a niente fare tutto quel lavoro per poi finire in prigione.

Prima ancora che ne fosse del tutto consapevole, il suo inconscio aveva già iniziato ad elaborare una strategia. Sara fece un respiro profondo, che questa volta prese la via giusta, si alzò dal pavimento della cucina e si diresse verso il divano su cui era addormentato Frank.

Lo svegliò senza troppi complimenti, dicendogli che c’era del caffè in cucina e di raccogliere la documentazione mentre lei faceva una doccia.

Quando entrò nel bagno si chiuse la porta alle spalle e si guardò allo specchio. Che razza di persona era? Una che non si fida della parola del suo ragazzo e preferisce credere ai giornali? Come aveva potuto aspettare tutto questo tempo per farsi venire dei dubbi? Come aveva fatto a non capire che Sirius nono avrebbe mai potuto fare una cosa del genere?

Sarà avvertì un groppo enorme salirle alla gola e altre due lacrime scivolarono dagli occhi fino al mento. Distolse lo sguardo dallo specchio e si ficcò un pugno in bocca per impedirsi di singhiozzare rumorosamente. Per coprire il suono della sua disperazione aprì l’acqua della doccia al massimo. Cercando di smettere di piangere, si svestì e si insinuò sotto l’acqua.

Non poteva comportarsi così.

Doveva resistere, essere forte e fare il suo lavoro fino in fondo.

Ora si sarebbe schiarita le idee, poi sarebbe tornata da Parker e avrebbe finto che non fosse cambiato nulla dalla sera prima.

Doveva riuscirci. Non poteva cedere alla depressione, non ancora.

Doveva farlo per Sirius.

Era il minimo che potesse fare.

Recuperare la consapevolezza di avere un dovere insindacabile ebbe il potere di calmarla. Le lacrime presero a confondersi con l’acqua della doccia e pian piano si fermarono. La ritrovata lucidità le consentì di pensare con razionalità. Mentre si lavava i lunghi capelli castani, le balenò in mente un espediente che forse avrebbe potuto sfruttare per dimostrare le sue teorie e sorrise sotto i baffi. Poteva funzionare.

Era prima mattina ma lei non riusciva resistere, doveva andare al Ministero, verificare gli ultimi dettagli, non poteva aspettare un minuto di più. Uscita dal bagno trovò Parker pronto, con la giacca indossata e fasci di documenti tra le braccia, come se avesse saputo che lei non vedeva l’ora di uscire.

Frank precedette Sara fuori dalla porta, la donna chiuse a chiave l’appartamento e lo condusse fino all’auto. Il tragitto verso il Ministero fu trafficato e a Sara non era mai parso così lungo. Il suo cervello non la voleva smettere di lavorare.

Sirius era innocente.

Innocente.

Innocente!

INNOCENTE!!!

Sara aveva voglia di mettersi a urlare, ballare, piangere, cantare, ma doveva trattenersi ad ogni costo.

Sirius era innocente e lei aveva finalmente trovato la verità, le risposte alle sue domande, le risposte di cui aveva un disperato bisogno da quindici lunghi anni. Ogni volta che lo ripeteva nella sua testa sentiva un fuoco accendersi in mezzo al petto e scaldarla dall’interno. La gioia di aver scoperto la verità sarebbe stata perfetta se non fosse stata velata dal rimpianto per quello che avrebbe potuto essere e non era stato e dal senso di colpa per non aver creduto al suo cuore. Perché il suo cuore aveva avuto ragione. Fin dal primo istante aveva urlato “FALSO! È tutto falso! Non è così che sono andate le cose! Non può essere la verità!”, ma lei non aveva avuto il coraggio e la forza di ascoltarlo, aveva dato retta alla stampa, all’opinione pubblica, al Ministero e aveva soffocato quella voce interiore. Quella voce aveva continuato ad urlare per un po’, poi lentamente si era messa solo a parlare, poi a sussurrare, fino a che il sussurro non era diventato altro che un bisbiglio sporadico. Quanto avrebbe voluto aver ascoltato quella voce!

Ma il passato era passato. Ora bisognava concentrarsi sul presente. Il problema non era solo il modo in cui sfruttare le informazioni, sarebbe stato complicato anche farsi ascoltare dal Ministro.

Mentre Sara parcheggiava l’auto nel posteggio riservato al Ministero, rifletté che era meglio pensare ad una cosa alla volta. Lei e Frank scesero dall’auto e camminarono con passo deciso fino ad un’entrata secondaria, riservata ai dipendenti, che dava direttamente sul parcheggio. L’addetto ai controlli li lasciò passare senza problemi e, mentre Sara si dirigeva verso il suo ufficio, Frank andò all’obitorio a recuperare il dito riesumato.

Una volta giunta all’ufficio, Sara aprì il primo cassetto della scrivania e ne estrasse una chiave argentata. Quindi si diresse verso il fondo del Dipartimento degli Auror, fino ad arrivare a una porta grigia con su scritto “Laboratorio”. Infilò la chiave nella toppa ed entrò.

Quella era in assoluto la parte del Ministero che Sara preferiva ed era un sollievo trovarsi lì; non era solo il Laboratorio, era il Suo Laboratorio. Era stata lei a spingere per avere quelle attrezzature, per metà Babbane e per metà magiche. Aveva introdotto un modo nuovo di indagare, molto più scientifico, un modo che nel mondo Babbano era usato da tempo, ma che nel mondo magico stentava a prendere piede. Questo suo nuovo modo di indagare aveva costretto le alte sfere del Ministero a occuparsi di problematiche del tutto nuove e per questo avevano dovuto redigere nuove leggi e aggiornare il personale. Era stata la stessa Sara a tenere corsi di aggiornamento per i colleghi, sia più giovani che più anziani.

Molti non avevano celato il loro scetticismo, ma nonostante le prime perplessità i metodi di Sara avevano sempre dato ottimi risultati, tant’è vero che dopo un po’ i colleghi avevano dovuto arrendersi all’evidenza: i suoi metodi funzionavano davvero.

Solo allora, dopo quasi nove anni di lotte, alcuni Auror avevano iniziato a interessarsi al laboratorio, a richiedere a Sara e alla sua squadra delle consulenze tecniche e a utilizzare le loro scoperte in tribunale.

Mentre Sara preparava il tavolo del laboratorio con alcuni strumenti, Parker tornò dall’obitorio con in mano il contenitore. Entrambi indossarono i guanti e si prepararono a cominciare i test. Quando aprirono la chiusura ermetica della scatola di metallo furono colpiti da una zaffata di puzza di decomposizione. Del dito di Minus rimaneva poco più dell’osso immerso in un liquame maleodorante, ma tanto bastava per le loro indagini.

Frank indossò una mascherina e ne porse una anche alla donna. Sara la indossò, non le serviva più il naso per quell’indagine. Ormai aveva i fatti.

Insieme i due Auror presero ad analizzare il dito e ad annotare le loro osservazioni in un rapporto ufficiale. Innanzi tutto il taglio, come avevano osservato dalla fotografia, era netto, preciso, chiaramente reciso con un incantesimo. Parker scattò alcune foto che in tribunale sarebbero servite come confronto con il manichino usato per la prova.

Fatto ciò Sara prelevò un campione di tessuti che ancora resisteva attaccato all’osso e lo mise da parte per effettuare il test del DNA. Poteva essere utile in futuro avere il patrimonio genetico di Minus nel database. Per un attimo Sara fu assalita dal dubbio… e se quello non fosse stato il dito di Minus? Come poteva verificare, la madre era morta e non c’erano altri campioni con cui effettuare un confronto. Non aveva il coraggio di chiedere al Capo il permesso di riesumare la salma della madre di Peter Minus. Non c’era motivo di dubitare dell’identità del dito dopo tutto. Se qualcuno avesse sollevato il problema avrebbe sempre potuto fare il confronto dopo.

Convinta di questo, Sara pose il campione di tessuto su un vetrino e lo inserì in una delle tante macchine, colpì due volte l’apparecchiatura con la bacchetta e quella cominciò a sibilare, a ronzare e a sbuffare fumi colorati. Bene, ora avrebbe lavorato da sola.

Ora era il momento di verificare se il suo espediente avrebbe funzionato davvero.

-          Allora Parker – esordì Sara appoggiandosi ad uno dei banconi con aria di aspettativa.

-          Allora cosa? – domandò il ragazzo ancora vagamente assonnato.

-          Vediamo cosa sai fare. Lascio a te le redini della situazione – replicò la donna.

Il ragazzo assunse un colorito lievemente terreo e la guardò come se non sapesse di cosa parlava.

-          In… in che senso mi lasci le redini?

-          Voglio metterti alla prova, vedere cosa riusciresti a combinare se fossi da solo in una situazione analoga – spiegò Sara.

-          Capo, non mi sembra il momento adatto per fare dei test – provò a suggerire Parker – E’ troppo delicata questa indagine.

-          Non ti lascio mica qui in balia di te stesso, sarò qui a controllare che tu non faccia disastri, anche se ho piena fiducia nelle tue capacità. Avanti, non avrai paura?

Frank guardò Sara come se fosse appena scesa dalla Luna con una scala a pioli, ma siccome non aveva intenzione di farsi dare del vigliacco cominciò a lavorare. Sara tirò un sospiro di sollievo interiore poi, mentre si sedeva più comodamente per osservare l’operato del collega, iniziò a pregare. Non lo faceva da tempo ma la situazione lo richiedeva. Pregò che Parker facesse tutto, ma proprio tutto quello che gli veniva in mente per analizzare quel dito. Pregò di essere stata una buona insegnante negli anni passati. Pregò che Frank ricordasse gli schemi logici che aveva elaborato come filo guida in questo tipo di indagini.

-          Raccontami quello che fai e pensa ad alta voce – suggerì Sara – Parlare aiuta a schiarirsi le idee.

-          D’accordo – acconsentì Parker e iniziò a riflettere ad alta voce – Innanzi tutto sappiamo che il contenitore in cui era contenuto il dito di Peter Minus era chiuso ermeticamente e non è mai stato forzato. Sappiamo quindi che il reperto non è stato contaminato da interventi esterni. Il grado di decomposizione collima con le tempistiche della strage di Godric’s Hollow. Il taglio con cui il dito è stato reciso è netto, probabilmente è stato effettuato con un incantesimo. I bordi dell’osso sono frastagliati ma non pare un effetto del taglio quanto un effetto del tempo.

-          Molto bene – lo incoraggiò Sara alzandosi e avvicinandosi al tavolo su cui Frank stava lavorando – Continua.

-          Per prima cosa verifichiamo che non siano presenti incantesimi di invecchiamento o ringiovanimento.

Il ragazzo prese dal tavolo accanto uno strumento costituito da un contenitore centrale circondato da piccole clessidre argentee, sollevò con cautela lo sportello del contenitore e vi inserì il dito. Chiuse lo sportello e con un piccolo movimento circolare della sua bacchetta azionò lo strumento che prese a emettere piccoli sbuffi di vapore azzurrino.

Nel frattempo un suono avvertì Sara che l’analisi del DNA era completata. L’Auror si avvicinò allo strumento e salvò i dati in un computer che aveva personalmente modificato perché le componenti elettroniche potessero resistere in un posto pieno di magia come il Ministero. Quel computer avrebbe potuto resistere anche a Hogwarts. A quel punto stampò una copia dei risultati e la inserì nel fascicolo dell’indagine.

-          Ecco fatto – disse Frank – Lo strumento non ha rilevato traccia di incantesimi di invecchiamento o ringiovanimento, ne presenti ne pregressi.

-          Bene, procedi pure – commentò Sara.

-          A questo punto passo a verificare la presenza di incantesimi di protezione.

Il ragazzo ripose lo strumento con le clessidre e ne prese un secondo costituito da un intrico di tubicini di vetro. Sara respirò profondamente, stava perdendo il controllo dei suoi nervi, ma doveva stare tranquilla. Frank stava seguendo alla lettera il suo protocollo, se avesse continuato così sarebbe arrivato per forza di cose dove Sara voleva. Doveva solo tenersi occupata per un po’.

Per non mettere fretta a Parker, andò nel suo ufficio e raccolse da sotto la scrivania la scatola che conteneva gli effetti personali di Sirius, ne estrasse la busta con gli abiti e la portò in laboratorio. Una volta rientrata osservò per un attimo Frank che armeggiava con lo strumento, riempiendo ogni tubicino con una diversa pozione. Il giovane lavorava con precisione, con alacrità ma senza trascurare nulla.

Sara si sistemò su uno dei banconi che costeggiava le pareti e, dopo aver indossato dei guanti in lattice, estrasse dalla busta gli abiti di Sirius. Questa volta li guardò con occhi diversi dalla precedente. Ricordava perfettamente quella vecchia giacca di pelle nera, così come ricordava il momento in cui era stata acquistata. 

Giugno era ormai agli sgoccioli, i risultati degli esami erano stati comunicati agli studenti e Sara aveva passato tutti gli esami senza problemi. Man mano che si avvicinava il momento di tornare a Londra, Sara sentiva crescere una certa ansia. Più passava il tempo più le pareva strano quello che era capitato e aveva fantasticato talmente tante volte che non riusciva più a distinguere completamente le fantasie dalla realtà.

Aveva raccontato a Bex dell’appuntamento con Sirius appena era tornata a Hogwarts e l’amica era rimasta a bocca aperta.

-          Siete andati a Londra?! – esclamò quando lei glielo raccontò.

-          Sì, con la sua moto volante – spiegò di nuovo Sara – E’ stato carino, non ti pare?

-          Carino? – fece Bex lievemente sconcertata – Sì, certo. Carino. Ma… ma avresti potuto cacciarti nei guai!

-          Lo so, ma non è successo – rispose laconica Sara, tutto quello stupore la irritava. Come se lei non potesse permettersi di uscire con un ragazzo. Solo Rebecca doveva avere il monopolio della popolazione maschile?

-          Bè, continua! Voglio sapere ogni cosa! – la incalzò Rebecca vedendo che lei non parlava.

Sara obbedì e raccontò ogni cosa: la discussione appena si erano visti, il viaggio in moto, la mattinata tra i negozi, il pranzo, raccontò del pomeriggio a Diagon Alley tralasciando però le confidenze che Sirius le aveva fatto sulla sua famiglia. Infine le raccontò del bacio che si erano scambiati davanti al cancello e della promessa che lui le aveva fatto di andarla a prendere alla stazione.

Rebecca era estremamente sorpresa e non si faceva scrupolo di nasconderlo.

-          Sono sconvolta! Nel senso – si corresse vedendo l’espressione scocciata di Sara – sono felice per te ma mi sembra molto strano questo improvviso cambiamento di comportamento da parte di Black.

-          Si chiama Sirius – la corresse Sara senza pensare, guadagnandosi un’occhiata melodrammatica dalla sua amica.

-          Insomma, non puoi darmi completamente torto – continuò Rebecca imperterrita ignorando lo sguardo di rimprovero dell’amica - Anche tu fino a qualche settimana fa la pensavi allo stesso modo. Cosa è cambiato? Non vorrei che ci fosse qualcosa sotto…

-          Bé, non è stata proprio una cosa improvvisa – cercò di giustificare Sara – Ti ho raccontato cosa è successo al matrimonio di Lily e James, e poi non è che tutto a un tratto si sia trasformato nel principe azzurro. Continuiamo a battibeccare come abbiamo sempre fatto.

-          Perché lo difendi? – chiese Bex a bruciapelo.

-          Non lo sto difendendo! – esclamò l’altra alzando leggermente il tono della voce.

-          Sì invece, comunque io ti auguro con tutto il cuore che le cose vadano bene e che lui non ti sta prendendo in giro. Però ti dico anche di stare attenta e di non farti troppe illusioni.

Dopo questa conversazione con Rebecca, Sara si era ripetuta mille volte che non poteva essere come diceva la sua amica, che Sirius non la stava prendendo in giro e che doveva fidarsi del suo istinto. Ma nonostante questo era tormentata dai dubbi.

Bex poteva aver ragione?

Era davvero una stupida illusa a pensare che Sirius Black fosse interessato a lei?

Doveva mandargli un gufo per dirgli il giorno in cui sarebbe arrivata a Londra o sarebbe stato meglio lasciar perdere?

Era assurdo davvero aspettarsi che lui si facesse vivo per vederla?

D’altra parte lui era più grande di cinque anni, era un adulto, aveva la sua vita, mentre lei era solo un’adolescente confusa.

Questi pensieri la tormentavano al punto che la gioia di aver passato tutti gli esami non scalfì di un millimetro la sua ansia. Il giorno prima di partire decise di mandare quel gufo a Sirius. Era mattina prestissimo, ma lei non riusciva più a dormire. Seduta sul letto a baldacchino con tutte le tende tirate, accese la bacchetta per illuminare l’ambiente, sporse un braccio verso il comodino e afferrò la scatola dove teneva la carta da lettere. Non voleva correre il rischio di svegliare Bex nel letto accanto.

Aprì la scatola e la prima cosa che vide fu il biglietto su cui Sirius aveva scritto il suo indirizzo. Sara prese un foglio bianco e cominciò a scrivere. Doveva soltanto comunicare un giorno e un orario, ma riscrisse il biglietto sei volte prima trovare la forma giusta.

Caro Sirius,

come mi hai chiesto, ti scrivo per dirti che arriverò a Londra domani nel tardo pomeriggio. Mi dispiace di non averti avvertito con maggiore anticipo, se non puoi venire alla stazione non c’è problema.

A presto,

Sara

Quando rilesse il messaggio Sara lo trovò patetico, ma non aveva intenzione di scriverlo un’altra volta, non sarebbe comunque stata capace di ottenere un risultato migliore. Piegò il biglietto e lo chiuse in una busta su cui copiò l’indirizzo di Sirius.

Una volta finito era arrivata un’ora sensata per alzarsi e prepararsi per la colazione. Così sgusciò fuori dal letto, si vestì con le prime cose che capitavano e andò alla voliera dei gufi.

La mattina seguente era il primo luglio, il giorno del rientro a casa. Sara si svegliò ancor più presto della mattina precedente, le sembrava di avere delle rane che le saltavano nello stomaco, ma allo stesso tempo pareva anche qualcosa di volatile. Ecco, delle rane alate. Le pareva di avere delle rane alate nello stomaco.

La sera precedente non aveva avuto per niente sonno, così aveva già fatto tutti i bagagli. Si alzò cercando di non fare rumore e si diresse verso il bagno. Fece una lunga doccia, si lavò i capelli e, per una volta, anziché lasciarli asciugare selvaggiamente cercò di pettinarli dando loro un aspetto presentabile. Si vestì con una cura maggiore del solito e si truccò persino un po’.

Quando tornò in camera Bex la vide e sorrise maliziosamente, siccome però erano presenti anche le loro compagne di stanza si astenne dal fare commenti. Sara le aveva chiesto di non fare parola con nessuno di questa cosa, non voleva essere sulla bocca di tutte le ragazze di Hogwarts come quella che stava dietro al famoso Sirius Black, né voleva essere compatita se lui avesse deciso che in fondo quella ragazzina non gli interessava poi più di tanto.

Quando finalmente le due amiche si trovarono sole, Sara chiese nervosamente:

-          Come sto? Mi trovi ridicola?

-          Sei splendida! – disse con sincerità Rebecca osservando i pantaloni neri attillati e il top anch’esso nero decorato con perline coloratissime.

I pantaloni erano molto più attillati e il top molto più scollato degli standard abituali di Sara, ma Bex la rassicurò: stava benissimo. Le ragazze indossarono la divisa scolastica sopra gli abiti Babbani e si avviarono verso la Sala Grande.

Il viaggio di ritorno fu il più lungo e noioso che Sara ricordasse, non riuscì a mangiare neppure una briciola da tanto il suo stomaco era contratto dall’ansia e poi era già pieno di rane alate, non servivano anche le cioccorane a peggiorare le cose.

Man mano che il treno si avvicinava a Londra, Sara era sempre più dilaniata: non vedeva l’ora di scendere, ma voleva anche ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe scoperto se Sirius si era presentato o no. Non era poi così sicura di volerlo sapere. E se lui non ci fosse stato?

Una vocetta razionale dentro di lei le disse “se lui non ci sarà archivierai la storia nel novero delle delusioni e andrai avanti come se nulla fosse”. Sì, quella voce aveva ragione. Non c’era nulla da perdere.

Mentre entravano in stazione Sara si alzò dal sedile e si spostò in corridoio.

-          Respira – disse la voce di Bex alle sue spalle – Stai tranquilla, quando scendi dal treno saluta le altre come faresti di solito, non ti guardare intorno come un’indemoniata e mantieni un minimo di controllo.

Sara non poté fare a meno di sorridere di quei consigli. Bex ne sapeva molto più di lei di ragazzi.

-          Ci proverò – fu tutto quello che riuscì a rispondere.

Ad un tratto il treno si fermò davanti alla banchina del binario 9 e ¾ e tutti gli studenti si misero in coda per scendere. Quando Sara raggiunse il marciapiede di pietra grigia, le bastò un occhiata per valutare la folla di persone che attendevano l’arrivo del treno. Quella stessa occhiata le bastò per capire che Sirius non c’era.

Si sentì una colossale stupida, ma che cosa si aspettava? Si diresse come un automa verso la carrozza bagagli e recuperò il suo baule.

-          Mi dispiace – disse Bex sempre alle sue spalle.

-          Non fa niente – mentì Sara, ma decise subito di smettere di parlare.

La sua voce suonava molto strana. Non stava per piangere, vero? O no, non avrebbe concesso a nessun ragazzo la soddisfazione di piangere per lui, tantomeno a Sirius Black. La delusione in un lampo si trasformò in rabbia, verso se stessa e verso Sirius che l’aveva presa in giro.

Come le aveva consigliato Rebecca, andò a salutare le compagne e i compagni di scuola fingendo allegria e promettendo cartoline che non avrebbe spedito neppure sotto tortura, quindi si avviò verso il tornello. Una volta passate dall’altra parte Bex chiese:

-          Che fai adesso?

-          Andrò a prendere l’autobus per andare a casa. Che bello – disse con voce funerea – non vedo l’ora di tornare a casa da mia madre. Ci sentiamo vero?

-          Certo! Questa sera, così mi racconti com’è l’atmosfera casalinga – rispose Rebecca incoraggiante.

Insieme si avviarono verso l’uscita della stazione, spingendo un carrello su cui erano caricati i due bauli. Quando attraversarono la porta a vetri, videro che il sole era ancora alto, ma cominciava a colorarsi di rosso. E così erano cominciate le vacanze, davvero un bell’inizio.

-          Ciao!

Sara sentì lo stomaco fare quattro capriole e poi scomparire del tutto. Se l’era immaginato? Si voltò di scatto a sinistra, da dove aveva sentito provenire la voce.

Sirius era lì, appoggiato al muro, che fumava una sigaretta con gli occhiali da sole che coprivano quegli splendidi occhi azzurri. Sara si voltò verso Rebecca per cercare di nascondere il sorriso ebete che le era apparso sul viso e l’amica sollevò le sopraciglia facendole segno di andare da lui.

Sara si voltò un’altra volta, cominciava a girarle la testa, e con passi rapidi si diresse verso Sirius. Lui gettò via la sigaretta con gesto noncurante e, quando lei gli fu di fronte, si chinò a baciarla su una guancia.

Sara era completamente inebetita:

-          Ciao! – disse con una voce un po’ troppo stridula – Hem… non… non mi aspettavo di trovarti qui.

-          No? Perché? Te l’avevo detto che sarei venuto a prenderti – disse Sirius semplicemente.

Visto che lei sembrava incapace di proferire parola, il ragazzo aggiunse:

-          Sono venuto con l’auto di Remus. Vieni, carichiamo il tuo baule.

E senza aspettare una risposta si avviò verso Rebecca. Sara lo seguì e quando l’ebbero raggiunta li presentò. Quando Sirius strinse la mano di Rebecca e lei sorrise dicendo “piacere”, Sara provò l’impulso di schiaffeggiarla per il sorrisetto che aveva stampato in faccia, ma riuscì a trattenersi appena in tempo. Indicò a Sirius il suo baule, poi si rivolse a Bex.

-          Allora ci sentiamo…

-          Sì – rispose Rebecca continuando a sorridere – Ci sentiamo… domani!

Sara si allontanò dall’amica e seguì Sirius fino alla vecchia macchina di Remus, caricarono il baule nel bagagliaio e, quando chiusero lo sportello, si trovarono uno di fronte all’altra. Sara non poté fare a meno di sorridere.

-          Cosa c’è da ridere? – domandò Sirius.

-          Non sto ridendo, sto sorridendo – replicò Sara.

-          Allora cosa c’è da sorridere? – insisté ancora lui.

-          Non credevo che saresti venuto davvero, tutto qua – confessò la ragazza abbassando gli occhi verso le scarpe da ginnastica.

-          Come ti ho già detto prima, ti avevo detto che sarei venuto a prenderti. Non sono certo uno che si rimangia le promesse – rispose Sirius piccato.

Nonostante lo stallo della conversazione nessuno dei due sembrava volersi muovere, con la coda dell’occhio Sara vide Rebecca che, mentre attraversava il piazzale per raggiungere l’auto di suo padre, li osservava con interesse. Pensando a cosa avrebbe fatto la sua amica, Sara fece una cosa che la stupì di se stessa: prese l’iniziativa. Si sollevò in punta di piedi e, appoggiandosi al braccio di Sirius, lo baciò sulle labbra. Se il ragazzo fu sorpreso dell’iniziativa non lo diede a vedere e decise di collaborare, passò il braccio attorno alla vita di Sara e la strinse un po’ di più verso di sé.

Quando si separarono Sara distolse lo sguardo e vide Bex che le faceva segno di vittoria con i pollici prima di salire in auto e andarsene. Con orrore Sara si accorse che anche Sirius l’aveva vista.

-          L’hai vista anche tu, vero? – domandò chiudendo gli occhi orripilata.

-          Sì – confermò Sirius scoppiando a ridere.

-          Hem… mi dispiace. E’ un po’ fuori di testa, però è una brava ragazza – continuò Sara osservando l’auto che si allontanava.

-          Non importa, immagino tu le abbia raccontato della nostra giornata a Londra – disse Sirius avviandosi verso lo sportello del guidatore.

-          Sì. Spero che non ti dispiaccia – rispose Sara – Ma ne ho parlato solo con lei – aggiunse subito – e sono sicura che se lo terrà per sé. Non voglio diventare la ragazzina che sta dietro a Sirius Black. Diventerei lo zimbello di tutte le mie compagne.

-          Hmm “stare dietro” – fece Sirius fintamente pensieroso mentre avviava il motore – Mi piace. Mi stai dietro, Sara?

-          No, caro. Sei tu che stai dietro a me, se mai – ribatté la ragazza con una sicurezza tutta nuova – Hai cominciato tu, Sirius.

Il ragazzo rise di nuovo e ingranò la retromarcia, fece manovra e uscì dal parcheggio. Percorsero il primo tratto di strada in silenzio. Sara era decisamente stordita dalla sequenza degli eventi. Aveva davvero baciato Sirius? A quanto pareva sì. La voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri.

-          Come scusa? – chiese.

-          Ho detto se preferisci prima passare a casa a lasciare il baule – ripeté Sirius.

-          No, per carità. Più tardi vedo mia madre meglio è. A proposito, dove stiamo andando? – chiese Sara, che fino a quel momento non si era neppure posta il problema della destinazione.

-          Adesso andiamo in centro a comprare da bere, poi andiamo a Godric’s Hollow da Lily e James – spiegò Sirius voltandosi per un attimo a guardarla.

-          Davvero? Oh sono così contenta di vedere Lily! Come stanno? E’ una vita che non si fa sentire.

Sirius raccontò le notizie che aveva sugli sposi novelli e sulla loro luna di miele, raccontò a Sara della loro nuova casa e di quanto fossero felici. Le disse che stavano diventando irritanti in modo irrimediabile.

Arrivati in centro Sirius parcheggiò in divieto di sosta davanti ad un negozio di liquori e scese dall’auto.

-          Sei in divieto di sosta – gli fece notare Sara scendendo a sua volta – Faremo prendere a Remus una multa.

Senza darsi la pena di rispondere, Sirius estrasse la bacchetta dalla tasca e con un gesto noncurante cambiò i numeri della targa. Sara lo guardò perplessa ma non commentò, non le pareva il momento migliore per intavolare discorsi sulla legalità.

-          Non preoccuparti – disse Sirius introducendola nel negozio. Quando lui la prese per mano Sara decise che per quella sera non si sarebbe preoccupata assolutamente di niente.

Malgrado la decisione appena presa, quando la ragazza vide un telefono pubblico all’interno del negozio pensò che poteva essere una buona idea avvertire a casa che sarebbe arrivata in tarda serata. Lasciò con rimpianto la mano di Sirius e si diresse verso il telefono. Frugò nel portafogli per trovare qualche moneta Babbana e, quando le trovò, le fece scivolare nella fenditura e compose il numero dello studio di suo padre. Preferiva parlare con lui che con quella iena di sua madre.

-          Studio del Dottor White – rispose la segretaria del padre di Sara.

-          Buona sera, sono Sara White. Vorrei parlare con mio padre – comunicò la ragazza con il suo miglior tono autoritario.

-          Un momento.

Una musichetta irritante la avvertì che la chiamata veniva trasferita al telefono diretto di suo padre, poi una mano sollevò il ricevitore.

-          Pronto? – rispose il dottor White con tono interrogativo.

-          Pronto papà, sono io.

-          Ciao Sara! – esclamò l’uomo – Sei arrivata? Hai bisogno che ti venga a prendere.

Sara rifletté che a volte sembrava persino un padre normale, poi si concentrò per mentire in modo convincente:

-          Non sono ancora arrivata, c’è stato un problema con il treno e probabilmente arriveremo in tarda serata. Comunque non vi preoccupate, mi accompagna a casa un’amica.

Mentre suo padre esprimeva costernazione nel saperla ancora in viaggio, Sara sollevò lo sguardo e vide Sirius accanto a lei con due buste piene di birra e bottiglie di vino. Quando riattaccò, lui chiese:

-          Hai chiamato a casa?

-          No, ho telefonato a mio padre al lavoro – spiegò la ragazza – Non volevo che si preoccupassero.

-          Perché gli hai raccontato quella storia del treno? – chiese Sirius aprendo la porta del negozio e tornando verso l’auto.

-          Perché mio padre non approverebbe sapere che sono appena tornata e già me ne vado in giro senza neppure passare a salutare. Mia madre mi darebbe dell’ingrata e dovrei sopportare le battute di mia sorella per settimane. Preferisco raccontare qualche bugia. Allora – disse poi Sara per cambiare discorso, indicando le numerose bottiglie – cosa si festeggia?

-          Il mio compleanno – rispose Sirius casualmente.

L’informazione impiegò qualche istante di troppo a penetrare nel cervello di Sara.

-          Oggi è il tuo compleanno? – chiese poi.

-          Non proprio, è stato qualche giorno fa, ma volevamo aspettarti per festeggiare – disse Sirius.

Lo stomaco di Sara riprese a saltellare insieme alle rane alate e non poté fare altro che sorridere di nuovo in quel modo ebete. Stava diventando imbarazzante.

-          Bé allora devo farti un regalo – riuscì ad articolare infine.

-          Non devi disturbarti – si schermì Sirius. Sembrava persino un po’ in imbarazzo.

-          Invece sì. Dai andiamo! – esclamò Sara prendendolo per mano e trascinandolo lontano dall’auto.

-          Sara, lascia stare. Davvero – cercò di fermarla lui.

Lei gli si piantò davanti  con le mani sui fianchi e disse:

-          Senti, io non lascio perdere, ok? Vuoi farmi fare la figura della maleducata che non ti fa il regalo di compleanno? Non dopo che hai aspettato il mio arrivo per festeggiare.

Se Sara fosse riuscita a ragionare in modo razionale si sarebbe resa conto che entrambi si comportavano come cretini. Sorridevano in continuazione, si tenevano per mano e giravano per i negozi cercando qualcosa di appropriato all’occasione. Se avesse visto la situazione da fuori l’avrebbe trovata sdolcinata fino all’insopportabile, ma essendoci dentro non sentiva altro che felicità ed euforia.

Quando il sole tramontò del tutto stavano entrando forse nel quindicesimo negozio. Sara guardò l’orologio, cominciava a diventare tardi e non aveva ancora trovato qualcosa che la soddisfacesse. Il posto in cui erano entrati era un piccolo negozio di abbigliamento. Vagando tra le rastrelliere Sirius e Sara si divisero, l’uno da un lato e l’altra dall’altro di una fila di abiti ordinatamente appesi. Sirius continuava a farla ridere proponendole delle cose assurde.

-          Che ne dici di questa? – chiese ridacchiando e mostrandole una camicia attillata, di un viola acceso con dei disegni geometrici arancioni.

Sara rise a sua volta, guadagnandosi un’occhiataccia della proprietaria. Poi lo sguardo si posò su un capo di pelle nera. Era l’unico in mezzo a camicie e giacche eleganti. La ragazza si avvicinò incuriosita e scoprì che era un giubbotto di pelle, decisamente adatto per un motociclista; senza pensarci lo prese dalla stampella e lo porse a Sirius:

-          Prova questo.

-          Wow! E’ bellissimo! – esclamò Sirius provando la giacca.

-          Direi che ti sta bene – confermò Sara appoggiata a una rastrelliera mentre il ragazzo si guardava in uno specchio appeso alla parete – Può sostituire quella cosa vecchia e informe che ti ho visto addosso a Hogsmeade.

-          Hei! Non offendere la mia giacca, ne ha passate di cotte e di crude – si infervorò Sirius senza però smettere di esaminare il proprio riflesso.

-          Non voglio offendere – rispose Sara ridendo – Però direi che è ora di mandarla in pensione, che dici?

-          Potresti aver ragione.

-          Allora dai qua.

Sirius sfilò la giacca e Sara gliela prese di mano per andare a pagare. Lui cercò di protestare che era troppo per un semplice regalo di compleanno, ma lei lo cacciò dal negozio prima che lui potesse vedere il cartellino del prezzo.

Esaminando la giacca, appoggiata al bancone del laboratorio, Sara ricordò che le era costata tutti i risparmi che le rimanevano nel portafogli. Ma non le importava, in fondo era stata un buon acquisto. Sirius non aveva più voluto indossare altro.

*^*^*^*^*

Dopo la visita di Silente, Sirius non aveva mai smesso di pensare alle parole del Preside. Sara sapeva che lui era il Custode Segreto di Lily e James, quindi probabilmente lo odiava ancora di più di quanto non avesse fatto fino a quel momento.

Bene. Era una splendida notizia.

Prima aveva flebili speranze in una soluzione positiva, ma ora non ne aveva più nessuna. Sirius non capiva Silente: non aveva detto a Sara tutta la verità però voleva coinvolgerla nell’Ordine. A che scopo?

Il pensiero di Sara al Quartier Generale mozzò il respiro a Sirius, ma ormai ci era abituato, gli capitava ogni volta che pensava a lei e succedeva di continuo.

Quando Kingsley e Ninfadora arrivarono a Grimmauld Place Sirius era occupato a nutrire Fierobecco con la sua dose giornaliera di topi morti. Non appena sentì la porta d’ingresso chiudersi alle loro spalle, si precipitò nella grande cucina per sentire gli aggiornamenti.

Attorno al tavolo trovò già schierati Lily e James, Remus e la Signora Weasley, protesi verso i nuovi arrivati come per incitarli a parlare immediatamente.

-          Ciao Sirius – salutò Tonks prima di lasciarsi cadere sulla sedia accanto a Remus. Kingsley invece si limitò ad un cenno del capo e si sedette compostamente.   

-          Ciao – rispose Sirius posando sul tavolo una serie di burrobirre e prendendo posto a sua volta – Ci sono novità? – chiese impaziente.

-          Bè, sì – rispose Tonks – Ma non saprei dire se sono buone o cattive.

-          Sentiamo… - li incalzò James impaziente quanto l’amico.

-          Dunque – iniziò la ragazza – Ci sono voci piuttosto insistenti che dicono che Sara ha riesumato il dito di Peter Minus.

-          Che cosa? – esclamò Remus incredulo – Ma perché?

-          Non se ne conosce la ragione – continuò la ragazza – ma deve aver avuto delle motivazioni davvero valide per chiedere di riesumare i resti di quello che è considerato un eroe nazionale.

Sirius era davvero perplesso. A che diavolo poteva servirle quel dito maledetto?

-          Si sa che cosa ne ha fatto del dito? – chiese per trovare un lume ai suoi dubbi.

-          Oggi ho visto lei e il suo collega, Frank Parker, che armeggiavano in laboratorio – rispose Kingsley dando il suo contributo alla conversazione – Pareva che Parker stesse esaminando il dito, mentre la White era alle prese con dei vestiti.

-          Dei vestiti? – chiese stupita Lily – I metodi ministeriali di indagine mi risultano sempre più incomprensibili.

-          Il fatto è che non sono i metodi del Ministero, sono i personalissimi “metodi White”, come vengono chiamati al Dipartimento – confermò Ninfadora – E’ possibile che fossero i tuoi vestiti – disse poi rivolta a Sirius – quelli che ti hanno sequestrato quando sei stato arrestato.

-          Mi ricordo, portavo un paio di jeans scuri, una maglia nera e un giubbotto di pelle nera.

-          Ecco – esclamò Kingsley – l’ho vista armeggiare proprio con una giacca di pelle nera.

Sirius ricordava bene quella giacca. Era stato il primo regalo che Sara gli aveva fatto, per il suo compleanno.

Quel giorno lei era appena tornata da Hogwarts e lui era andato a prenderla in stazione. La ragazza era sorpresa di vederlo lì e questo, in un certo modo, ferì Sirius. Sara dubitava di lui e della sua buona fede, ma aveva tutta l’intenzione di farle cambiare idea.

Nonostante la sorpresa, il sorriso che lei aveva fatto quando l’aveva visto aveva fatto stringere lo stomaco a Sirius. Quando poi Sara l’aveva baciato, vicino alla macchina di Remus, il ragazzo aveva capito che si stava fregando con le sue mani, ma ormai non poteva più farci niente.

Mentre si dirigevano verso il centro di Londra, Sirius le aveva detto che avrebbero festeggiato il suo compleanno a casa di Lily e James e aveva avuto l’impressione che lei fosse risentita per non averlo saputo prima. Sirius si domandò se non avrebbe dovuto avvertirla con una lettera, ma non voleva che stesse ad angustiarsi con storie di abbigliamento e di regali.

Questa parte del progetto però non aveva funzionato. Sara aveva talmente insistito per trovargli un regalo che lui non aveva saputo come fare a rifiutare. Aveva assunto quel tono imperioso metà da professoressa e metà da bambina capricciosa e lo aveva trascinato per negozi, ignorando le sue proteste.

Quando ormai si stava facendo tardi e Sirius cominciava a pensare a qualche scusa da propinare a James per il ritardo, entrarono in un piccolo negozio defilato. Era uno strano misto di abiti sobri ed eleganti e stranezze. Sara era concentratissima nella ricerca e Sirius si divertiva a distrarla mostrandole capi che definire assurdi era riduttivo. Ad un certo punto la ragazza aggirò la rastrelliera che li divideva e porse a Sirius un giubbotto di pelle nera. A quel punto della giornata il ragazzo lo provò più per farle piacere che per vera convinzione, ma quando si guardò allo specchio pensò che Sara aveva colto nel segno. Era proprio il suo stile e non gli stava affatto male. In quell’istante ebbe l’impressione che Sara lo conoscesse molto meglio di quanto pensasse.

-          Allora, ti piace? – chiese.

-          Sì, è bellissimo! Ma non è il caso che spendi così tanto per il mio compleanno – rispose Sirius sbirciando il cartellino del prezzo.

Sarà seguì il suo sguardo e nascose il cartellino prima che lui potesse leggerlo attentamente.

-          Non devi guardare il prezzo! E’ un regalo. Avanti, dai qua. E aspettami fuori mentre pago – ordinò Sara.

-          Agli ordini capo! – si arrese Sirius.

Quando arrivarono alla cassa, che si trovava in prossimità della porta, Sirius fece un ultimo tentativo per dissuaderla dal spendere una cifra che, se anche non conosceva perfettamente, sapeva che non sarebbe stata piccola. Sara però fu categorica, lo cacciò sul marciapiede con una spinta e, non appena pagato, strappò il cartellino e lo gettò nella spazzatura.

-          Ecco fatto! – disse allegramente porgendo a Sirius la busta.

Lui non poté fare a meno di sorridere.

Anche se era luglio l’aria della sera era piuttosto frizzante ed entrambi avevano le braccia scoperte. Tornando alla macchina, Sara estrasse una sciarpa di seta dalla grande borsa che portava appesa alla spalla e se la drappeggiò attorno alle spalle e al collo. Sirius invece tolse il nuovo acquisto dalla busta e lo indossò con naturalezza, come se gli fosse stato cucito addosso.

Tornati all’auto, Sirius modificò nuovamente la targa e si avviarono verso Godric’s Hollow. Mentre viaggiavano accese la radio, che a quell’ora diffondeva solo una forma di pop piuttosto melensa.  

-          Allora, come sono andati gli esami? – chiese Sirius per fare conversazione.

-          Bene, li ho passati tutti discretamente. Senza infamia e senza lode – rispose Sara smettendo di guardare fuori dal finestrino – Posso fumare?

-          Certo – rispose il ragazzo estraendo il posacenere dal cruscotto e aprendo un po’ il finestrino.

Sara tuffò una mano in quella borsa che sembrava senza fondo e ne emerse con un pacchetto di sigarette e un accendino argenteo. Estrasse una sigaretta, la portò alle labbra e la accese con gesti da fumatrice consumata.

-          Da quanto fumi? – chiese il ragazzo.

-          Da un po’ – rispose Sara laconica.

-          Avverto una nota di reticenza nelle tue risposte. C’è qualcosa che non va?

-          No, assolutamente no! – disse la ragazza voltandosi per sorridergli – Ho cominciato più o meno un anno fa, ma a Hogwarts per ovvi motivi ho fumato davvero poco. Questo pacchetto mi dura da mesi.

-          Scusa, dove andavi a fumare a scuola? – si informò Sirius incuriosito.

-          In genere dietro gli spogliatoi del campo da Quidditch. È un’attività interessante. Oltre a togliermi lo sfizio di una sigaretta scopro sempre un sacco di cose – rivelò Sara con aria di mistero.

-          In che senso?

-          Nel senso che c’è un buco nella parete e si sentono tutte le conversazioni che vengono fatte negli spogliatoi. Cosa non si dicono certe persone dopo gli allenamenti!

-          È così che sai sempre tutto di tutti? – continuò Sirius sorpreso.

-          Diciamo che questa è una parte. Tante cose le vengo a sapere semplicemente guardandomi intorno.

Sirius aveva notato, negli anni in cui entrambi erano ancora a Hogwarts, che Sara era sempre informatissima su tutto e su tutti. Per esempio sapeva sempre con quale delle tante ragazze lui stava o fingeva di stare, se gli piaceva davvero o se la stava solo prendendo in giro. E quando si trovavano a discutere, o forse era meglio dire litigare, queste informazioni le davano sempre quel certo vantaggio che le concedeva l’ultima parola.

Quando finalmente arrivarono a casa di Lily e James, le due amiche si abbracciarono e cominciarono subito a chiacchierare. Lily le mostrò la nuova casa, poi iniziò il racconto del viaggio di nozze. Sirius invece si ritirò in cucina con James, Remus e Peter.

-          Buon compleanno amico mio! – disse James aprendo quattro birre e distribuendole per brindare.

Le bottiglie si toccarono con un tintinnio e i quattro amici bevvero un sorso.

-          Allora – iniziò James – come va con Sara?

-          Oh, non cominciare – si schernì Sirius. Aveva già parlato di Sara con James e non aveva un ricordo positivo della conversazione.

Nelle due settimane dal loro appuntamento a quel giorno, Sirius aveva pensato spesso a Sara e ne aveva parlato altrettanto spesso, tanto che i suoi amici cominciavano a preoccuparsi. James gli aveva chiesto se stesse ammattendo a perdere la testa per una ragazzina e il tono con cui l’aveva detto aveva irritato moltissimo Sirius. Per questo aveva cercato, da quel momento in poi, di parlare di Sara il meno possibile davanti a James, non sopportava le sue battutine e le sue allusioni.

Lily naturalmente aveva perorato la causa dell’amica. Gli aveva detto che quel continuo pensare a Sara era normale, che era normale a un certo punto sentire il bisogno di fermarsi, ma soprattutto Lily l’aveva ascoltato parlare e parlare di quello che provava senza interromperlo e senza fare battute.

Remus era stato oltremodo paziente. Il viaggio di ritorno da Hogsmeade gli aveva dato l’occasione per riflettere e Sirius si era… spaventato. Cosa stava facendo? Si stava imbarcando in una storia in quel momento in cui la vita di tutti i membri dell’Ordine della Fenice era appesa a un filo. E per di più si stava imbarcando in una storia con una ragazza che andava ancora a scuola.

Senza pensare, arrivato a Londra, Sirius si precipitò da Remus. Lasciò la moto davanti al cancelletto metallico e attraversò il piccolo cortile. Remus abitava in una casetta di quattro stanze, due a piano terreno e due al piano superiore. Il ragazzo bussò con energia attendendo che l’amico andasse ad aprire.

Quando la porta si aprì, Sirius vide il viso sorridente di Remus con una lieve sfumatura di sorpresa.

-          Sirius! Va tutto bene?

-          Sì, ti devo parlare. Posso entrare? – chiese Sirius concitatamente.

-          Certo – rispose Remus scostandosi per farlo passare.

Una volta in casa, Remus si sedette sul divano in salotto mentre Sirius prese a passeggiare avanti e indietro mentre parlava. Raccontò a Remus della giornata con Sara e alla fine del resoconto disse:

-          Remus, sto diventando pazzo! Non posso farlo…

-          Non puoi fare… cosa esattamente? – chiese Remus con l’aria di uno che conosce la risposta.

Sirius si bloccò come se le sue stesse parole lo avessero meravigliato, fece un respiro profondo e si sedette accanto all’amico sul divano. Che cosa non poteva fare? In fondo lo sapeva bene che cosa, ma era riluttante ad ammetterlo perfino con se stesso, ammetterlo con qualcun altro era anche peggio. Però aveva bisogno di dirlo ad alta voce per comprendere davvero l’entità della cosa.

-          Non posso… innamorarmi… di Sara – disse guardando l’amico negli occhi.

Remus soppesò per un attimo le parole, distolse lo sguardo e si mordicchiò il labbro inferiore prima di parlare:

-          Sirius, credo che… ormai… tu… sia già innamorato.

Sirius si alzò di scatto, si coprì il volto con le mani e si passò le dita tra i capelli neri. Non erano esattamente le parole che sperava di sentirsi dire. Sapeva che Remus aveva ragione, in fondo ne era consapevole anche lui, ma avrebbe voluto sentirsi dire che sì, sarebbe stata una buona idea troncare subito la cosa per evitare di soffrire e di farla soffrire.

In un secondo momento Sirius rifletté che per una risposta del genere Remus non era la persona più indicata, ma fu grato all’amico della sincerità.

E poi si era trovato lì, a festeggiare il suo compleanno con i suoi amici più cari e con Sara. Era stato uno dei compleanni migliori della sua vita. Avevano bevuto, mangiato, scherzato e riso fino alle lacrime. Sara era stata fantastica, aveva saputo ascoltare e ridere al momento giusto, ma anche intervenire e raccontare. Sirius era rapito, non aveva mai conosciuto una ragazza come lei. Perché non si era mai accorto di che persona fosse in realta?

Al momento di tornare a casa, Sirius e Sara salutarono gli amici e si avviarono verso l’auto di Remus. Sara si accomodò sul sedile passeggero e Sirius si mise alla guida. Il viaggio di ritorno verso Londra fu piuttosto silenzioso; quando arrivarono in città Sara cominciò a dargli indicazioni.  

-          Ecco, puoi fermarti qui – disse ad un tratto la ragazza.

Sirius fermò l’auto davanti a un imponente cancello di ferro battuto da cui partiva una strada lastricata. La villa non era visibile dalla strada, ma se ne intuiva la sagoma attraverso gli alberi del parco.

-          Complimenti per la casetta! – esclamò Sirius dando un’occhiata alla proprietà.

-          Sì, non è male. Ma sono le persone che ci abitano che non sono entusiasmanti – replicò Sara guardando verso la casa – Ti ringrazio per la splendida serata – aggiunse poi voltandosi nuovamente verso Sirius.

-          È stato un piacere. Dove ti lascio? – chiese il ragazzo indicando il cancello.

-          Non ho le chiavi per aprire il cancello. Lasciami pure qui, faccio la strada a piedi – disse la ragazza.

-          E ti porti il baule in braccio? – osservò Sirius – Ti accompagno alla porta – disse scendendo dall’auto e avviandosi verso il bagagliaio.

Il ragazzo tirò fuori il baule di Sara e chiuse la macchina di Remus. Sara prese una maniglia del baule e lo aiutò a trasportarlo fino ad un portoncino accanto al cancello principale. Trascinarono il baule per tutto il vialetto e lo depositarono in cima alla scalinata che conduceva al portone.

Sara titubò per un attimo davanti al portone, ma Sirius non aveva nessuna intenzione di andarsene, non ancora almeno.

-          Ti va di fare due passi? – chiese Sirius indicando i vialetti che si addentravano nel giardino.

-          Certo! – rispose Sara con entusiasmo.

Si incamminarono lentamente, senza prestare realmente attenzione alla strada che stavano percorrendo. All’inizio camminarono a qualche passo di distanza, poi si avvicinarono. Sirius non era preparato a sostenere situazioni di quel genere. Le ragazze con cui era uscito fino a quel momento pendevano dalle sue labbra e non si perdevano in tanti preamboli. Con Sara era diverso, non sapeva fino a che punto poteva spingersi, non riusciva a interpretare i suoi pensieri.

Mentre pensava queste cose Sara sfiorò la sua mano e lui colse l’occasione per avvicinarsi e passarle un braccio attorno alle spalle. Lei gli mise un braccio attorno alla vita e, sempre camminando lentamente, si appoggiò a lui.

Ad un tratto Sara si fermò, con lo sguardo fisso davanti a sé. Aveva un’espressione che a Sirius non piaceva, troppo seria, quasi triste.

-          Cosa stiamo facendo? – chiese Sara continuando a guardare dritto davanti a sé.

-          Stiamo passeggiando – rispose Sirius fingendo di non capire quello che la ragazza intendeva.

Lei si voltò a guardarlo con un sopraciglio sollevato e decise che sarebbe stato meglio essere serio.

-          Non ne sono sicuro – disse voltandosi a guardala – ma credi di essere sulla buona strada per... insomma... diciamo con un eufemismo che non sono più così ostile verso di te come prima.

Sara sollevò gli occhi con aria scettica, come se non credesse davvero alle sue orecchie. Sembrò soppesare le parole per qualche istante, poi disse:

-          Meno ostile – un mezzo sorriso comparve sulle sue labbra – Se questo è essere meno ostile sono curiosa di scoprire cosa succederebbe se cominciassi a piacerti davvero. Secondo te stiamo commettendo un errore? – chiese poi, più seria.

-          No – rispose Sirius attirandola a sé – Non credo. Sai, anche io sono curioso.

Come rispondendo a un comando, il loro volti si avvicinarono e le labbra si sfiorarono. Lo sguardo di Sirius non riusciva a spostarsi dagli occhi di Sara, scuri come pozzi senza fondo. Sembrava che le loro labbra sapessero esattamente cosa fare di loro spontanea volontà. Si baciarono, fermi in mezzo al giardino di Villa White, per un tempo che parve loro infinito.

Quando finalmente si separarono, nessuno dei due poté fare a meno di sorridere. Sirius accompagnò Sara al portone, quindi la salutò e tornò verso l’auto di Remus felice come non lo era da tempo.


  

 
L’appartamento di Sara non vedeva ospiti da mesi, esattamente dall’ultima volta in cui Raymond, il figlio di Rebecca, aveva passato una settimana con lei. La cucina si stava riempiendo del profumo invitante di verdure grigliate. Sara era divertita dallo sguardo sconvolto di Frank, seduto al tavolo rotondo della cucina, intento a sorseggiare una birra. Si guardava intorno come se non avesse mai pensato che anche Sara, come tutti, potesse avere una casa con dei mobili e degli oggetti personali.

Frank e Sara avevano portato il reperto della riesumazione al Ministero che era ormai sera, lo avevano riposto in un contenitore sigillato appositamente per la conservazione e avevano deciso di andarsene a casa e occuparsi delle analisi il giorno seguente.

Parker era riuscito a reperire una copia del giornale che interessava loro all’archivio della Gazzetta del Profeta e c’era voluto del bello e del buono per convincere l’addetta a lasciargliela portare via. Non avevano intenzione di aspettare l’indomani anche per esaminare il giornale e Frank non era disposto a lasciare che il capo lavorasse di nuovo una nottata intera da sola. Così avevano deciso di cambiare un po’ ambiente, per ossigenare il cervello.

-          Non sapevo t’intendessi di cucina – disse Frank ad un tratto.

-          Non sai un sacco di cose su di me – replicò Sara aggiungendo pomodoro a cubetti alle altre verdure.

-          Raccontamene qualcuna allora – propose audacemente il ragazzo – Sono anni che lavoriamo insieme ma della donna che si nasconde dietro l’Auror Capo non so quasi nulla.

-          Sarebbe un racconto lungo e complicato… e noioso. Sono comunque un tuo superiore, non mi conviene che tu sappia troppe cose – commentò la donna scolando nel lavello un incredibile quantità di fettuccine.

-          Almeno mi puoi dire come hai imparato a cucinare.

-          Sì, questo credo di potertelo rivelare – rispose Sara con un sorriso cospiratore. Prima di iniziare a parlare però servì le fettuccine in due piatti e le condì con abbondante sugo alle verdure. Depose un piatto davanti a Frank, quindi si sedette – Buon appetito!

-          Altrettanto… allora dimmi – incalzò Frank impaziente.

-          Ho imparato a cucinare grazie a Emily. Emily è la governante in casa dei miei, ma definirla così è riduttivo. E’ con noi da una vita, praticamente ha cresciuto sia me che mio fratello e mia sorella. E’ una persona fantastica.

-          Aspetta un momento! – esclamò Frank incredulo – Tu hai un fratello e una sorella?!

-          Sì – rispose Sara – Lo trovi così strano?

-          No, è che è insolito pensarti con una famiglia

-          Lo so, è talmente tanto tempo che non mi considero più parte di quella famiglia che fa uno strano effetto pure a me – continuò Sara con una nota amara nella voce.

-          Se avete la domestica dovete passarvela piuttosto bene – rifletté Parker – Come sei finita a fare l’Auror?

-          In effetti, i miei genitori sono sfacciatamente ricchi – confessò la donna con un certo disgusto – Io no di certo – aggiunse poi – Da tempo non compaio più sul testamento.

-          Ti hanno diseredata?! – chiese Frank sconvolto al punto da scordare una forchettata di fettuccine a mezz’aria.

-          Sì, quando sono entrata in Accademia. E’ stato un colpo durissimo per mia madre – scherzò Sara.

-          E come mai hai deciso di entrare in Accademia? – chiese ancora il ragazzo.

-          Ora stai diventando un po’ troppo curioso. Ti ho già raccontato più di quanto volessi all’inizio – rispose Sara.

Era giunto il momento di mettersi al lavoro. Il programma era di leggere e rileggere il giornale da cima a fondo, senza trascurare nulla, neppure le soluzioni dei cruciverba. Il problema maggiore era che non avevano la più pallida di cosa cercare. Mentre Parker suddivideva la Gazzetta del Profeta in diverse sezioni, Sara si accinse a lavare i piatti.

L’acciottolio delle stoviglie le ricordò un’altra serata, in un’altra parte di Londra, in cui aveva lavato i piatti dopo una cena a due.

Era a casa di Remus Lupin. Era una sera d’estate piuttosto afosa, Sara aveva da poco terminato gli esami del M.A.G.O. ed era in attesa dei risultati. Meno di un anno era trascorso dalla morte di Lily e James… e dall’arresto di Sirius. Se Sara era riuscita a sopravvivere e a terminare gli studi lo doveva all’appoggio di Remus e ora, terminati gli esami, era spesso insieme a lui.

-          Cosa pensi di fare ora? – le chiese Remus mentre asciugava e riponeva le stoviglie che lei stava lavando.

-          Intendi cosa penso di fare della mia vita? – replicò Sara – Ancora non lo so. Credo che mi cercherò un lavoro qualunque in un posto qualunque e cercherò di farmi notare il meno possibile.

-          Quindi intendi sprecare le tue capacità? – domandò ancora Remus, quasi con indifferenza.

-          Non credo di avere grandi capacità da sprecare – rispose Sara continuando imperterrita a lavare i piatti.

-          Hai da fare domattina? – chiese il ragazzo cambiando improvvisamente discorso.

-          No, perché? – rispose la ragazza, stupita dal brusco cambiamento.

-          Ti vengo a prendere a casa, alle otto e mezzo.

Sara aveva imparato a non fare troppe domande quando Remus si comportava in questo modo. Così la serata proseguì senza ulteriori accenni al futuro di Sara e verso le undici Lupin riaccompagnò la ragazza a casa, lasciandola sola con la sua curiosità.

La mattina seguente Sara si trovò fuori dal cancello della casa dei suoi genitori alle otto e venticinque ad attendere impazientemente l’arrivo dell’amico. Non aveva idea di cosa avesse in mente, ma si fidava ciecamente di Remus. Probabilmente, qualsiasi cosa fosse, era una buona idea.

Lupin arrivò puntualissimo con la sua vecchia auto, la fece salire e partirono. Quando Sara chiese dove stessero andando non ottenne una risposta soddisfacente, così si rassegnò e attese in silenzio.

Remus fermò l’auto davanti ad un vicolo con una cabina telefonica rossa parzialmente distrutta.

-          Cosa facciamo qui? – domandò la ragazza molto perplessa.

-          Tu sai cosa c’è lì dentro? – chiese per tutta risposta Remus.

-          Certo, è l’ingresso visitatori del Ministero della Magia – rispose Sara cominciando a preoccuparsi. Non capiva dove stessero andando a parare.

-          Esatto – continuò il ragazzo – Oggi alle nove, cioè tra dieci minuti, ci sarà la prova scritta dell’esame di ammissione all’Accademia degli Auror. Qui – proseguì Remus porgendo a Sara una busta – ci sono tutti i documenti compilati per l’iscrizione. Manca solo la tua firma. Ora tu vai lì dentro e fai il test.

Sara fissò con estremo sospetto la busta gialla che Remus le porgeva, poi disse:

-          Tu sei completamente uscito di senno. Io non farò assolutamente niente del genere.

-          Perché no, così hai da perdere? – provò a convincerla Remus - Non sai cosa fare della tua vita, cosa cambia se perdi una mattinata a tentare questo esame? Provaci almeno, se non lo passi non ci hai perso nulla, non hai neppure passato del tempo a studiare. Se invece lo passi non sei obbligata a frequentare l’Accademia. E’ solo un’opportunità.

-          Tu sei fuori di testa! – strillò Sara – Non ti puoi permettere di decidere della mia vita! Non ne hai alcuni diritto!

Sara era furente. Come diavolo si permetteva Remus di metterla in una situazione del genere.

-          Io non sto decidendo della tua vita. Quando sono venuto a trovarti a Hogwarts mi hai chiesto di aiutarti. E’ quello che sto facendo, ti sto aiutando. Ora sta a te decidere se accettare o meno il mio aiuto.

Sara non aveva mai visto Remus con quello sguardo, le faceva quasi paura. Era così duro, quasi cattivo. Si vedeva più chiaro che mai il lupo dietro i suoi occhi grigi.

La ragazza sostenne il suo sguardo a fatica, si sentiva egoista ma allo stesso tempo si sentiva tradita. Non aveva di che replicare, era vero che aveva chiesto l’aiuto di Remus, era l’unico che avrebbe potuto capire, ma non credeva che si sarebbe arrivati a questo.

Senza dire una parola la ragazza afferrò la busta con i documenti, scese dall’auto e sbatté lo sportello con rabbia. Mentre si dirigeva a passo di carica verso la cabina telefonica rossa, Sara non sapeva spiegare perché stesse entrando al Ministero ma era certa che se si fosse voltata avrebbe visto Remus Lupin sorridere.

*^*^*^*^*

La visita di Silente fu una vera sorpresa per Sirius, non si aspettava di vedere il Preside a Grimmauld Place, né tantomeno si aspettava che fosse venuto apposta per parlare con lui. Era arrivato di prima mattina e aveva domandato di restare solo con Sirius.

-          Le hanno raccontato della mia uscita fuori programma? – domandò amaramente l’uomo, seduto di fronte a Silente.

-          Sì, me ne hanno parlato – rispose il Preside servendosi del the posto sul tavolo tra di loro.

-          Ed è venuto fin qui solo per questo? – chiese incredulo Sirius, servendosi a sua volta.

-          Non solo, ma devo dirti che il tuo comportamento mi sorprende, oltre che deludermi – rispose Silente guardandolo negli occhi.

-          Ho provato ad accettare questa situazione – si infervorò Sirius – ma non posso continuare a stare qui con le mani in mano.

-          Capisco la tua frustrazione, ma se avremo fortuna la situazione sarà temporanea.

Sirius fissò lo sguardo sul tavolo e replicò con disillusione:

-          Non credo più nella fortuna.

-          Credi almeno in Sara White? – chiese Silente al di sopra della tazza di the.

Sirius alzò lo sguardo aggrottando le sopraciglia e continuò:

-          Mi sta chiedendo se penso che Sara possa scoprire la verità?

-          Non esattamente, ti sto chiedendo se pensi che possa stare dalla nostra parte. Tu sei una delle persone che la conosce meglio. Pensi che avrebbe il coraggio di compromettere la sua posizione, credere sulla parola a quello che le diremo e unirsi all’Ordine?

Il Preside fissò lo sguardo negli occhi del suo vecchio alunno. Sirius non capiva cosa avesse in mente Silente e, senza una ragione precisa, un brivido gli percorse la spina dorsale.

-          Io non la conosco più così bene – decise di rispondere senza compromettersi troppo – Immagino che abbia lottato a lungo per ottenere il suo posto. Ha sempre avuto un forte spirito competitivo. Non so se vorrà pregiudicare la sua carriera.

-          Neppure per te? – continuò Silente osservandolo da sopra le lenti a mezza luna.

Sirius non poté fare a meno di pensare che Silente ci andava giù piuttosto pesantemente.

-          Per me? Perché dovrebbe? Mi crede un criminale.

-          Ne sei sicuro?

-          Cosa significa questo? – chiese incredulo e seccato Sirius.

-          Sara è venuta a trovarmi a Hogwarts, qualche giorno fa – raccontò il Preside – E’ venuta non appena le sono state affidate le indagini. E’ venuta a chiedermi se avessi delle informazioni, mi ha domandato se sapessi qualcosa di differente rispetto a quello che è noto al Ministero.

-          E lei che cosa ha risposto? – domandò Sirius con il cuore che cominciava a battere più forte del normale.

-          Le ho detto che era previsto che tu fossi il Custode Segreto di Lily e James.

Sirius sentì lo stomaco contrarsi dolorosamente, una parte di lui avrebbe voluto che Silente se ne andasse e non dicesse più una parola, un altro lato di lui invece voleva sapere di Sara, qualunque cosa il Preside fosse in grado di dirgli.

-          Cos’altro le ha detto? – chiese infine.

-          Nient’altro – replicò laconicamente Silente.

Le ultime flebili speranze abbandonarono Sirius. Ora Sara non solo credeva che fosse un pazzo assassino, ma anche un traditore. Come poteva pensare che lui fosse innocente adesso, come avrebbe fatto a trovare la verità?

Sirius si passò una mano sul viso e poi nei lunghi capelli neri. Non aveva il coraggio di guardare Silente, così parlò tenendo gli occhi bassi, verso il tavolo.

-          Non riesco a capire la sua logica, Professore.

-          Senza questo elemento non avrebbe mai potuto venire a capo del mistero – rispose prontamente il Professore – E immagino che tu capisca per quale ragione non potevo dirle come sono andate veramente le cose.

-          Mi perdoni, ma al momento questa ragione mi sfugge – disse Sirius con una nota di sarcasmo non troppo velata.

-          Ma è ovvio! – esclamò Silente – Come avrebbe fatto Sara a giustificare queste conoscenze? Ho fiducia piena in Sara, ho fiducia nelle sue capacità e soprattutto nei suoi sentimenti.

-          Non vedo come potrebbe vedere la strada giusta – disse Sirius cercando di non pensare a quelli che avrebbero potuto essere i sentimenti di Sara in quel momento.

-          Già il fatto che sia venuta a parlare con me è indicativo di qualche dubbio, di qualche perplessità. L’Auror White di solito non si ferma fino a che non ha chiarito ogni cosa.

Sirius alzò lo sguardo e indagò il viso del Preside. Sembrava credere davvero in quello che diceva. Dal canto suo lottava per non cadere nella depressione ma anche per non illudersi. Cedere all’illusione sarebbe stato estremamente consolante, ma una speranza disillusa sarebbe stata peggio della depressione immediata.

Silente aveva ragione, Sara non era tipo da arrendersi.

Ricordava ancora quando avevano toccato l’argomento “famiglia Black” per la prima volta. Sirius non amava parlarne e le sue risposte sull’argomento erano vaghe ed elusive, ma Sara non si accontentava di questo. Lo aveva tormentato, tempestandolo di domande fino a quando non aveva ceduto e le aveva raccontato ogni cosa della sua infanzia, di sua madre, di suo fratello e della sua fuga da casa. Solo quando si dichiarò soddisfatta e ritenne che ogni tassello fosse al suo posto lo lasciò in pace.

Era passata circa una settimana dal matrimonio di Lily e James e gli sposini erano in Luna di Miele. Sirius aveva passato la settimana a pensare a quello che era successo con Sara; aveva avuto molto tempo per riflettere, infatti l’Ordine della Fenice gli aveva affidato un banale compito di sorveglianza e pedinamento ed aveva attraversato i più diversi stati d’animo. Dapprima aveva pensato di aver fatto un’idiozia enorme, che rapporto sperava di avere con Sara White? Era ancora una ragazzina e lui si stufava molto in fretta, perché farla soffrire inutilmente? D’altro canto però l’invito di Sara ad andarla a trovare a Hogsmeade continuava a ronzargli in testa e c’era una piccola parte di lui che non vedeva l’ora di buttarsi in questa sfida. In fondo Sara era la prima ragazza che aveva così a lungo resistito al suo fascino.

Sabato mattina Sirius rientrò nel suo appartamento alle cinque, dopo che Remus gli aveva dato il cambio al pedinamento. L’unica cosa che aveva in mente era quella di farsi una doccia e buttarsi a letto, ma quando si fu lavato e rivestito non aveva più sonno.

Si lasciò cadere pesantemente sul divano e accese una sigaretta, cercando di distrarsi ma con scarsi risultati. I suoi pensieri non facevano che vagare verso Hogwarts, calandolo in una fastidiosa inquietudine. Non capiva per quale motivo si sentisse così, l’effetto che quella ragazza produceva su di lui lo spiazzava e lo faceva arrabbiare con se stesso. Come poteva essere che quella ragazzina monopolizzasse così i suoi pensieri? Era solo perché lo incuriosiva, oppure c’era qualcosa di più?

La sigaretta era consumata fino al filtro. Sirius la spense con rabbia in un posacenere colmo, posato sul tavolino del salotto. Si alzò dal divano.

Aveva una sola cosa da fare: andare a Hogsmeade e cercare di capire.

Indossò la giacca nera che portava sempre, afferrò le chiavi della sua moto e uscì dall’appartamento sbattendo la porta. Il viaggio in moto ebbe il potere di calmarlo. Non doveva essere così irritato, non c’era nulla di cui preoccuparsi. E poi non era lo stato d’animo più appropriato per avere a che fare con un caratterino come quello di Sara.

Atterrò al villaggio che erano quasi le nove del mattino. Parcheggiò la moto in un vicolo e si diresse verso la via principale. Solo in quel momento Sirius rifletté che forse sarebbe stato meglio avvertire Sara, mandarle un gufo quantomeno. Ora non sapeva dove cercarla né se sarebbe andata davvero a Hogsmeade. Si sentì uno stupido, ma ormai era lì, tanto valeva aspettare.

Percorse due volte avanti e indietro la via principale del villaggio, poi si fermò in fondo al paese e si sedette sulla staccionata che delimitava un prato.

Dopo qualche minuto gli studenti cominciarono a riversarsi nelle vie di Hogsmeade, evidentemente avevano avuto il via libera. Sirius cominciò a scandagliare i visi alla ricerca di Sara. Mentre passavano notò alcune ragazze che dovevano essere dell’ultimo anno che lo indicarono e poi si voltarono per ridacchiare. Non per la prima volta si rese conto davvero di quanto quelle ragazze fossero stupide e superficiali.

Superandole con lo sguardo, Sirius la vide: eccola lì, Sara. Era molto carina, indossava un abito nero con una fantasia di piccoli fiori rossi, sulle spalle era appoggiato un giubbotto di jeans e ai piedi aveva un paio di scarpe da tennis nere. Mentre Sirius la osservava Sara si voltò dalla sua parte. Quando lo riconobbe gli sorrise, salutò l’amica con cui stava passeggiando e si incamminò verso di lui. Le ragazze ridacchianti, che erano poco lontane, quando videro Sirius sorridere a Sara strabuzzarono gli occhi e si allontanarono per elaborare la sconfitta.

-          Ciao! – la salutò Sirius scendendo dalla staccionata con un balzo.

-          Allora sei qui… - constatò Sara fermandosi davanti a lui.

-          Sì, ti devo un giro in moto o sbaglio? – rispose Sirius.

-          Già… senti, devo chiederti una cosa… - esordì la ragazza facendosi seria.

-          Dimmi pure – disse Sirius altrettanto seriamente.

-          Possiamo andarcene da qui? Subito. Sento gli occhi delle mie allegre compagne piantati tra le scapole – confessò Sara – E’ peggio di una radiografia.

Sirius notò che effettivamente parecchi sguardi erano diretti dalla loro parte, ma non poté fare a meno di ridere. Era davvero così poco abituata all’attenzione degli altri?

-          Stai ridendo di me, Black? – domandò Sara con aria truce.

-          No… no, scusa… - rispose il ragazzo cercando di ricomporsi.

-          Smettila di ridere! – ingiunse Sara.

-          Non sto ridendo! – esclamò Sirius cercando di non sghignazzare sotto i baffi.

-          Oh, d’accordo. Resta pure lì a divertirti – replicò la ragazza facendo per andarsene.

-          Aspetta! – la fermò Sirius prendendola per un polso – Perdonami non volevo essere scortese – disse, finalmente serio.

Sara si voltò e lo squadrò duramente. Sirius guardò con attenzione in quei profondi occhi scuri per capire se fosse veramente arrabbiata. Fu lei a rompere il silenzio per prima:

-          Ascolta Black, io non so perché sei qui oggi. Ma se ti sei preso il disturbo di fare tutta questa strada solo per prendermi in giro puoi anche tornartene da dove sei venuto.

In quell’istante Sirius comprese, quasi senza rendersene conto, che quella non era solo una sfida, c’era qualcosa di più e lui non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire questo qualcosa.

-          Non sono venuto qui per prenderti in giro, no di certo.

Sara non replicò e Sirius capì che la ragazza non aveva alcuna intenzione di rendergli le cose più facili rompendo il silenzio. Il messaggio era chiaro: “hai fatto il danno, poni rimedio”.

-          Ho parcheggiato la moto in quel vicolo – disse infine – Andiamo?

Sara riflette qualche secondo, poi gli concesse un mezzo sorriso. Si incamminarono in silenzio verso la moto e, quando la raggiunsero, Sirius indossò il casco e ne porse uno alla ragazza. Se Sara rimase sorpresa dalle dimensioni e dalle stranezze del mezzo non lo diede a vedere, si allacciò il casco sotto il mento e, quando Sirius si fu sistemato, salì dietro di lui.

-          Ok, Black. Possiamo andare – disse la ragazza.

-          Va bene – ma prima di partire Sirius disse – Puoi farmi un favore? Chiamami Sirius.

-          D’accordo… Sirius – replicò leggermente titubante la ragazza.

-          Dimenticavo – aggiunse Sirius accendendo il motore – questa moto vola.

Appena ingranata la prima la moto iniziò a sollevarsi da terra, Sirius sentì Sara stringersi a lui e sorrise.

Per quella giornata aveva deciso di portarla a Londra, lontano dagli sguardi indiscreti di Hogsmeade e di Hogwarts. L’avrebbe riportata al castello in tempo per la cena e nessuno avrebbe saputo che si era allontanata tanto. 

Trascorsero la mattinata passeggiando tra i negozi e chiacchierando. Sirius fu piuttosto sorpreso dalla facilità che trovava nel conversare con Sara, scoprì in questo modo che la ragazza aveva senso dell’umorismo e aveva le idee chiare su molti argomenti.

Quando si fece ora di pranzo Sirius la condusse in un piccolo ristorante Babbano, piuttosto nascosto ma di ottima qualità. Il cameriere che li accolse li fece accomodare ad un tavolo accanto ad una finestra luminosa. Mentre veniva servito il pranzo Sirius disse:

-          Allora anche tu abiti a Londra. In che zona?

Sara gli disse il quartiere e il ragazzo esclamò:

-          Però! Zona di lusso.

-          Già – fu la laconica risposta della ragazza.

-          Non mi sembri particolarmente contenta – osservò Sirius.

-          No, infatti non lo sono. Ma non è la zona il problema, figuriamoci – spiegò Sara – il problema è quello che abitare in quella zona comporta. L’eleganza, il lusso, l’ostentazione. Mia madre poi è fissata con le sue convinzioni, ha convinzioni per ogni cosa, sul cibo, sull’abbigliamento, sull’istruzione, sulle compagnie. E guai al mondo a contraddirla, rischi di essere esposto al pubblico ludibrio.

-          In un certo senso ti posso capire – ammise Sirius pensando che con le convinzioni di sua madre avrebbe potuto scriverci un’enciclopedia.

-          Davvero? Non l’avrei mai detto. In che senso puoi capire? – indagò Sara ansiosa di saperne di più.

-          Preferirei cambiare discorso, non amo parlare della mia famiglia – disse Sirius per cavarsi dall’impaccio. L’ultima cosa che voleva era impelagarsi in una conversazione con sua madre come protagonista.

-          Allora perché hai tirato fuori l’argomento se non ne vuoi parlare? – rincarò Sara scrutandolo al di sopra di un bicchiere di vino bianco.

-          Io non ho tirato fuori l’argomento. Tu l’hai tirato fuori – rispose il ragazzo sulla difensiva.

-          Perché ti arrabbi tanto? – domandò innocentemente la ragazza – Non sarai una di quelle persone che tirano il sasso e nascondono la mano. È una cosa da vigliacchi.

-          Mi stai dando del vigliacco? – sibilò Sirius.

La conversazione stava decisamente prendendo una brutta piega e Sirius non voleva finire a litigare al primo appuntamento. Un momento… primo appuntamento? Era già passato dal considerarlo un tentativo al considerarlo un appuntamento?

-          Non ti sto dando del vigliacco, non ti scaldare così  per favore – disse Sara con tono più disteso.

Il pranzo proseguì senza ulteriori intoppi e Sirius credette che la discussione fosse conclusa lì. Ma ancora non conosceva a fondo Sara. Nel pomeriggio decisero di fare una passeggiata a Diagon Alley e concedersi un gelato come i Babbani non avevano idea che esistesse. Fu seduti nella gelateria Florian, davanti a una gigantesca coppa alla ciocconocciola affogata in una vellutata ai frutti di bosco, che Sara ripartì all’attacco sul tema famiglia.

-          Tu sei figlio unico? – chiese a bruciapelo.

Sirius la studiò per un istante con il cucchiaio fermo a mezz’aria prima di decidere che ad una domanda di questa entità poteva tranquillamente rispondere.

-          No, ho un fratello. Si chiama Regulus.

-          Ah già! – esclamò Sara – Che sciocca, Regulus Black di Serpeverde. E’ due anni avanti a me se non erro. E dimmi, è lui la pecora nera della famiglia o sei tu?

-          Cosa ti fa credere che uno di noi sia una pecora nera? – domandò il ragazzo preoccupato dall’acume di Sara.

-          Il fatto che siate agli antipodi. Uno a Grifondoro e l’altro a Serpeverde, uno spavaldo e l’altro più schivo, uno al centro dell’attenzione e l’altro più in ombra.

-          Sono colpito da questa analisi – replicò Sirius sarcastico – In linea di massima la pecora nera sono io.

-          Lo immaginavo – disse Sara in tono quasi trionfante mentre affondava nuovamente il cucchiaio nel gelato.

Sirius attese prima di chiedere perché. Aveva una certa voglia di vedere cosa avrebbe fatto lei se avesse lasciato cadere completamente il discorso. Ma dallo sguardo acceso della ragazza comprese che non avrebbe desistito con tanta facilità, così si arrese e domandò:

-          Perché lo immaginavi?

-          Perché altrimenti non vedo come avresti potuto capire il mio punto di vista – spiegò lei semplicemente - Ricordi il discorso che facevamo prima? Bene, anche io sono la pecora nera della famiglia. Ho sempre detestato gli amici di mia madre, non ho mai partecipato a ricevimenti e feste a meno di non essere costretta, non ho intenzione di sposare un ricco avvocato e fare la mantenuta per il resto dei miei giorni, non mi piace impiegare otto ore a prepararmi prima di uscire a comprare il giornale e, cosa da non sottovalutare, sono una strega. Questo è il massimo dell’onta che potevo fare a mia madre. Se capisci il mio punto di vista significa che la tua esperienza è simile alla mia. Scommetto che vieni da intere generazioni di Serpeverde.

Sirius cercò di non dare a vedere quanto fosse sconcertato da queste rivelazioni. Aveva sempre immaginato Sara in una bifamiliare, con una famiglia normale ma felice, con genitori orgogliosi e con poche preoccupazioni per la testa. E invece scopriva che le loro esperienze non erano poi così diverse.

-          Tu parli sempre di tua madre. Tuo padre invece? – domandò infine cercando qualcosa da dire.

-          Mio padre è una presenza positiva ma aleatoria nella mia vita. Non è che ci sia un granché da dire. Ok, io ho confessato. Ora tocca a te – disse Sara con un ampio sorriso.

-          Tu non molli mai vero? – chiese il ragazzo esasperato.

-          No e soprattutto non ho intenzione di mollare con te. Devo fartene purgare troppe. Quindi o ti decidi a parlare oppure continuerò a tormentarti.

Sirius fece un sospiro di rassegnazione. Il gelato era terminato e lui sembrava non avere scelta. La cosa che lo stupiva di più era che si sarebbe infuriato a morte con chiunque altro avesse osato torchiarlo a quel modo, anche con James Potter. Con Sara invece era diverso. Sarà stata colpa di tutto quello zucchero che aveva appena assunto, oppure del modo in cui lei gli sorrideva mentre gli faceva le domande più spinose. Anche a distanza di più di un decennio Sirius non avrebbe saputo dirlo. Fatto sta che cominciò a parlare.

Raccontò di sua madre, despota familiare che ce l’aveva a morte con lui. Raccontò di suo padre, che viveva completamente all’ombra della moglie. Raccontò di suo fratello Regulus, il figlio perfetto che lui non era stato capace di essere. Poi parlò della sua fuga da casa, di come avesse trovato rifugio dalla famiglia di James e a Hogwarts e di come, da allora, non avesse più parlato con nessun membro della famiglia. Le disse dell’eredità di suo zio e le parlò a lungo di sua cugina Andromeda, l’unica parente per cui valesse la pena spendere qualche parola in più.

Parlò fino a quando non fu ora di riaccompagnare Sara a Hogwarts e lei non batté ciglio, ascoltò con interesse come se quelle storie riguardassero lei personalmente. Non fece commenti e non gli diede consigli. Lo ascoltò e basta.

Prima di risalire sulla moto e intraprendere il viaggio di ritorno, Sara disse:

-          Visto? Non è stato poi così terribile parlarne.

Sirius si limitò a sorridere. Non avrebbe mai ammesso che, dopo quella chiacchierata, si sentiva sollevato. Non avrebbe mai ammesso che temeva che quel lato non proprio esaltante della sua vita avrebbe potuto allontanare Sara.

Salirono sulla moto volante e ripercorsero la rotta che avevano seguito al mattino, fino ai cancelli di Hogwarts. Quando arrivarono stava scendendo la sera e gli ultimi ritardatari erano già sulla via del castello.

-          Devo sbrigarmi o Gazza non mi farà più entrare – esclamò Sara slacciando in fretta il casco e restituendolo a Sirius – Grazie della giornata, sono stata benissimo.

-          Anche io sono stato bene – rispose Sirius avvicinandosi a lei – Mi piacerebbe ripetere – propose con un sorriso che avrebbe fatto squagliare le ginocchia a tutte le ragazze di Hogwarts.

-          Piacerebbe molto anche a me – replicò Sara, arrossendo appena – Sarò impegnata con gli esami tutta la settimana e poi dovremo attendere i risultati. Tra un paio di settimane però tornerò a Londra per l’estate.

-          Fammi sapere quando arrivi. Vengo a prenderti alla stazione – disse Sirius estraendo un frammento di pergamena dalla tasca e scribacchiandoci sopra il suo indirizzo – Mandami un gufo – aggiunse porgendole la pergamena.

Per la prima volta nell’arco della giornata pareva che Sara avesse esaurito le parole. Sirius decise di essere clemente e di toglierla dall’imbarazzo. Si chinò verso di lei, le pose le mani sulla vita e la baciò piano. Fu un bacio molto più lungo di quello che si erano scambiati dopo il matrimonio di Lily e James, di sicuro non fu il migliore, ma senza dubbio fu il loro primo vero bacio.


 
Per i lettori: ecco il capitolo 9! Questo è un capitolo importante per me, quindi ci terrei davvero a conoscere le vostre opinioni. Buona Lettura!


Pling! Le porte dell’ascensore scomparvero a lato delle pareti e lasciarono scorgere un lungo e ampio corridoio. Sara uscì dall’ascensore e si avviò verso l’unica porta, esattamente di fronte a lei. Le sue scarpe sportive calpestavano pesantemente un tappeto dall’aria lussuosa e i suoi occhi evitavano di vagare sulle pareti decorate con arazzi elaborati e drappi di velluto vermiglio. Il pensiero di Sara era rivolto all’insignificante omuncolo che si trovava al di là di quella porta e che aveva il potere di decidere delle sorti del mondo magico. Giunta alla fine del corridoio, la donna spinse la porta di mogano finemente intagliato e si trovò in un’anticamera ampia e luminosa. Di fronte a lei c’era un’ulteriore porta, sulla sinistra c’erano una serie di poltroncine allineate al muro, mentre a destra era posizionata una scrivania dall’aria semplice, se paragonata a tutto quello sfarzo. Dietro la scrivania stava un giovane con i capelli rossi e le lentiggini.  

Percy Weasley alzò lo sguardo verso la donna e Sara si chiese ancora come quel ragazzo dall’aria astiosa potesse essere il figlio di una persona gentile come Arthur Weasley. Sara aveva avuto a che fare poche volte sia col padre che col figlio, ma la differenza era stata subito evidente.

-          Si? – domandò noncurante il ragazzo.

-          Devo vedere il Ministro – rispose altrettanto asciutta Sara.

-          Ha un appuntamento?

-          No, ma è una cosa importante – replicò la donna cercando di non far trasparire l’urgenza dalla voce.

-          Vedo se posso fare qualcosa – disse Weasley con aria di sufficienza.

Mentre Percy si alzava e si dirigeva impettito verso la porta dell’ufficio del Ministro, Sara non poté fare a meno di immaginarlo inciampare nel tappeto che, dal corridoio, si estendeva a coprire completamente il pavimento. Il ragazzo tornò dopo poco, senza inciampare e annunciando con il solito tono pomposo che Caramell acconsentiva a riceverla.

Troppa grazia.

Sara immaginava che Caramell fosse piuttosto preoccupato, le sue visite non portavano mai notizie positive per la sua carriera di Ministro, e lo sguardo accigliato che la accolse quando varcò la porta confermò i suoi sospetti.

-          A cosa devo questo onore? – domandò Caramell facendole cenno di sedere di fronte a lui. Caramell sapeva di avere di fronte una persona che poteva metterlo in seria difficoltà e fu meno ostile del suo zelante assistente.

-          Devo parlarle di una cosa veramente importante. Il mio capo l’ha informata che mi occupo del caso Black? – disse Sara senza preamboli.

-          Sì, i suoi superiori mi avevano accennato – rispose il Ministro con una smorfia non particolarmente incoraggiante.

-          Bene. Ho visto dai registri della prigione che lei è stato ad Azkaban poco prima della fuga di Black. Per ragioni che ora sarebbe troppo lungo spiegarle ho assolutamente bisogno di sapere se lei ricorda qualcosa di insolito in quella visita. Qualunque dettaglio potrebbe essere importante.

Seduta sulla punta della sedia Sara trattenne il fiato mentre aspettava una reazione da parte di Caramell. Il Ministro spalancò gli occhi per un istante e la sua bocca si dischiuse in un’esclamazione muta. Sara si sporse dalla sedia verso la scrivania come per incalzarlo a parlare e, dopo qualche istante, il Ministro sembrò ritrovare la voce.

-          Sì – iniziò titubante – Ricordo perfettamente quella visita. Ero andato per la solita ispezione semestrale. Allora non ero ancora Ministro.

Caramell parlava a scatti e aveva un tono che Sara non gli aveva mai sentito. Per la prima volta da che lo conosceva, la donna ebbe l’impressione che Caramell trovasse la sua sedia scomoda come se fosse coperta di spine e che avrebbe preferito fare qualunque cosa tranne il Primo Ministro.

-          Durante le ispezioni dovevamo, come ultima cosa, fare visita ai detenuti. Camminavo davanti alle celle e non vedevo altro che visi persi nel vuoto. Le uniche parole che sentivo erano borbottii indistinti o discorsi deliranti. Per questo Black mi aveva colpito così tanto.

Sara pendeva letteralmente dalle sue labbra. Il Ministro era pur sempre la persona che aveva visto più recentemente Sirius e lei bramava informazioni come un assetato nel deserto.

-          Quando arrivai davanti alla sua cella lo trovai seduto sulla branda con lo sguardo rivolto verso le sbarre della piccola finestra. Gli rivolsi qualche parola e lui mi rispose con assoluta lucidità, come se per lui tutti quei Dissennatori fuori dalla cella non avessero alcun effetto. Alla fine della visita mi chiese se potevo lasciargli il giornale. Disse che gli mancavano i cruciverba.

Sara chiuse gli occhi e si sforzò di controllare ogni cellula del suo viso per trattenere un sorrisetto. Tipico di Sirius fare del sarcasmo nelle situazioni peggiori.

-          Così gli ho lasciato la Gazzetta del Profeta. Dopo quella giornata non avevo nessuna voglia di leggere il giornale.

-          Non ricorda nient’altro? Niente di strano, di insolito, di diverso dalle volte precedenti? – chiese Sara sperando in altri particolari.

-          No, mi dispiace. Questo è tutto – rispose il Ministro togliendosi gli occhiali da lettura e appoggiandoli alla scrivania.

Sara si appoggiò allo schienale della sedia e fissò lo sguardo nel vuoto. Sentiva un’idea, un’intuizione geniale appostata in un angolo del suo cervello e stava cercando di farle superare la timidezza per manifestarsi in tutto il suo splendore.

C’era qualcosa di terribilmente importante che le sfuggiva, un dettaglio, qualcosa… doveva esserci qualcosa, era la sua ultima speranza.

-          Si sente bene? – chiese Caramell, che nel frattempo aveva recuperato il suo tono d’ordinanza.

-          Ma certo! - esclamò Sara balzando in piedi – Ma certo! Il giornale! Mi dica, era di quel giorno? O era precedente?

-          No, era di quel giorno – rispose il Ministro – Ma non capisco che cosa c’entri.

-          Grazie! – esclamò Sara uscendo di corsa dall’ufficio senza rispondere – Grazie mille dell’aiuto!

Come aveva fatto a non capirlo immediatamente? Il giornale era stata la molla. Doveva essere così. Sara superò come un fulmine Percy Weasley senza degnarlo di uno sguardo, corse lungo il corridoio, ignorò l’ascensore e percorse le scale più in fretta possibile.

Quando entrò nel suo ufficio trovò Frank che sbocconcellava un tramezzino accanto alla scrivania.

-          Forse ci siamo! – esclamò eccitatissima Sara.

-          Davvero? Cosa hai scoperto? – domandò Frank esaltato come un bambino.

-          Ascoltami. Ascoltami senza interrompermi – iniziò Sara passeggiando su e giù per la stanza – Caramell quel giorno era andato a fare un’ispezione. Quando è andato a visitare i detenuti ha parlato con Black e gli ha lasciato il giornale. Capisci? Il giornale!

-          Hem… mi dispiace ma no, non capisco… – rispose Frank aggrottando le sopraciglia.

-          Deve essere stato il giornale a far scattare quella molla di cui parlavamo – strillò Sara alzando le mani al cielo. Quindi si sedette e proseguì con più calma – Abbiamo detto che, se è evaso dopo tredici anni e non subito, qualcosa deve averlo turbato, spaventato, deve aver avuto una spinta, un impulso. Era un sorvegliato speciale, stava in isolamento. L’unico contatto con l’esterno che ha avuto è stato quel giornale! Deve aver letto qualcosa lì dentro, qualcosa che lo ha spinto ad evadere.

-          Credi che sia possibile? – chiese Parker incredulo.

-          Lo spero più che altro. È l’ultimo appiglio che abbiamo.

-          Non dimenticare la riesumazione. Mentre non c’eri hanno portato l’autorizzazione – la informò Parker sventolando un plico di moduli.

-          Calma, una cosa per volta. Prima la riesumazione, finché è giorno e c’è luce. Mentre organizzo la cosa tu vai all’archivio della Gazzetta del Profeta e procurati una copia del giornale di quel giorno.

Frank si alzò senza perdere un attimo e uscì dall’ufficio. Sara prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, quindi sollevò la cornetta del telefono collegato alla linea interna.   

-          Andrew, sono Sara. Mi servono due uomini per una riesumazione... Sì, hai capito bene, una riesumazione… Adesso… No, forse non sono stata chiara. Mi servono ora, partiamo tra mezz’ora…. Ti consiglio di fare qualcosa di più del tuo meglio.

Il click della cornetta che si riagganciava risuonò nel silenzio dell’ufficio. Sara si passò le dita tra i capelli e si appoggiò allo schienale della sedia con i gomiti abbandonati sui braccioli. Che giornata. E non era ancora finita.

Sara sperava ardentemente di trovare qualcosa, o nel giornale o sul dito di Minus o, ancora meglio, su tutti e due. Era l’ultima spiaggia, l’ultimo briciolo di speranza. Nessun caso era mai stato cosi difficile. Non solo non aveva informazioni, non solo la scena del crimine non esisteva più, ma doveva anche fingere di essere totalmente estranea alla cosa, di non aver mai conosciuto Sirius Black, di non aver avuto una storia con lui, di non essere stata sul punto di mollare ogni cosa quando l’avevano accusato dell’assassinio di quelle persone.

Quella storia la toccava più profondamente di quanto chiunque immaginasse. Lei stessa dopo tutti quegli anni non avrebbe creduto di soffrire ancora così tanto, ciò nonostante la ferita era ancora aperta e sanguinante per giunta. Quando tutto era iniziato nessuno avrebbe creduto che sarebbe finita così, nessuno poteva prevedere… Né lei, né Sirius.

Sara aveva rivissuto ogni istante di quei due anni nella memoria, centinaia e centinaia di volte, i momenti belli e quelli brutti e tutto quello che era stato dopo. Ricordava tutto con precisione quasi psicotica.

Il giorno del matrimonio di Lily e James, Sara si era alzata presto, prima delle sei. Hogwarts dormiva ancora profondamente e non si sentiva alcun suono. Sara si alzò dal letto e si vestì con un paio di jeans e una maglietta presa a caso dal mucchio nel suo baule. Aveva preparato la sera prima una sacca da portare a Londra con alcune cose che le sarebbero servite. Una volta pronta raccolse le sue cose e uscì silenziosamente.

Faceva uno strano effetto camminare per i corridoi di Hogwarts con quel silenzio, la Sala Grande, quando Sara entrò, era ancora più strana, completamente deserta. La tavola di Grifondoro era apparecchiata per due. La ragazza si guardò intorno ma non c’era nessuno in vista, si sedette e attese davanti al piatto vuoto che qualcosa accadesse.

Dopo qualche istante sulla porta comparve il Professor Silente.

-          Buon giorno professor Silente – salutò Sara alzandosi in piedi.

-          Comoda, comoda. Buon giorno! Non ha appetito? – chiese il professore indicando la tavola improvvisamente imbandita, che Sara ignorava.

La ragazza si voltò di scatto e vide che i piatti davanti a lei si erano riempiti. Titubante per la presenza del Preside, Sara si servì di toast imburrati e di caffè. Silente si sedette di fronte alla ragazza e si servì un toast al formaggio che spalmò di marmellata.

-          Era moltissimo tempo che non sedevo a questo tavolo. Devo dire che da qui la prospettiva è del tutto diversa – esordì Silente guardandosi intorno mentre addentava un angolo del toast.

Sara non sapeva cosa rispondere. Non aveva mai parlato con il Preside a quattr’occhi, a dire la verità non aveva mai parlato con il Preside direttamente, né era mai stata sola con lui. Non poteva fare a meno di domandarsi cosa facesse lì a quell’ora del mattino. Probabilmente quella domanda doveva averla impressa in volto, perché dopo qualche istante Silente proseguì:

-          Immagino che si chieda come mai sono qui. Sono stato invitato anch’io al matrimonio, quindi temo che dovrà sopportarmi fino a Londra.

A quella rivelazione Sara parve ritrovare la voce e rispose con un sorriso:

-          Sarà un piacere viaggiare con Lei.

-          In realtà – disse ancora Silente – anche la professoressa McGrannitt è stata invitata, ma qualcuno deve restare a controllare la scuola quindi ho fatto valere il mio diritto di anzianità.

La colazione fu consumata abbastanza rapidamente e, quando entrambi furono sazi, Silente guidò Sara all’esterno. Il cielo su Hogwarts era limpido e il sole cominciava a riscaldare i prati e il lago. La ragazza stava appunto per domandarsi come avrebbero raggiunto Londra, quando il Preside indicò una carrozza di quelle che conducevano gli studenti alla scuola dal treno il primo giorno dell’anno scolastico.

-          Dopo di lei – la invitò Silente aprendo lo sportello.

Sara si arrampicò sulla scaletta e prese posto in un angolo. Non appena anche il Preside si fu sistemato, la carrozza partì da sola lungo il vialetto in direzione del cancello. Man mano che si avvicinava alla cancellata chiusa acquistava sempre più velocità, tanto che Sara iniziò a temere che sarebbero usciti sfondando il cancello. Quando stavano per scontrarsi, la carrozza si sollevò da terra e prese quota nel cielo azzurro. Questo improvviso cambiamento colse Sara così di sorpresa che emise un grido strozzato.

Silente la guardò divertito, poi spiegò:

-          Thestrals.

-          So… sono Thestrals che trainano le carrozze? – chiese Sara incredula, riavendosi dallo spavento.

-          Sì, conosce queste creature? Sono straordinarie, estremamente mansuete se si sanno prendere per il verso giusto.

La ragazza non trovò nulla da replicare, così prese a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva rapido sotto di loro. Quando si voltò verso il Preside vide che l’uomo aveva appoggiato la testa di lato e si era assopito o almeno così sembrava.

Il viaggio fu più rapido di quanto Sara si aspettasse, aveva portato con sé un romanzo da leggere nell’attesa ma il paesaggio era molto più interessante e i suoi pensieri la tennero occupata fino all’arrivo. Non sapeva che cosa aspettarsi da questa giornata, sperava solo di riuscire a evitare Sirius Black il più possibile. Non aveva nessuna intenzione di rovinare alla sua amica quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita.

L’idea che Lily si sposasse la rattristava un po’, significava la fine di un periodo in cui potevano permettersi di essere frivole e spensierate, significava che Lily stava passando nel mondo degli adulti e Sara non sapeva se sarebbe stata ammessa a far parte di questo mondo nuovo.

La carrozza atterrò leggera in un vicolo e Silente si ridestò con l’aria fresca e riposata come se avesse riposato tra coltri di seta.

-          Ah bene! Siamo arrivati! – annunciò stiracchiandosi – Allora signorina White, qui le nostre strade si dividono, dico bene? So che la signorina Evans ha prenotato per lei una stanza d’albergo. Ci rivediamo qui domattina alle otto in punto. Passi una buona giornata e si diverta!

Sara e Silente si divisero all’imbocco del vicolo. Silente fermò un taxi e si allontanò alla volta della chiesa. Che strano effetto faceva vederlo su un mezzo così evidentemente babbano!

Prima di incamminarsi Sara respirò per un attimo lo smog di Londra, in qualche modo quella città era la sua casa e le piaceva tornarci di tanto in tanto. Come rispondendo ad un comando, svoltò a destra e prese a camminare rapidamente. Prima di andare in chiesa doveva passare al negozio di abiti da cerimonia.

Quando varcò la soglia Mary Jane, la commessa, le corse in contro.

-          Buon giorno! Ben arrivata! Il vestito è già pronto nel camerino – strillò indicando una tenda alla sua destra.

-          La ringrazio – replicò Sara un po’ spaesata da quell’accoglienza.

Scortata dalla commessa, la ragazza si diresse verso il camerino. Lì trovò il vestito avvolto in una elegante busta di stoffa bianca. Fece scorrere la cerniera ed eccolo lì, bellissimo ed elegante più di quanto non ricordasse. Si spogliò rapidamente e raccolse i suoi abiti nella sacca, quindi indossò le scarpe e  il vestito con la massima cautela. Quando fu pronta si voltò verso lo specchio. L’immagine che ne ebbe indietro non le apparteneva, non si era mai vista così. I miracoli che poteva fare un po’ di stoffa ben confezionata!

Accostandosi allo specchio la ragazza si truccò in modo leggero: un velo di ombretto, una riga nera per dare profondità agli occhi e il suo rossetto preferito.

Mary Jane la attendeva subito dietro la tenda e, quando la vide, diede in esclamazioni di ammirazione e giubilo. In effetti anche Sara era soddisfatta del risultato. Prima di avviarsi al bancone diede un’ultima occhiata allo specchio: il vestito cadeva perfettamente, con i drappeggi giusti nei punti giusti, la stola copriva le spalle come un velo, la scollatura non era eccessiva e, per finire, i tacchi la slanciavano parecchio. Distogliendo lo sguardo dalla sua immagine, Sara diede un’occhiata all’orologio d’acciaio che portava al polso sinistro. Si stava facendo tardi.

Mary Jane la attendeva dietro il bancone. Quando la ragazza si accostò per saldare il conto le porse una scatola argentata.

-          Questa è un omaggio della ditta – spiegò la commessa.

La ragazza aprì la scatola e vi trovò una piccola borsetta, con la tracolla a catenella, esattamente della stessa tinta dell’abito.

-          E’ troppo non posso accettare! – esclamò Sara.

Cercò di protestare, ma con così poca convinzione che pochi istanti dopo era in strada, con i suoi vecchi vestiti nella sacca, la nuova borsetta appesa alla spalla e il portafogli alleggerito di un bel po’ di quattrini.

Sara guardò nuovamente l’orologio. Poteva farcela, ma non a piedi e non sui tacchi. La chiesa distava pochi isolati ma la ragazza decise di fermare un taxi e farsi accompagnare. Per il matrimonio di Lily non avrebbe badato a spese.

Quando l’auto si fermò, davanti alla chiesa c’era già un certo fermento, anche se gli invitati non erano molti a quanto aveva detto Lily. Sara vide parecchie persone che conosceva di vista come studenti di Hogwarts, ma vide anche persone che non conosceva. Dall’altro lato della strada le parve perfino di scorgere Severus Piton, ma quando si voltò per guardare meglio non c’era nessuno. Probabilmente doveva averlo immaginato. James Potter non avrebbe mai e poi mai invitato Mocciosus al suo matrimonio.

Sara si affrettò a salire la scalinata, c’era una fioriera molto interessante al lato della porta. La ragazza la esaminò per un attimo poi, con indifferenza ma stando attenta che nessuno la notasse, ci fece scivolare dentro la sacca. Non voleva andare in chiesa con quella. Depositato il bagaglio varcò il portone laterale di sinistra e prese a guardarsi intorno alla ricerca di visi noti.

Mentre muoveva qualche passo verso la navata centrale, due ragazze che riconobbe essere compagne di scuola di Lily, la oltrepassarono e Sara colse uno stralcio di conversazione:

-          L’hai visto? – diceva una in un sussurro cospiratore.

-          Si – rispose l’altra languidamente – E’ ancora meglio di quando andavamo a scuola.

-          Il testimone più affascinante che abbia mai visto – replicò l’altra ridacchiando.

-          Già, e avremo tutto il ricevimento per passare all’attacco.

Sara le guardò allontanarsi provando una punta di fastidio che non riuscì a spiegarsi del tutto. Che razza di discorsi da fare in quel momento, ma dopotutto non era la prima volta che le capitava di sentir parlare di Sirius in quei termini, come se fosse una preda di una battuta di caccia.

Sara diede un’occhiata tra i banchi e ne individuò uno vuoto, accanto ad una colonna. Si diresse da quella parte e si sistemò nel punto più defilato. Mentre il suo sguardo passava sugli invitati, la ragazza si sorprese a cercare proprio il testimone dello sposo. Lo individuò esattamente dalla parte opposta della chiesa, che parlava con James.

Ad un tratto Sirius guardò nella sua direzione e i loro sguardi si incrociarono per un istante. Il ragazzo fece un cenno di saluto e lo stomaco di Sara fece un sobbalzo strano e lei pensò che, in effetti, non era affatto male. Sollevò appena una mano per ricambiare il saluto e Sirius tornò a voltarsi verso James. Poteva aver ragione Lily, forse si sbagliava sul conto di Sirius Black. Magari, conoscendolo meglio, non sarebbe stato così insopportabile. Quasi immediatamente si diede della stupida per aver pensato una cosa del genere, ma la sua mente fu sollevata da ulteriori riflessioni grazie all’arrivo della sposa.

Lily era bellissima e James era raggiante. Sara non l’aveva mai visto così felice, sembrava del tutto diverso dalla persona che aveva conosciuto a Hogwarts. Lo sguardo della ragazza finiva più spesso di quanto non avrebbe voluto sul ragazzo alla destra dello sposo. Anche Sirius sembrava in qualche modo diverso, più adulto, più uomo.

La cerimonia filò via liscia e rapida, nessuno obiettò a quell’unione e, al termine della messa, gli invitati sciamarono all’esterno per le foto di gruppo. Sara fu tra le ultime ad uscire. In un momento di tregua dal fotografo, si avvicinò a Lily e la salutò con un abbraccio.

-          Allora ce l’hai fatta! Sei splendida! – esclamò la sposina.

-          Grazie! Anche tu non sei niente male con questo vestito. Allora, come ci si sente da sposati? – chiese Sara curiosa.

-          Felici come non mai! – fece in tempo a rispondere Lily, prima di essere nuovamente trascinata via dal fotografo.

In quel momento Sara avvertì una mano sulla spalla, si voltò e vide il volto aperto e solare di Remus Lupin che le sorrideva.

-          Ciao Remus! – salutò con calore.

-          Ciao Sara! E’ andato bene il viaggio? – chiese il ragazzo prendendola sotto braccio e accompagnandola verso l’uscita.

-          Sì, benissimo. Come stai? È parecchio che non ci vediamo.

-          Tutto bene, grazie. Hai già un mezzo per andare al ricevimento? – si informò Remus.

-          Non ancora, pensavo di prendere un taxi – rispose la ragazza.

-          Ma no! Perché non vieni in macchina con noi? Siamo solo io, Peter e Sirius – suggerì lui.

-          Hem… il mio programma per la giornata sarebbe evitare il più possibile il testimone dello sposo. Non vorrei trasformare il ricevimento in un talk show.

-          Sara, non potete continuare ad evitarvi. Perché semplicemente provate a non punzecchiarvi continuamente?

Sara sospirò e si guardò intorno. I suoi occhi raggiunsero la figura di Sirius come se fossero stati attratti da una calamita. Lui era in cima alla scalinata, allegro e sorridente, non sembrava affatto il ragazzo astioso che coglieva sempre ogni pretesto per litigare con lei. Il fotografo stava immortalando l’abbraccio amichevole tra lui e James. La ragazza chiuse gli occhi e si voltò di nuovo verso Remus.

-          D’accordo – acconsentì riaprendo gli occhi – ci posso provare. Ma ci riuscirò solo se il signor Black deciderà di collaborare.

Remus sorrise sollevato e rispose:

-          Per questo non credo ci saranno problemi, almeno per oggi.

Detto questo la lasciò per un attimo con le sue preoccupazioni mentre andava a recuperare l’auto. Quando tornò con la sua vecchia vettura malconcia, anche Peter e Sirius si avvicinarono. Peter si limitò a un timido cenno di saluto, mentre Sirius la fissò un attimo con sospetto prima di voltarsi verso Remus e fulminarlo con lo sguardo.

-          Buon giorno, signor Black! – salutò Sara con un sorriso che sperò che risultasse conciliante. Era meglio cominciare con il piede giusto.

-          Buon giorno, signorina White – rispose lui osservandola con stupore.

-          Allora, si va? – domandò Remus mettendosi alla guida.

-          Sì, io devo stare davanti altrimenti soffro – disse Peter prendendo posto accanto all’autista prima che qualcuno potesse protestare.

Prima di salire sull’auto Sara schizzò a prendere la borsa che aveva nascosto nella fioriera, quindi si sedette dietro Remus e Sirius prese posto accanto a lei. Si guardarono per un attimo, senza dire nulla, come supplicandosi con gli occhi di tacere per non complicare le cose. Poi, quando Remus partì, si voltarono da parti opposte e così rimasero per tutto il tragitto fino al ristorante.

*^*^*^*^*

-          Niente, non riusciamo a scoprire niente – stava dicendo Tonks davanti a un caffè bollente nella cucina di Grimmauld Place.

-          Sanno sempre tutto di tutti al Ministero – rispose James – Possibile che non si sappia assolutamente nulla di quello che la White sta facendo? – esclamò con una certa frustrazione.

-          E’ brava a svolgere il suo lavoro quanto è brava a nasconderlo – intervenne Kingsley con la sua voce calma e profonda - Le uniche persone che possono sapere qualcosa sono i suoi collaboratori più stretti, ma non è affatto facile avvicinarli senza destare sospetti. Sono stati addestrati molto bene.

-          Chi sono questi collaboratori? – domandò Sirius, intervenendo per la prima volta nella conversazione.

Tonks e Kingsely avevano ricevuto dall’Ordine il compito di tenere d’occhio Sara, di cercare di capire a che punto fossero le indagini e che cosa avesse scoperto. A Sirius sembrava del tutto assurdo che qualcuno dovesse controllare Sara, come se fosse una spia o un pericolo, ma Silente aveva insistito, non avevano idea di cosa avrebbe potuto scoprire, né sapevano da che parte stesse, quindi era meglio prendere le dovute precauzioni. A quanto sembrava però non era così semplice.

-          I collaboratori di Sara sono Roger Klyne, Olga Vucavich e Frank Parker – cominciò a spiegare Kingsley - Klyne e Vucavich lavorano con la White da quattro anni. Facevano parte del gruppo di reclute affidate a Sara e, terminato il periodo di prova, sono rimasti con lei.

-          A dire il vero – lo corresse Ninfadora – credo che sia stata lei a sceglierli per far parte della sua squadra, era stata sommersa di richieste.

-          Sì, può essere – confermò l’Auror, lievemente seccato per l’interruzione.

-          Invece Frank Parker? – chiese Lily, interessata.

-          Frank Parker – riprese Tonks – lavora con Sara da più tempo. Sono poco più di otto anni. E’ stato la prima recluta affidata alla White, quando era Auror Guida, e da allora hanno sempre lavorato insieme. E’ stato la prima persona che ha scelto quando ha formato la sua squadra.

-          Sembra che attualmente nelle indagini su Sirius sia coinvolto solo Parker – interloquì Kingsley – Vucavich e Klyne continuano a lavorare agli altri casi.

-          Probabilmente Sara ha ritenuto che coinvolgere meno persone possibili fosse il modo migliore per evitare fughe di notizie di qualunque tipo – suggerì Lupin.

-          A questo punto mi domando per quale motivo non se ne sia occupata da sola – chiese James.

-          Quando ho lavorato con lei – replicò Tonks – mi ricordo che mi aveva detto che lavora meglio con un interlocutore. Parlare in due delle cose aiuta a vedere dettagli che da soli non si riuscirebbero a distinguere. Diceva così.

Sirius si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Quelle teorie erano tipiche di Sara. Gli aveva detto una cosa simile una volta in cui l’aveva coinvolto in un ripasso prima degli esami. Quando lui aveva protestato che gli esami li aveva già sostenuti una volta, lei gli aveva detto che con un interlocutore sarebbe riuscita a ripassare meglio e più in fretta.

Era incredibile come Sirius ricordasse ogni dettaglio di quei due anni passati con Sara, era quasi maniacale. Ricordava in modo particolare i momenti più importanti, quelli che avevano segnato una svolta, come il matrimonio di Lily e James.    

La cerimonia aveva assorbito completamente i suoi pensieri, facendogli scordare la presenza di Sara. Solo al momento di partire alla volta del locale che era stato affittato per i festeggiamenti, i pensieri di Sirius erano tornati alla ragazza. Scendendo la scalinata della chiesa, la vide confabulare con Remus e avvicinarsi alla sua auto. Quando arrivò accanto alla macchina comprese che Sara sarebbe andata con loro e lanciò un’occhiataccia a Remus: una cosa era cercare di non litigare con Sara, un’altra cosa era invece cercare di non litigare con Sara passando la giornata gomito a gomito con lei.

Mentre stavano per salire, la ragazza esclamò:

-          Un momento! Che idiota, stavo per dimenticarmene – e fuggì di corsa verso la chiesa.

-          Che ragazza strana – commentò Peter.

-          Era assolutamente necessario che venisse con noi? – chiese Sirius a denti stretti.

-          Non aveva un mezzo, volevi che la lasciassi andare in taxi? – replicò Remus, mentre Sara ritornava con una strana sacca in mano.

-          No, certo che no, ma non c’era proprio nessun’altro che la potesse accompagnare?

Remus pose fine alla conversazione con un’occhiata, mentre Sara arrivava di corsa. Sirius salì in auto dietro a Peter e, dall’interno dell’auto, sentì Remus che chiedeva:

-          Da dove viene questa?

-          Remus, non crederai davvero che sia venuta da Hogwarts vestita così – rispose Sara riponendo la sacca nel bagagliaio.

Quindi la ragazza si sedette accanto a Sirius e lo guardò per un momento. Sirius avrebbe voluto dire qualcosa, ma non gli venne in mente nulla, così si voltò verso il finestrino e rimase in silenzio per tutto il tragitto. Remus fece qualche timido tentativo di conversazione, ma quando non ottenne che qualche monosillabo di risposta, decise di lasciar perdere.

Il locale era in una splendida località di campagna, appena fuori Londra, il ristorante occupava il primo piano di una villa d’epoca ed era circondato da un immenso parco. Lily e James avevano dato fondo ai loro risparmi per quella cerimonia e anche i signori Potter avevano dato un discreto contributo. Se la cerimonia era stata tipicamente Babbana, la festa si preannunciava esattamente l’opposto. Un mago in livrea controllava il cancello d’ingresso e spruzzava scintille argentate dalla bacchetta per indicare agli ospiti lo spiazzo per il parcheggio. Uno scintillio dorato segnava il sentiero pedonale che portava dal cancello all’ingresso della villa.

I quattro occupanti dell’auto scesero nel parcheggio e si guardarono intorno ammirati.

-          Però, gli sposini hanno deciso di esagerare! – esclamò Sirius.

-          Sì, hanno fatto davvero le cose in grande – convenne Remus.

-          Volete stare lì impalati tutto il tempo o pensate di andare a festeggiare? – chiese Sara indicando il vialetto.

-          Direi che potremmo andare a festeggiare – replicò Sirius affiancandosi a Sara e porgendole il braccio.

Lei lo guardò stupita, ma poi accettò il braccio e si avviò con Sirius lungo il vialetto. Sirius si disse che quello poteva essere un buon modo per iniziare la giornata, in fondo non era male comportarsi civilmente anziché azzuffarsi in continuazione.

Il pranzo si svolse senza eccessive complicazioni, i camerieri volteggiavano tra gli invitati servendo le bevande, mentre le portate comparivano direttamente nei piatti disposti sui tavoli. Sirius era seduto accanto agli sposi con Remus e Peter, Sara invece era a poca distanza da Lily assieme alle damigelle. Di tanto in tanto gli occhi del ragazzo vagavano verso l’altro lato del tavolo e si soffermavano sulla figura di Sara; questo in effetti accadeva più spesso di quanto lui stesso avesse voluto tanto che Remus, alla fine della terza portata gli domandò:

-          Tutto bene amico?

-          Sì… certo… perché? – rispose Sirius lievemente disorientato ma mantenendo lo sguardo su Sara.

-          Mi sembri distratto, tutto qui. Qualcosa non va? – chiese ancora Remus.

-          No – replicò Sirius sorridendo e voltandosi verso Lupin – tutto a posto.

Al termine del pranzo la festa proseguì con il taglio della torta nel parco, quindi gli sposi aprirono le danze sulla musica di un quartetto. Quando scese la sera, nel parco si accesero luci colorate provenienti dai cespugli e dagli alberi, i camerieri portarono sulla grande terrazza candelabri splendenti, gli ospiti presero posto ai tavolini disposti a sostituire il tavolo da pranzo intorno alla pista da ballo e venne allestito un bar lungo la parete.

Non appena era iniziata la musica Sirius era stato attorniato dalle invitate, compagne di scuola di Lily, amiche, le damigelle. Era lusinghiero ottenere tanta attenzione, ma dopo aver ballato con quattro ragazze diverse, di cui non riusciva nemmeno a ricordare il nome, si rese conto che non gliene importava più di tanto. Mentre danzava con una certa Brit, i suoi occhi cominciarono a vagare per la sala alla ricerca di Sara.

Al termine della canzone non l’aveva ancora individuata e una certa inquietudine cominciò a insinuarsi nei suoi pensieri. Che se ne fosse andata?

Ad un tratto si bloccò. Ma come? A lui cosa importava di quello che faceva Sara White?

Cambiò repentinamente direzione e si diresse verso il bar dove aveva scorto Remus e Peter. Quando li raggiunse ordinò un drink al cameriere e si appoggiò al tavolo accanto a loro.

-          Come procede, fatto conquiste? – domandò agli amici.

-          Mai quanto te! – scherzò Remus – Hai sempre un discreto fan club che ti attornia.

-          Già… - rispose Sirius amaramente, quella situazione cominciava a stancarlo.

Sirius riprese a scandagliare la sala con lo sguardo quasi senza accorgersene. Dove poteva essersi cacciata la ragazzina? Remus lo fissò per un po’, studiando la sua espressione, poi disse:

-          Se la cerchi, l’ho vista uscire in terrazza poco fa.

Sirius si voltò verso Lupin e lo guardò intensamente domandandosi come diavolo facesse a sapere sempre quello che pensava. Lo ringraziò dell’informazione e, con il suo bicchiere in mano, si diresse verso la terrazza.

Mentre camminava verso la porta che dava sull’esterno fu bloccato da Brit che gli chiese un altro ballo, ma lui la liquidò senza troppi complimenti. Raggiunta la sua meta si fermò. La terrazza era deserta, c’era soltanto Sara appoggiata alla balaustra nell’angolo più lontano. Dava le spalle all’ingresso e di lei si scorgevano solo i lunghi capelli castani che le ricadevano sulle spalle, stava armeggiando con la borsetta e non si accorse dell’arrivo di Sirius.

Per la prima volta da che la conosceva Sirius decise che sarebbe andato a parlare con Sara, non per dirle qualche cattiveria o per prenderla in giro, ma per cercare di comunicare amichevolmente.

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Col passare delle ore si era alzato un vento gelido che ora sferzava il viso di Sara e di Frank mentre assistevano alla riesumazione della piccola cassetta che conteneva il dito di Minus. Gli operai che erano con loro non erano stati particolarmente contenti del fuori programma, ma a Sara non importava, voleva risolvere la faccenda il più in fretta possibile. Cominciava a fare buio e le luci soffici dei lampioni del cimitero ricordavano a Sara le luci che avevano illuminato il parco della villa dove, tempo prima e in un momento molto più felice, Lily e James avevano festeggiato il loro matrimonio.

Il vento gelido che si era abbattuto su Londra, portando con sé anche nuvole spesse e nere, non riusciva a penetrare nella cucina di Grimmauld Place dove Sirius era rintanato nel solito angolo. I ricordi continuavano ad affiorare alla memoria, come un film visto e rivisto.

Erano lontani chilometri, ma i loro pensieri erano gli stessi. Entrambi ripensavano a quella terrazza, illuminata dalle candele immersa nella magia del parco. La musica filtrava leggera dalla sala da ballo creando soltanto un lieve sottofondo.

Sara era uscita per fumarsi una sigaretta, lontana dal chiasso e da tutti quegli occhi che la squadravano come per cercare di capire cosa c’entrasse lei in quel posto. La terrazza fortunatamente era deserta, la ragazza si appoggiò alla balaustra nel punto più lontano dalla porta nella speranza di non essere vista e di essere lasciata in pace. Il pacchetto di sigarette era una delle poche cose che era riuscita a fare entrare nella piccola borsetta ma ora, nonostante le ridotte dimensioni della borsa, non riusciva a trovare l’accendino e non le andava di usare la bacchetta fuori da scuola solo per accendersi una sigaretta.

Sirius era fermo sulla porta e guardandola da lontano poté apprezzare la sua figura snella e aggraziata e con le curve giuste, il vestito per di più le donava particolarmente. Sembrava molto più grande dei suoi quindici anni. Sirius si avvicinò lentamente, camminando con noncuranza, una mano lasciata casualmente nella tasca dei pantaloni. Quando arrivò accanto a lei, Sara si voltò all’improvviso sorpresa di vederlo lì. Aveva una lunga sigaretta che le pendeva dalle labbra e Sirius fu piuttosto sorpreso di apprendere che fumava.

-          Guarda, guarda – disse estraendo un accendino dalla tasca e porgendole la fiamma – Sara White che fuma…

-          Ebbene sì – rispose lei – E’ grave? – domandò poi aspirando la prima agognata boccata.

-          Non particolarmente, non puoi essere perfetta. Dovevi pur avere qualche vizietto anche tu – replicò il ragazzo appoggiandosi alla balausta accanto a lei e accendendosi a sua volta una sigaretta.

-          Sono ben lontana dalla perfezione e se il fumo fosse davvero il mio unico difetto… – replicò Sara lasciando la frase in sospeso.

-          Bé sei brava negli studi, sei un’ottima amica per Lily, sei intelligente, schietta…

-          Con te sono sempre stata molto più che schietta – ammise la ragazza – Forse a volte ho esagerato.

-          Sì, a volte. Ma spesso ti ho provocata… e probabilmente anch’io ho esagerato – confessò il ragazzo.

Sirius era sorpreso di se stesso, non sapeva dire da dove venissero quei discorsi, né perché proprio in quel momento avesse deciso di parlare a quel modo. Sara era altrettanto stupita, di sé stessa e del ragazzo che aveva di fronte. Non sembrava affatto lo stesso Sirius Black che aveva creduto di conoscere. Ma forse lei non conosceva davvero Sirius Black.

-          Che ne dici, tregua? – propose Sara titubante tendendogli una mano.

-          Tregua – rispose Sirius prendendole la mano.

Stringendosi la mano i due si guardarono negli occhi, per la prima volta senza diffidenza, senza rancore, senza avversione. Sara sentì un brivido percorrerle il braccio fino alla schiena, mentre Sirius avvertì nuovamente quella stretta allo stomaco, la stessa che aveva provato quella mattina quando l’aveva vista entrare in chiesa. Si sorrisero e poi si voltarono nuovamente verso il parco.

Terminarono la sigaretta nel silenzio quindi Sara si voltò, si scostò i capelli dal viso scrollando la testa all’indietro, facendo così ondeggiare gli orecchini d’argento.

Sirius non riusciva a sciogliere il nodo allo stomaco che si era formato, in sala il quartetto aveva attaccato una canzone lenta e romantica. Il suo raziocinio gli diceva a gran voce che aveva fatto il suo dovere, si era comportato civilmente, ma ora era il momento di congedarsi. Il suo istinto però non lo lasciava andare via da lì. Qualcosa gli diceva che se si fosse voltato e fosse andato via l’avrebbe rimpianto in futuro.

Il ragazzo studiò Sara per un momento poi si risolse a parlare:

-          Ti va di ballare? – propose titubante, temendo, per la prima volta da quando aveva cominciato a interessarsi alle ragazze, di essere respinto.

-          Ballare? – domandò incredula Sara – Ballare, io e te?

Alla ragazza sembrava assurdo che Black, Sirius Black, il ragazzo più gettonato di Hogwarts, chiedesse a lei di ballare, lei che non era altro che una normalissima Sara White.

-          Sì, ballare, io e te. Cosa c’è di così strano? – confermò Sirius, lievemente offeso da quella reazione.

Ma cosa si aspettava, d’altra parte non aveva mai fatto altro che prenderla in giro, ora non poteva pretendere che lei facesse i salti di gioia per un invito a ballare con lui.

-          Non credo che ci sia niente di strano. Anzi, accetto con piacere – rispose Sara con un ampio sorriso.

-          Bene – replicò il ragazzo sollevato - Andiamo!

Sirius prese la mano di Sara, che si lasciò guidare sulla pista da ballo senza opporre resistenza. Quando rientrarono nella villa la musica si fece più forte e avvolgente, Sirius si sistemò di fronte a Sara, pose la mano sinistra sulla schiena di lei e la mano destra in quella della ragazza.

Sara non si era mai sentita tanto in imbarazzo ma al tempo stesso non avrebbe voluto essere in nessun altro posto al mondo. Una vocina nella sua testa le diceva che non era una buona idea, lei non c’entrava nulla con Sirius Black, perché farsi delle illusioni inutili? Però la stretta allo stomaco che aveva provato quando lui le aveva chiesto di ballare non se ne era ancora andata e la costringeva a restare lì, su quella pista da ballo.

Sirius fece un passo verso la ragazza, stringendosi un po’ di più a lei. Sara era parecchio più bassa, gli arrivava appena alla spalla, lasciò la mano di Sirius e gli pose le braccia sulle spalle, attorno al collo. Mentre ballavano i loro sguardi si sfioravano appena vagando continuamente su altri dettagli, i capelli, la punta del naso, la bocca.

Sirius non ricordava di aver sentito il suo cuore battere così dall’ultima avventura con i Malandrini. Cercava di guardare Sara negli occhi, ma le sue labbra lo attraevano come una calamita. Se non fosse stato vittima di una lotta interiore tra la sua ragione e il suo istinto avrebbe ceduto molto prima, ma anche così non sapeva quanto avrebbe potuto resistere.

Sara non aveva la minima idea di cosa le stesse succedendo, le pareva di avere un volo di farfalle nello stomaco e il cuore martellava all’impazzata. Sirius la guardava talmente intensamente che lei non aveva idea di quanto avrebbe potuto resistere prima di lasciarsi andare.

Sirius si avvicinò ancora a Sara, tanto che il suo profumo gli riempì le narici. Le sue labbra erano talmente vicine che solo pochi millimetri sarebbero bastati.

In quel momento la canzone terminò e Sirius e Sara furono riportati alla realtà dagli applausi dei ballerini e degli astanti al quartetto. Sara si allontanò di un passo, ma Sirius non le diede modo di andarsene, le prese la mano e la trattenne.    

-          Scappi? – chiese il ragazzo con un sorriso.

-          No… è che… - rispose Sara confusa – Si sta facendo tardi, domattina devo partire presto per tornare a Hogwarts, è meglio che vada all’albergo.

A Hogwarts. Per un attimo Sirius aveva dimenticato che Sara sarebbe dovuta tornare a scuola.

-          Aspetta, ti accompagno – disse Sirius prima di allontanarsi a passo di carica.

Sara si guardò intorno smarrita, cosa diavolo le stava succedendo? Prima di andare doveva salutare Lily e James. I novelli sposi avevano appena terminato un ballo e ora erano seduti ad un tavolino. Mentre Sara camminava verso di loro, vide le due ragazze che aveva incrociato in chiesa squadrarla con odio. Quando si fu avvicinata Lily si alzò in piedi per accoglierla:

-          Ciao ragazzi! Io devo andare. Grazie della splendida giornata – salutò Sara.

-          Come! Te ne vai già? – esclamò Lily avvicinandosi – Ti abbiamo visto ballare con Sirius – aggiunse poi sussurrando -  Che succede?

-          Hem… poi ti racconterò – abbozzò la ragazza sorridendo imbarazzata.

Mentre le due ragazze si accordavano per tenersi in contatto e vedersi al più presto, Sirius era andato alla ricerca di Remus. Lo aveva trovato seduto a un tavolino intento a chiacchierare con una ragazza che era stata loro compagna di scuola. 

-          Amico, scusa se ti interrompo – esordì Sirius – Avrei bisogno di un favore.

Remus si alzò dalla sedia e si allontanò di qualche passo dal tavolino.

-          Ti ho visto ballare con Sara, cosa succede? – domandò Remus sorridendo.

-          Niente, non succede niente. Senti, puoi prestarmi la macchina? Te la riporto entro la serata.

-          Certo – rispose Lupin estraendo le chiavi dalla tasca – Per cosa ti serve?

-          Accompagno Sara all’albergo. A più tardi.

Sirius si allontanò prima che Remus potesse fare qualunque commento, non aveva nessuna intenzione di subire battutine in quel momento. Quando tornò nel punto in cui aveva lasciato Sara, la ragazza non c’era e per un attimo temette che se ne fosse andata, poi la vide tornare dal punto in cui si trovavano Lily e James e tirò un sospiro di sollievo.

Un sospiro di sollievo? Che diavolo gli stava succedendo?

Sara tornò facendo ticchettare i tacchi sul pavimento in marmo.

-          Ok, possiamo andare – disse la ragazza – Ma come hai intenzione di accompagnarmi?

Sirius le sorrise e le mostrò le chiavi dell’auto di Remus. I due si avviarono verso l’uscita, giunti al portone imboccarono il vialetto e presero a camminare in silenzio. Era però un silenzio diverso da quello di quella stessa mattina. Quando raggiunsero il parcheggio Sirius aprì lo sportello del passeggero e fece accomodare Sara, quindi si sistemò al posto di guida.

Mentre viaggiavano verso la città Sirius si sorprese a guidare molto più lentamente di quanto non avrebbe fatto normalmente, cercava di far durare quel tragitto il più a lungo possibile per trovare qualcosa di adeguato da dire. Qualunque cosa.

Fu Sara a toglierlo dall’imbarazzo:

-          Come mai sei venuto in macchina con Remus? – domandò – Non hai la macchina?

Sara sperava di non essere inopportuna, ma quel silenzio diventava opprimente.

-          Diciamo che non ho un mezzo adatto ad un’occasione del genere – rispose Sirius misteriosamente.

-          Sarebbe a dire? Cos’è un tappeto volante, una scopa? – cercò di indovinare Sara.

-          No, è una moto – replicò il ragazzo con orgoglio.

-          Stai scherzando? Adoro le moto! – esclamò Sara – Un mio amico Babbano è un patito di moto, ho passato un sacco di tempo nel suo garage a guardarlo trafficare con la sua.

-          Vorrà dire che ti porterò a fare un giro sulla mia un giorno di questi – propose Sirius con un sorriso.

Sara si abbandonò contro lo schienale del sedile e lasciò che il suo sguardo vagasse su Londra, che si avvicinava pian piano. Le sembrava di vivere la vita di qualcun altro. Come era possibile che quello che era successo quel giorno fosse vero? Sirius che la invitava a ballare, Sirius che la accompagnava all’albergo, Sirius che le proponeva un giro sulla sua moto. Sara sarebbe rimasta su quella macchina una vita, ma purtroppo l’albergo comparve in fondo ad una via e Sirius fermò l’auto.

Scesero entrambi, piuttosto in imbarazzo. Il giovane prese la sacca di Sara dal bagagliaio e gliela porse. Si guardarono in silenzio, cercando qualcosa da dire.

-          A dispetto delle previsioni, ho passato una bella giornata con te – esordì Sirius.

-          Anche per me è stata una bella giornata, chi l’avrebbe detto? – disse Sara sollevata che fosse stato lui a rompere il silenzio – Bé, grazie del passaggio. Ora… devo andare – proseguì indicando la porta dell’hotel.

Sirius le prese la mano e l’attirò verso di sé. Si chinò verso Sara e le diede un bacio a fior di labbra. Sara fu del tutto incapace di reagire e, quando lui si allontanò nuovamente, rimase inebetita per un momento. Sirius sorrise con quel sorriso meraviglioso e sarcastico, che Sara l’aveva visto usare tanto spesso a scuola, ma mai rivolto verso lei.

-          Ci vediamo, uno di questi giorni – propose il ragazzo.

-          Sì… perché… perché no – balbettò Sara in risposta.

La ragazza si voltò e mosse qualche passo verso l’ingresso dell’edificio, Sirius invece fece per risalire in macchina. In quel momento Sara si voltò e, prima di perdere il coraggio, disse precipitosamente:

-          Il prossimo finesettimana passeremo una giornata a Hogsmeade, se ti va puoi venire a trovarmi.

-          Perché no – acconsentì Sirius sorridendole ancora. Poi salì sull’auto e la salutò dal finestrino – Dormi bene, Sara.

-          Anche tu. 

 
La traversata del lago, che separava la costa dall’isola su cui si ergeva Azkaban, fu piuttosto rapida anche se funestata dagli schizzi di acqua gelida e dal vento che si era alzato improvvisamente. In quel luogo sembrava che non ci fosse mai il sereno e che il calore del sole non riuscisse ad attraversare i muri della prigione e neppure a scaldare le acque del lago.

Sara supponeva che si trattasse dell’effetto dei Dissennatori, erano così tanti nella prigione che il loro influsso malefico raggiungeva tutta la zona circostante. Quando lei e Frank scesero dalla barca che li aveva portati sull’isola si trovarono davanti ad un edificio enorme ed imponente. La facciata era liscia e grigia, le uniche variazioni erano costituite dalle piccole fessure che costituivano le finestre delle celle.

L’ingresso era un enorme arco, chiuso da una cancellata in ferro battuto, da un pesante portone di legno rinforzato e infine da una terza porta di ferro. Le guardie erano tutti Dissennatori tranne l’addetto all’ingresso che restava sempre rintanato nella stanza accanto al portone.

Quel giorno era di turno un uomo sulla quarantina, con i capelli striati di grigio ma lo sguardo ancora giovane e attento. Quando Sara e Frank si avvicinarono alla cancellata uscì da una porta situata nell’angusto spazio tra il cancello e il secondo portone. L’uomo teneva la bacchetta tesa davanti a sé pronto ad attaccare.

-          Chi siete? – domandò aspro.

-          Sara White e Frank Parker, Auror del Ministero – rispose Sara estraendo dalla tasca un distintivo di riconoscimento e invitando Parker a fare lo stesso.

La guardia si avvicinò per dare un’occhiata più accurata poi abbassò la bacchetta. Tornò nella stanza senza dire una parola e, dopo qualche istante, il cancello iniziò a muoversi sui cardini producendo un terribile stridio. L’uomo li invitò a entrare e chiuse il cancello alle loro spalle azionando un meccanismo situato nella portineria.

-          Che cosa volete? – chiese bruscamente la guardia. Di certo lavorare ad Azkaban non metteva di buon umore.   

-          Abbiamo bisogno di vedere il registro delle visite – disse Sara senza andare troppo per il sottile.

-          E’ lì, il primo a destra – rispose la guardia indicando uno scaffale sulla parete.

In quel momento un ondata di gelo si riversò nella stanza facendo voltare Sara e Frank verso la porta che dava verso il carcere. Un Dissennatore riempiva interamente il vano della porta e raggelava l’ambiente con il suo respiro rauco.

-          Via da qui, è tutto a posto! – urlò la guardia puntando la bacchetta da cui esplose una nuvola argentea – Sta diventando sempre più complicato tenerli a bada – disse poi l’uomo rivolto verso Sara.

-          Proverò a farlo presente al Ministero – disse la donna rilassandosi mentre il Dissenatore si voltava per andarsene.

Frank intanto aveva estratto dallo scaffale il registro delle visite e aveva cominciato a sfogliarlo. Sara si avvicino al collega e iniziò a scrutare le pagine del registro. Per ogni anno c’erano solo alcune pagine, evidentemente le visite non erano molto numerose. I due Auror individuarono presto il periodo che cercavano.

-          Dunque – cominciò Frank – questi sono i giorni precedenti alla fuga di Black – disse indicando alcune righe vuote.

-          L’unica visita è questa – continuò Sara sfiorando il punto del foglio dove erano annotate data, ora e motivo della visita – quattro giorni prima dell’evasione.

Sara seguì con il dito la riga fino ad arrivare alla firma del visitatore. Quando riuscì a decifrare la calligrafia restò senza parole: Cornelius Caramell. Allora l’ultima persona che era stata ad Azkaban prima che Black fuggisse era il Ministro. Sara e Frank si fissarono per un attimo, poi chiusero il registro e contemporaneamente si voltarono verso la guardia.

-          Se fosse successo qualche evento strano, insolito sarebbe segnato da qualche parte? – chiese Sara alla guardia.

-          Sì ma qui, al di la delle ultime evasioni, non è successo nulla da un sacco di tempo.

-          Quindi gli unici eventi degni di nota sono le visite? - domandò Frank.

-          Sì, direi di sì.

-          Bene, grazie della disponibilità. Arrivederci! – tagliò corto Sara.

Aveva una fretta indiavolata di tornare al Ministero per parlare con il Ministro. Frank la seguì mentre si dirigeva a passo di marcia verso la barca. Salirono a bordo e Sara avviò la barca con un colpo di bacchetta. La traversata fu effettuata a velocità doppia rispetto all’andata e quando giunsero sulla costa Sara riconsegnò la barca alle guardie appostate al molo senza dire una parola.

Mentre viaggiavano a tutta velocità per tornare a Londra, Sara si augurava che Caramell ricordasse qualcosa, un particolare qualunque che la aiutasse a venire a capo di quel mistero. Era una sensazione nuova dover fare affidamento sul Ministro. In tanti anni di servizio aveva imparato a considerarlo più che altro una seccatura inevitabile.

Mentre guidava, continuava a ripercorrere nella sua mente i vari elementi dell’indagine: non c’era abbastanza sangue sui vestiti di Black perché avesse ucciso Minus, non c’era abbastanza sangue sull’asfalto perché Minus fosse saltato in aria, quindi tutto faceva pensare che Minus non fosse morto, almeno non in quel momento. E il dito, il dito tagliato da un incantesimo e non dall’esplosione faceva pensare che Minus fosse fuggito.

Bisognava accertare se era fuggito per paura di Black o perché era lui il colpevole della strage.

Ma la strada saltata in aria? Poteva essere una copertura di Minus per incastrare Black e fuggire indisturbato.

Sara sapeva che, come Sirius, anche Peter era un Animagus e, se davvero era fuggito, probabilmente aveva usato questo suo potere per nascondersi. Però non poteva usare questa informazione senza tradire il suoi coinvolgimento e a quel punto le avrebbero tolto il caso. Proprio ora che cominciava a venirne a capo. Eppure ci doveva essere un modo per dimostrare che Minus era un Animagus.

-          Stavo pensando… - iniziò Sara mentre entravano in città – Potremmo chiedere l’autorizzazione a riesumare il dito di Minus.

-          Cosa?! Ma ormai saremo fortunati se troviamo un osso, cosa speri di scoprire? E poi non ci daranno mai il permesso – esclamò Frank.

-          Ti prego di non essere così disfattista. Non lo so cosa spero di scoprire, ma è l’unica cosa di Minus su cui possiamo indagare. Possiamo verificare intanto se il dito è stato veramente tagliato da un incantesimo – suggerì la donna – E poi potremmo effettuare un po’ di test, magari ci aiuteranno a scoprire come è fuggito.

-          Si può tentare, ma credi che il Ministro ci autorizzerà? – acconsentì Parker.

-          E chi ha parlato di chiederlo al Ministro!

Sara parcheggiò l'auto non distante dal Ministero, in una strada secondaria poco frequentata. Quando entrambi furono scesi la chiuse prima con la chiave, poi con un incantesimo anti-furto.

-         Meglio andarci cauti – disse a Frank con un'alzata di spalle.

Era l'ora della pausa pranzo e quando entrarono nell'Atrium lo trovarono gremito di dipendenti che stavano uscendo per andare a fare uno spuntino. Sara aveva deciso di saltare il pranzo, Frank era libero di decidere come preferiva, ma sapeva che per niente al mondo avrebbe barattato gli sviluppi di quella storia per un panino.

Il Dipartimento degli Auror raramente si svuotava per ora di pranzo, erano tutti piuttosto impegnati, soprattutto in quel periodo di evasioni di massa, strane sparizioni e misteriosi omicidi. Sara tendeva sempre più a credere alla teoria di Silente secondo cui Voldemort era tornato. Il Ministro continuava a fingere che andasse tutto bene, ma per quanto ancora avrebbe potuto reggere questa finzione?

-         Vieni Parker, andiamo a parlare col Capo – disse Sara guidando Frank verso l'ufficio del loro superiore.

-         De... devo venire anch'io? - domandò Parker con una nota di panico nella voce.

-         Sì, è ora che impari a trattare con il Capo, se dovesse succedermi qualcosa saresti tu a sostituirmi – replicò Sara continuando a camminare tranquillamente.

-         Non puoi parlare sul serio – esclamò Frank bloccandosi.

-         Ho l'aria di una che scherza? - gli chiese Sara fermandosi a sua volta.

Frank non ebbe il coraggio di replicare e si limitò a seguire la donna nell'ufficio del capo. Giunti davanti alla porta Sara bussò energicamente e, ricevuto il permesso, si fece avanti.

-         Buon giorno capo – salutò cercando di non avere un tono troppo ansioso – Volevamo aggiornarla sugli sviluppi.

Sara si era imposta di parlare con calma, di fornire un quadro completo ed esaustivo, senza precipitare la richiesta di riesumazione, che sapeva essere piuttosto strana. Il Capo ascoltò con attenzione il resoconto che Sara espose con alcuni interventi di Parker. Alla fine Sara prese fiato e formulò la richiesta:

-         Dopo aver valutato attentamente lo stato delle cose ritengo che potrebbe essere di grande aiuto poter riesumare il dito di Peter Minus per effettuare dei test diretti e non solo delle comparazioni con fotografie vecchie di quindici anni.

-         Lei sa cosa mi sta chiedendo? - domandò il Capo con gravità.

-         Sì, mi rendo conto che la cosa implica una marea di scartoffie e che se lo venisse a sapere la stampa si tufferebbero su questa storia come un branco di pescecane, però le chiedo di avere fiducia in me adesso così come ha avuto fiducia nell'affidarmi questo caso. Se glielo chiedo non è per divertimento, o perché non so che cos'altro fare. Ho le mie ragioni fondate di voler effettuare determinate analisi.

Dopo l'arringa Sara trattenne il fiato mentre il Capo rifletteva sul verdetto, le rughe sulla fronte che diventavano sempre più profonda. Prima che l'uomo parlasse parve che fosse passato un secolo, ma infine disse:

-         D'accordo. Ha vinto. Le farò avere l'autorizzazione. Ma guai a lei se mi mette nei pasticci!

-         Non si preoccupi! Saremo la discrezione personificata – assicurò Sara con un sorriso di soddisfazione rivolto a Frank – Quando potremo procedere?

-         Penso che domani in giornata dovrebbe essere tutto sistemato – disse il Capo rassegnato.

-         Domani? Non si potrebbe fare oggi? - azzardò Sara – Anche nel tardo pomeriggio andrebbe bene, ho intenzione di lavorare fino a tardi – aggiunse poi vedendo lo sguardo tendente all'inferocito del Capo.

-         Vedo che ha fretta di concludere – commentò l'uomo.

-         Bé voglio venirne a capo il più presto possibile. Converrà con me che le cose hanno preso una piega strana.

-         Va bene, va bene! Vedrò quello che posso fare, ma non le prometto niente.

-         Grazie mille, Capo! - esclamò Sara alzandosi dalla sedia su cui era stata seduta fino a quel momento – Andiamo Parker – disse poi rivolta al ragazzo ancora seduto.

Frank si alzò di scatto e seguì la donna fuori dall'ufficio guardandola con aria ammirata.

-         Finiscila di guardarmi come se fossi un fenomeno da baraccone. Sarebbe ora che anche tu imparassi un po' di dialettica.

Parker non trovò di che rispondere, così si limitò a fissare lo sguardo da un'altra parte.

-         Ora se vuoi puoi andare a pranzo – riprese Sara – Temo che lo sfoggio di dialettica con il nostro beneamato Ministro dovrà restare privato. Ti racconterò appena avrò finito.

-         D'accordo, ci vediamo nel tuo ufficio tra mezz'ora? - acconsentì Frank.

-         A dopo.

Sara si fermò un momento a guardare le spalle di Frank che si allontanavano. Spesso si chiedeva se fosse stata una buona insegnante e se gli avesse dato veramente gli strumenti necessari per cavarsela con le sue sole forze. Ma quello non era il momento adatto per recriminare, aveva un compito da svolgere.

Sara si voltò e percorse il corridoio che conduceva all’ascensore. Gli uffici del Ministro si trovavano al Primo Livello e non aveva voglia di fare le scale.

L’ascensore era occupato, così Sara si dispose all’attesa appoggiandosi a un muro. L’ascensore arrivò al piano sferragliando e le porte scorrevoli si aprirono con uno scampanellio. L’uomo che Sara vide all’apertura era tra le persone che la indisponevano di più al mondo e ultimamente la semplice irritazione che di solito provava nel vederlo tendeva a trasformarsi nel primo stadio dell’odio.

-          Signorina White – disse l’uomo uscendo dall’ascensore e parandosi davanti alla donna.

-          Signor Malfoy, quale onore averla qui – rispose Sara con mal celato sarcasmo.

-          Il piacere di visitare il Ministero è tutto mio – disse Malfoy con voce melliflua.

-          Dovrei passare – tagliò corto Sara.

-          Le consiglio di stare attenta, signorina White – disse Lucius Malfoy cambiando improvvisamente tono di voce – Potrebbe scoprire il pericolo che si cela nel rivangare certe verità.

-          Se cerca di farmi paura ha sbagliato persona – ribatté la donna voltandosi di scatto e fulminandolo con uno sguardo di fuoco – Non ho certo intenzione di nascondermi.

-          Adoro le persone come lei – replicò l’uomo avvicinandosi a Sara – Ci rendono tutto più facile.

Detto questo Lucius Malfoy si allontanò senza darle il tempo di replicare. Sara si infilò nell’ascensore e premette il pulsante con rabbia.

Detestava non poter avere l’ultima parola.

*^*^*^*^*

Al Quartier Generale dell’Ordine della Fenice si era appena conclusa una riunione e Sirius aveva passato l’ultima ora a subire le battutine di Piton. Cercava, per rispetto dei componenti dell’Ordine e per mantenere il quieto vivere, di reagire il meno possibile ma la cosa diventava ogni giorno più complicata.

In quel momento Piton si trovava dal lato opposto della grande cucina rispetto a Sirius e discuteva di qualcosa con Kingsley. Dal resoconto che aveva fatto sembrava che la sua missione di controllare il giovane Malfoy procedesse a gonfie vele.

Per quel che riguardava Harry e la sua pericolosa connessione con Voldemort invece non c’erano novità sostanziali. Le lezioni di Occlumanzia erano appena iniziate e Piton non sembrava particolarmente ansioso di condividerne il contenuto.

Sirius era così concentrato a guardare in cagnesco Piton che non si accorse di Lily, che gli pose una mano sulla spalla.

-          Lo so che è insopportabile – disse la donna facendolo sobbalzare – E’ assurdo, ma è ancora invidioso di te e James.

-          Non vedo che cosa potrebbe invidiare della mia vita – rispose amaramente Sirius.

-          Direi soprattutto il fatto che tu sei sempre stato un leader – suggerì saggiamente Lily.

-          Allora! Chi si ferma per pranzo? – strillò la signora Weasley per coprire il chiacchiericcio.

Sirius pregò in cuor suo che Mocciosus avesse altro da fare che godere dei meravigliosi pranzi di Molly.

-          Severus lei è dei nostri? – chiese Arthur.

-          Grazie, ma devo tornare a Hogwarts – rispose Piton congedandosi con un piccolo inchino.

Sirius fu tranquillo solo quando sentì lo scatto del portone che si chiudeva alle sue spalle. Allora si concesse di lasciarsi andare su una sedia con un sospiro di sollievo. Mentre tutti si affaccendavano per aiutare Molly a preparare il pranzo, Sirius si sentì autorizzato a riprendere il filo dei pensieri che l’inizio della riunione aveva interrotto.

I ricordi erano un ottimo lenitivo per quei giorni così terribilmente vuoti. Gli piaceva soprattutto richiamare alla mente i momenti felici, provava un piacere quasi perverso nel ricordare quei giorni e paragonarli a quelli che trascorreva a Grimmauld Place a fissare il muro grigio della cucina. Sapere di aver sciupato irrimediabilmente la cosa più bella che gli fosse capitata nella vita era una ferita ancora aperta e rigirare continuamente il coltello in quella ferita era doloroso, ma lo faceva sentire vivo.

La mente di Sirius si estraniò completamente e viaggiò a ritroso fino al giorno in cui si era acceso quel fuoco che aveva illuminato gli anni più intensi che avesse vissuto. Dapprima non era stato un fuoco divampante, era stata più una piccola fiammella che però con le dovute cure era cresciuta fino a diventare una luce calda e rassicurante, come il raggio di un faro in mare aperto. Se Sirius avesse dovuto identificare il momento esatto in cui aveva visto il primo barlume avrebbe detto sicuramente che era stato il giorno del matrimonio di Lily e James.

Quella mattina era piuttosto nervoso. La chiesa cominciava a ospitare un leggero brulichio di invitati e lui si sentiva osservato. James stava scambiando qualche parola con il parroco in sagrestia e l’aveva abbandonato agli sguardi indagatori di amici e parenti. Sapeva che Lily e James avevano deciso di sposarsi in quel momento, che pareva essere stranamente tranquillo, perché temevano di non avere altre occasioni, però non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che stessero precipitando le cose. Erano ancora talmente giovani.

Personalmente non avrebbe tollerato la responsabilità di una famiglia con tutto quello che stava succedendo. Era già complicato cercare di proteggere se stessi. Mentre osservava James tornare sorridente verso di lui, una vocina interiore, che assomigliava terribilmente a quella di Remus, gli suggerì che forse il fastidio che questo matrimonio gli procurava era dettato anche dalla consapevolezza che da quel giorno in avanti il suo migliore amico avrebbe avuto altro a cui pensare anziché a lui. Questa cosa non poteva che rattristarlo. Gli sarebbero immensamente mancate le avventure e le scorribande con i Malandrini e i Malandrini non potevano esistere senza la partecipazione di James.

-          Allora amico mio… - esordì James avvicinandosi e sfregandosi le mani con aria di soddisfazione – E’ tutto pronto?

-          Direi di sì. Lo sposo c’è, gli anelli ci sono, gli invitati stanno prendendo posto. Manca solo la tua Signora – rispose Sirius sforzandosi di sorridere in modo naturale.

-          Colgo una appena velata nota di sarcasmo nelle tue parole – disse James acutamente.

-          No, che dici – cercò di giustificarsi con noncuranza l’altro.

-          Dico che non ti è ancora andata giù che io mi sposi. Pensi che sia pazzo a farlo proprio in questo momento e al mio posto ti saresti fatto tagliare le gambe piuttosto che sposarti.

-          Ma non è assolutamente vero! – esclamò Sirius senza peraltro suonare convincente.

-          Non ti preoccupare, non te ne faccio mica una colpa. Lo so che tu non sei come me. Tu non faresti una cosa del genere. Io sì.

Mentre cercava le parole con cui rispondere Sirius si voltò a osservare la navata e lo sguardo gli cadde sulla porta d’ ingresso.

-          Oh no! – gemette voltandosi nuovamente verso James.

-          Che c’è? – chiese lo sposo preso alla sprovvista dall’espressione disperata dell’amico.

-          Guarda chi è appena entrata – suggerì Sirius.

James scrutò verso l’ingresso mentre Sirius indagava il suo volto. Quando individuò quello che cercava disse:

-          E’ Sara White. E quindi?

-          E quindi dovrò passare la giornata a evitarla per non trasformare il tuo matrimonio in un ring di pugilato – replicò Sirius piccato.

-          Te ne sarei molto grato.

-          Non ti preoccupare, non ho intenzione di rovinarti questo momento.

Sirius distolse lo sguardo dall’espressione di rimprovero di James e riprese a scandagliare i banchi della chiesa. Ad un tratto si sorprese a cercare Sara con gli occhi. La trovò, era defilata, appoggiata  ad una colonna con apparente non curanza. Sirius notò che non era affatto male, così elegante nel suo vestito azzurro, ma sempre con la sua aria come se non le importasse di quello che pensavano gli altri attorno a lei.

Sara si voltò verso l’altare e, per un attimo, i loro sguardi si incrociarono. Sirius fece un lieve cenno di saluto e avvertì un sobbalzo allo stomaco, come se avesse saltato un gradino in una scala, quando lei rispose al saluto. Il ragazzo si voltò in fretta e si disse che forse, quel giorno, non sarebbe stato così difficile andare d’accordo con Sara White.


   

 
Per i lettori: oggi, nonostante l'ansia pre-esame che comincia a farsi sentire, sono in vena di aggiornamenti. Sono ansiosa di portarvi al capitolo 9, che fino a questo punto della storia è il mio preferito! Buona Lettura!


L’attività di Sara divenne frenetica. Aveva il bisogno quasi fisico di risolvere quel mistero. Non ne poteva più di dubbi, di supposizioni, voleva delle certezze, ma trovare delle certezze quando quasi tutti i protagonisti di questa storia erano scomparsi era un’impresa ardua.

Lei e Frank Parker erano seduti nella sua auto e sfrecciavano a velocità piuttosto sostenuta alla volta di Azkaban, purtroppo l’unico posto in cui trovare informazioni su quello che avveniva in prigione era la prigione stessa.

Sara aveva lavorato spesso ad Azkaban, quando era recluta era stata tra le prime ad essere mandata a fare le ispezioni di rito al carcere. Per le reclute era una sorta di prova di iniziazione, se riuscivano a reggere ad Azkaban potevano dirsi sufficientemente forti da reggere anche a tutto il resto.

In seguito le era capitato spesso di doverci andare per interrogare i prigionieri e infine aveva indagato sull’evasione di Black e su quella dei dieci Mangiamorte. Ogni volta che le era capitato di doversi recare ad Azkaban non aveva potuto fare a meno di pensare che Sirius era lì o c’era stato. Le prime volte era stato terribile sapere di essere nello stesso edificio in cui c’era lui, poi poco alla volta era riuscita ad anestetizzarsi, sia verso questo pensiero terribile, sia verso i Dissennatori. Per lei il Sirius Black rinchiuso dietro le sbarre era una persona completamente diversa da quella che aveva conosciuto, per cui bastava fingere che si trattasse solo di un caso di omonimia.   

Mentre uscivano dalla città e si addentravano nella campagna, Sara e Frank stavano in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. In quei giorni, quando Sara lasciava la mente libera di vagare, finiva sempre a rievocare i ricordi degli anni in cui era stata con Sirius, gli anni della sua amicizia con Lily, gli anni di Hogwarts.

Il suo rapporto con Sirius all’inizio era stato piuttosto controverso, dire che non si trovavano simpatici era riduttivo e le cose erano andate sempre peggiorando man mano che la frequentazione era proseguita. Sara ricordava bene l’ultimo periodo, quando aveva saputo che Lily e James si sarebbero sposati.

Era maggio e ad Hogwarts incominciavano a vedersi i primi scorci d’estate. Sara stava finendo il quarto anno e gli esami erano sempre più vicini, così invece di godersi la bella giornata era rinchiusa nella Sala Comune di Grifondoro, china su un enorme tomo di Trasfigurazione. Come al solito aveva occupato il suo tavolo preferito, accanto a una delle grosse finestre. La luce si rifletteva invitante sulle pagine di pergamena del libro, ma non doveva farsi distrarre, era rimasta molto indietro con Trasfigurazione.

Ad un tratto un ombra si fermò sul suo libro e Sara fu costretta ad alzare gli occhi verso la finestra per vedere cosa l’avesse provocata. Un ampio sorriso si aprì sul suo volto quando vide, dall’altra parte del vetro, un grosso gufo bruno con una busta legata alla zampa.

-          Frullo! – esclamò alzandosi per andare ad aprire la finestra.

Frullo era il gufo di Lily, Sara lo fece posare sulla spalliera della sua sedia, mentre la sua amica Rebecca, seduta poco distante, lo guardava con aria di scarsa approvazione. Rebecca non amava molto gli animali, soprattutto quelli dotati di piume. La busta che Frullo aveva portato era piuttosto spessa e aveva l’aria di contenere un sacco di informazioni interessanti, così Sara decise che la Professoressa McGrannitt non l’avrebbe bocciata solo per essersi presa una breve pausa.

Dopo aver slegato la busta, prese nuovamente posto sulla sedia e aprì l’involucro di pergamena. Dentro trovò altre due buste: una di semplice pergamena da lettere e l’altra di una raffinata pergamena azzurra decorata con fili argentati.

Sara sorrise, sospettando il contenuto della busta azzurra. Dagli accenni che Lily si era lasciata sfuggire nelle lettere precedenti poteva trattarsi solo di una cosa, ma prima di rovinarsi la sorpresa prese l’altra busta. Su di essa vi era scritto “Apri prima la busta azzurra”. La ragazza obbedì e all’interno trovò un cartoncino azzurro con gli stessi decori argentati che diceva:

Lily Evans e James Potter
sono lieti di annunciare il loro matrimonio
che si terrà il giorno 10 Giugno
presso la Chiesa di Saint Paul a Londra
alle ore 10.30.
Di seguito alla cerimonia si terrà un piccolo ricevimento.

 

Sara rise tra se, non poteva fare a meno di pensare che, quando aveva conosciuto Lily, lei non poteva sopportare James e ora stava per sposarlo. Era felice per la sua amica, stava per iniziare una nuova vita e da quando stava con James l’aveva vista serena e tranquilla come non mai. Sentiva molto la mancanza della sua amica e temeva che sposandosi la loro corrispondenza sarebbe diventata meno assidua, così come i loro incontri, ma non era il caso di preoccuparsi prima del tempo.

Sara aprì la seconda busta e si sistemò contro lo schienale della sedia, preparandosi a leggere quella che sperava fosse una lunga lettera.

Cara Sara,
Sorpresa!
Ma credo che tu non sarai poi così sorpresa dalla notizia, dopo tutto mi ero già lasciata sfuggire qualcosa. Sono davvero felice! Non puoi neanche immaginare quanto! Non vedo l’ora che sia il dieci di giugno! E tu ci devi assolutamente essere!!!
Io e Jamie abbiamo già parlato con Silente e mi pare propenso ad accordarti il permesso di lasciare la scuola per un giorno. Davvero non posso sposarmi senza la mia migliore amica.
Forse la nostra decisione può apparire avventata, i miei genitori non sono particolarmente d’accordo, ma non voglio passare neppure un attimo senza James, non in questo momento in cui potremmo essere attaccati ad ogni istante.
Se dobbiamo affrontare qualche terribile destino, vogliamo affrontarlo insieme. E quale modo migliore di realizzare questo proposito che  sposarsi?
So che tu capirai e che non mi giudicherai troppo duramente.
Ora passiamo ad argomenti più allegri. Manca così poco al matrimonio e devo fare ancora così tante cose. Se non sbaglio il prossimo fine settimana avrete libera uscita a Hogsmeade. Se venissi al villaggio, mi aiuteresti a sbrigare alcune commissioni? Mi piacerebbe passare una giornata con te. Ti prego non dire di no!
Aspetto la tua risposta prestissimo! Frullo ha ordine di attendere la risposta e di beccarti a morte se non risponderai immediatamente! Per cui fai attenzione!

Fidanzatissimamente tua
Lily

Sara scosse la testa continuando a sorridere, come aveva fatto per tutto il tempo in cui aveva letto. Non perse tempo, afferrò una pergamena e cominciò a scrivere la risposta.

Cara Lily,
CONGRATULAZIONI!
Sono davvero felice per te, benché il tuo stato mentale mi preoccupi un po’. Jamie? Da quando chiami James Jamie? E soprattutto da quando James Potter accetta di farsi chiamare Jamie?
Inoltre mi inquieta leggermente questo abuso di punti esclamativi. E’ un effetto del fidanzamento?
A parte gli scherzi, sono davvero contenta per te, per voi.
Avevo deciso di rimanere a scuola a studiare sabato, ma per il tuo matrimonio posso fare un’eccezione. So che non hai idea di che cosa sia l’organizzazione.
Ci vediamo davanti a Mielandia alle nove, d’accordo?
Un bacio a te e un abbraccio a Jamie!

Sara

La ragazza piegò la lettera in quattro e la legò alla zampa di Frullo.

-          Mi raccomando, consegnala in fretta alla tua padrona, altrimenti penserà che non le ho risposto subito – disse Sara accarezzando Frullo sulla testa. Quindi fece posare il gufo sul braccio e lo accompagnò alla finestra. Il gufo la guardò stringendo gli occhi, poi spiccò il volo.

-          Di chi era la lettera? – domandò Rebecca alzando la testa dagli appunti di Incantesimi.

-          E’ di Lily – rispose Sara avvicinandosi all’amica – Indovina un po’ – continuò poi sventolandole il cartoncino azzurro davanti agli occhi – Lily e James si sposano!

-          Ma dai? – rispose Bex facendo un piccolo balzo sulla sedia – E dire che sembravano non sopportarsi!

-          Eh già, e invece… Ascolta – disse Sara con più serietà – so che avevamo deciso di restare a studiare invece di andare a Hogsmeade, ma Lily mi ha chiesto di accompagnarla al villaggio per fare alcune commissioni per il matrimonio. Ti dispiace se vado?

-          Oh… bè, no. Vai pure – rispose Rebecca lievemente delusa – Chiederò a Bob. Se va al villaggio andrò con lui, se resta a studiare potrei farmi dare una mano.

-          Sei sicura che non sia un problema? – chiese ancora Sara.

-          Vai tranquilla, non c’è problema – replicò Bex questa volta sorridendo apertamente.

Sara aveva spesso l’impressione che Bex fosse un po’ gelosa di Lily. Sara e Rebecca erano state in camera insieme fin dal primo anno, ma avevano legato di più all’inizio del terzo anno, quando Lily aveva già finito gli studi e aveva lasciato Hogwarts. Sara aveva raccontato spesso di Lily alla sua nuova amica, ma aveva deciso di smettere quando aveva avuto l’impressione che le desse fastidio.

Bob invece era una specie di fidanzato di Rebecca. In realtà la cosa non era molto chiara, si prendevano e si mollavano con una certa facilità, attraversavano dei periodi di amore incondizionato e dei periodi in cui quasi non si parlavano. Sara aveva smesso da tempo di cercare di capirci qualcosa, lasciava che l’amica facesse quello che voleva del suo tempo e della sua vita.

Quel giorno Sara si rimise a studiare con uno spirito più positivo, disponendosi ad una settimana di attesa prima della gita ad Hogsmeade.

Il sabato giunse abbastanza rapidamente, Sara aveva così tanto da studiare che le giornate parevano sempre troppo corte. La mattina del giorno fissato si alzò molto presto, quando ancora le sue compagne di stanza dormivano profondamente. Si fece la doccia nel bagno comune cercando di fare il minor rumore possibile, indossò un paio di jeans scuri e una maglia alla marinara con righe orizzontali bianche e blu. Prima di uscire prese la borsa di cuoio, che usava anche per portare i libri nei giorni di lezione, e indossò un leggero giubbotto di seta blu scuro.

Quando scese le scale, in Sala Comune trovò solo poche persone, alcuni che avevano deciso, come lei, di sfruttare appieno la giornata e recarsi al villaggio di buon ora e qualche studente degli ultimi anni che aveva già cominciato a studiare.

I corridoi del castello si presentavano altrettanto sonnolenti e silenziosi, solo in Sala Grande cominciava ad esserci un certo movimento per la colazione. Sara si sedette al tavolo di Grifondoro e consumò una colazione sostanziosa con uova, pancetta, pane tostato imburrato e coperto di marmellata di lamponi e succo di zucca gelato. Non aveva idea di quante cose dovesse fare Lily, quindi non sapeva se si sarebbero fermate per pranzare.

La giornata si presentava serena e soleggiata. Anche se si avvicinava molto a un clima estivo, l’aria del mattino era fresca e tagliente e il giubbotto che Sara indossava non era affatto eccessivo.

Quando arrivò davanti a Mielandia, il negozio aveva appena aperto, il proprietario stava abbassando una tenda colorata sopra la vetrina mentre la moglie sistemava alcuni scacchi di caramelle all’interno.

Lily non era ancora arrivata, così Sara si avviò lungo la strada principale di Hogsmeade e si fermò accanto a una staccionata che racchiudeva un prato. La ragazza si guardò un po’ intorno. Non c’era nessuno in vista, soprattutto non c’erano insegnanti. Così si passò tra una trave e l’altra della staccionata e si nascose dietro l’angolo dell’edificio lì accanto. Frugò rapidamente nella borsa e trovò quasi subito quello che cercava: un pacchetto di sigarette e un accendino. Prese una sigaretta e se la accese con le mani che le tremavano furiosamente, tanto che rischiò di incendiarsi i capelli con l’accendino. Aveva il terrore che qualcuno la vedesse, ma era dall’ultima partita di Quidditch che non si concedeva una sigaretta.

Aveva iniziato a fumare l’estate precedente, l’unica che ne era a conoscenza era Bex, che la accompagnava di tanto in tanto dietro gli spogliatoi del campo di Quidditch per fumarsi una sigaretta. Non era fiera di questo vizio, ma purtroppo aveva provato e le era piaciuto. E ora diventava sempre più difficile rinunciarci.

-          Che cosa stai facendo?!

La voce che la sorprese alle spalle era ben nota a Sara e si voltò con aria colpevole, cercando di nascondere la sigaretta dietro la schiena.

-          Niente! Non sto facendo niente! – esclamò Sara facendo scivolare la sigaretta a terra e schiacciandola con il tallone.

-          Sara! Quando hai iniziato a fumare? – chiese Lily con aria di disapprovazione.

-          Allora, non hai delle commissioni da fare? Andiamo! – disse Sara tornando sulla strada e affiancandosi alla sua amica.

-          Non credere di passarla liscia così – disse Lily stringendo gli occhi con aria minacciosa – Comunque per il momento soprassediamo.

-          Grazie, vostro onore – replicò Sara con un sorrisetto ironico – Dimmi, dimmi, che commissioni devi fare?

-          Devo comprare il vestito.

-          Il vestito? Mi vuoi dire che tu ti sposi tra meno di un mese e ancora non hai scelto il vestito? E sei venuta a cercarlo a Hogsmeade? – domandò Sara incredula.

-          Non voglio comprarlo a Hogsmeade, ma tu verrai con me a sceglierlo a Londra – dichiarò Lily con un sorriso immenso.

Sara rimase per un attimo interdetta, ma Lily la tolse dall’imbarazzo di replicare.

-          Prenderemo il Nottetempo, ci metteremo poco per arrivare a Londra, passeremo la giornata lì e poi, nel tardo pomeriggio, puoi tornare usando ancora il Nottetempo.

-          Se sei convinta tu? – disse Sara un po’ perplessa – Ma se mi fai passare dei guai a scuola boicotto il tuo matrimonio!

-          Stai tranquilla, andrà tutto bene.

Hogsmeade cominciava a riempirsi di studenti in libera uscita. Se non volevano farsi troppo notare dovevano sbrigarsi. Sara sapeva che non sarebbe stato saggio farsi vedere salire sul Nottetempo. Lily si infilò in una strada secondaria ed estrasse la bacchetta, mormorò “Lumos” e tese la bacchetta davanti a sé.

Un enorme autobus viola si stagliò davanti a loro, le porte a soffietto si aprirono e ne scese un vecchissimo bigliettaio di nome Ulric.

-          Buon giorno, sono Ulric, il vostro bigliettaio per oggi. Dove siete dirette? – chiese l’anziano signore con voce inespressiva mentre le ragazze salivano a bordo.

-          Londra, Diagon Alley – rispose Lily con voce chiara.

-          Fanno dodici falci e tre zellini – continuò con voce sempre piatta e monotona.

Lily pagò il biglietto per entrambe, ignorando le proteste di Sara che voleva pagare per sé.

-          Signorine vi prego di accordarvi e prendere posto, dobbiamo ripartire – invitò il bigliettaio – Devo andare in pensione, sono troppo vecchio per queste cose.

-          Ci scusi – disse Sara.

Lei e Lily si sedettero in fondo al bus e poco dopo l’autobus ripartì con un rombo e un forte scoppio. Le ragazze avevano moltissime cose da dirsi, così il viaggio non sembrò così terribile e movimentato come al solito e parve che Londra arrivasse in un attimo.

Il Nottetempo si fermò con un’inchiodata davanti al Paiolo Magico e le ragazze furono praticamente sbalzate fuori. Salutarono il bigliettaio con un sorriso e si avviarono lungo la via.

-          Allora – cominciò Sara – Dove vuoi comprare il vestito?

-          Non saprei… non sarà una cerimonia sontuosa. Abbiamo invitato gli amici più stretti, qualche parente, ma niente di più. Non voglio esagerare – disse Lily gravemente.

-          Bè, ci si sposa una volta sola… si spera… se non ti togli adesso lo sfizio del vestito quando pensi di farlo? – domandò Sara

-          Hai ragione! Guarda! – esclamò Lily indicando un grande negozio con la vetrina zeppa di tulle bianco.

Le due amiche attraversarono la strada e si trovarono davanti a una boutique con un’insegna che recitava “Le spose di Susan – al vostro servizio dal 1923”.

-          Ho sempre sognato di comprare qui il vestito da sposa. Ogni volta che venivo a Diagon Alley con mia madre ci fermavamo a guardare queste vetrine – disse Lily trattenendo il fiato davanti agli abiti esposti dietro il vetro.

-          Benissimo! Entriamo.

Sara precedette la futura sposa dentro il negozio. Una commessa annoiata alzò lo sguardo da una rivista e si alzò in piedi:

-          Buon giorno! – salutò allegramente ridestandosi dal torpore – Io mi chiamo Mary Jane e sono a vostra completa disposizione. Come posso esservi utile?

-          Piacere Mary Jane, io sono Sara e questa è la mia amica Lily. Lily si sposa tra meno di un mese e non ha ancora comprato il vestito. Per di più è la persona più difficile e indecisa che abbia mai conosciuto. Pensa di poter fare qualcosa?

-          Ci possiamo provare – rispose Mary Jane con un sorriso, senza avere l’aria di essere preoccupata.

-          Benissimo! Taglia 42, ci mostri quello che il negozio può offrire.

La commessa si addentrò per alcuni minuti nei meandri del negozio e ne riemerse con una rastrelliera carica dei più svariati modelli.

Lily sparì in un camerino e Sara rimase ad attendere seduta su un divanetto. La ragazza provò decine e decine di abiti senza mai essere soddisfatta, al punto che sia Sara che Mary Jane stavano per perdere le speranze.

-          Questo? Che ne dici? – chiese perplessa Lily uscendo dal camerino.

L’abito era enorme ed elaborato, con una gonna ampia e vaporosa.

-          Lily… - sussurrò Sara avvicinandosi per non farsi sentire dalla commessa – sembri una meringa enorme.

-          Ok. Ricevuto il messaggio.

La ragazza scomparve nuovamente e Sara, disperata, decise di fare un giro per il negozio per distrarsi. C’erano numerosi scaffali e rastrelliere con scarpe, borsette, abiti non solo da sposa, ma anche da cerimonia, ed era tutto bellissimo. L’attenzione della ragazza fu attratta da una rastrelliera carica di abiti molto colorati. Ce n’erano di rossi, rosa pesca, rosa confetto, verde pallido, quello che le piacque di più era color carta da zucchero, molto semplice, lungo al ginocchio, con le spalline sottili e la scollatura drappeggiata.

-          E’ bello vero? – chiese Mary Jane arrivando alle spalle di Sara.

La ragazza sobbalzò al punto che quasi le cadde il vestito di mano. Non credeva di essere osservata.

-          Mi scusi, non volevo spaventarla!

-          Non si preoccupi. Si, in effetti è molto bello – rispose Sara con aria sognante.

-          Perché non lo prova? Per il matrimonio della sua amica sarebbe perfetto – suggerì la commessa.

-          Mi piacerebbe ma è al di sopra delle mie possibilità – disse Sara sbirciando il cartellino del prezzo.

-          Provare non costa nulla! – esclamò Mary Jane – Venga – disse guidando Sara verso un camerino vuoto.

Sara si lasciò convincere a provare l’abito anche se sapeva che non avrebbe potuto comprarlo, era davvero al di sopra del suo budget. Si spogliò e prese il vestito dalla stampella. Se lo fece scivolare addosso facendo molta attenzione a non sgualcirlo, quindi uscì e si guardò allo specchio.

Era perfetto. Sembrava che glielo avessero cucito addosso. Mary Jane comparve nuovamente alle sue spalle, posò a terra un paio di sandali dello stesso colore dell’abito coperti di strass e le porse una stola di seta in tinta bordata di perline.

-          Come faceva a sapere il mio numero? – domandò Sara incredula provandosi le scarpe e drappeggiando la stola sulle spalle.

-          Ho molto occhio – replicò Mary con modestia.

-          E’ bellissimo, non ci sono altre parole – disse Sara osservando lo specchio estasiata.

-          Le sta benissimo! Se vuole posso farle un po’ di sconto. Bè, la lascio, vado a vedere come se la cava la sposa.

-          Sì – rispose Sara assente – le dica che arrivo subito.

Sara si guardò allo specchio ancora un po’. No, non ci doveva neppure pensare. Non se lo poteva permettere. Però forse, facendo qualche sacrificio ce la poteva fare. Aveva tempo di pensarci su. Si cambiò rapidamente e tornò da Lily che si rimirava nello specchio con aria estatica.

-          Questo è assolutamente perfetto! – esclamò appena la vide – Non trovi?

L’abito che indossava era stato confezionato con una stoffa morbida e cangiante, che a seconda della luce assumeva una tonalità bianco perlacea lucente o opaca. Aveva una scollatura profonda ma non sfacciata, il corpetto era aderente e la gonna scendeva morbida a formare un piccolo accenno di strascico. Una giacchina con le maniche a tre quarti e decorata con una finissima passamaneria copriva le spalle.

-          E’ davvero perfetto! – replicò Sara – Dice che ce l’abbiamo fatta? – scherzò poi rivolta alla commessa.

-          Io dico di sì – disse Mary Jane tirando un sospiro di sollievo.

-          Anch’io! – confermò Lily – Ora mancano solo le scarpe.

-          Ferma! Ci penso io! – proclamò Sara che non aveva nessuna intenzione di passare un’altra ora in quel negozio.

Seguita a ruota dalla commessa, Sara si addentrò nel negozio esaminando rapidamente tutte le scarpe. Ad un tratto si bloccò davanti ad un paio di decolleté bianche con il tacco e la punta decorate con paillettes perlate.

-          Queste! – disse alla commessa che scelse la scatola con il numero di Lily e le portò alla sposa perché le provasse.

Quando Lily le vide fu entusiasta della scelta e fu d’accordo a non provare altri modelli. Mary Jane prese nota di alcune piccole modifiche da apportare al vestito, segnò l’indirizzo a cui inviare l’abito e incassò un piccolo acconto.

Mentre stavano per uscire Sara prese una decisione. Attese che Lily fosse fuori portata di orecchie e si avvicinò a Mary Jane.

-          Senta… - cominciò.

-          Mi dica.

-          Se le do un acconto mi può tenere da parte il vestito fino al giorno del matrimonio? Potrei passare la mattina stessa a prenderlo.

-          Ma certo! Sono contenta che abbia deciso di prenderlo. Le sta d’incanto – esclamò la commessa.

Evidentemente due vendite così insieme era parecchio che non capitavano. Sara fece scivolare una banconota in mano alla commessa e si avviò all’uscita con la sua amica.

-          Evviva, ora mi sento più leggera! – decretò Lily con un sorriso enorme – Adesso ci vuole qualcosa da mettere sotto i denti.

-          Decisamente – confermò Sara, nonostante l’abbondante colazione.

Poco distante c’era una tavola calda dall’aria accogliente. Le ragazze attraversarono la strada ed entrarono nel locale. Si sedettero al primo tavolo libero e ordinarono due panini super farciti ad una cameriera scheletrica. Quando la cameriera tornò con le loro ordinazioni, le guardò con l’odio di chi vive da anni di sedano gratinato, ma Lily e Sara avevano altro a cui pensare che i disturbi alimentari di una ventenne troppo magra e troppo truccata.

-          Dimmi, donna disorganizzata – cominciò Sara – Come sei messa con i preparativi?

-          Abbastanza bene, per la cerimonia è tutto a posto e i festeggiamenti sono organizzati quasi in ogni dettaglio – rispose Lily con tono pratico.

-          Non era questo che intendevo – la interruppe Sara con un sorrisetto - Non ti puoi sposare senza qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio, qualcosa di prestato e qualcosa di blu. Sul nuovo con il vestito siamo a posto direi. Per il vecchio?

-          Per il vecchio ho la biancheria. Dici che basta?

-          Sì direi di sì – confermò Sara.

-          Mancano il prestato e il blu – confessò la futura sposa.

-          Se permetti vorrei risolverti entrambi i problemi in un colpo solo – disse Sara estraendo un astuccio di velluto nero dalla borsa.

-          Che cos’è? – domandò Lily curiosa.

Sara aprì l’astuccio e lo voltò verso l’amica. Lily rimase senza fiato nel vedere il contenuto: era una splendida collana di zaffiri blu come la notte e brillanti con un bellissimo paio di orecchini in coordinato.

-          Sara ti ringrazio ma non posso accettare – disse Lily spingendo l’astuccio verso la ragazza.

-          Perché no? E’ soltanto un prestito… e starebbe perfettamente con il vestito.

-          Ma è la collana di tua nonna, il tuo pezzo di eredità! – esclamò Lily.

-          Appunto, è il mio pezzo di eredità e probabilmente è anche l’unico pezzo di eredità che riceverò dalla mia famiglia visto come si stanno mettendo le cose. Per cui posso disporne come voglio e ora voglio prestartelo per il matrimonio – ribatté Sara decisa.

-          E’ così drammatica la situazione con tua madre?

-          Non è delle più rosee, minaccia di diseredarmi. E’ per questo che mi sono portata a scuola la collana. Non vorrei che mia madre la vendesse per farmi un dispetto.

-          E perché vorrebbe diseredarti? – domandò Lily incredula.

-          Perché non corrispondo al suo ideale di figlia. Quando sono tornata a Natale c’è stata una delle migliori discussioni di tutti i tempi perché ho osato accennare al fatto che probabilmente finita la scuola mi dedicherò a un lavoro nel mondo della magia – raccontò Sara con voce piatta.

-          E tua madre non l’ha presa bene, immagino. Ma d’altra parte è quello per cui hai studiato.

-          Già – tagliò corto Sara, non aveva nessuna voglia di parlare di sua madre – Allora la prendi o no questa collana?

-          D’accordo – acconsentì Lily e dopo un momento aggiunse – Grazie mille! – e si alzò per andare ad abbracciare Sara.

Sciogliendosi dall’abbraccio, Lily fece un respiro profondo e disse timidamente:

-          Avrei un ultima richiesta da farti.

-          No! Non ci pensare nemmeno! – esclamò Sara con gli occhi spalancati sapendo bene quale sarebbe stata la richiesta.

-          Perché no? Non vuoi fare da damigella alla tua migliore amica?

-          Non è una questione di amicizia – si giustificò Sara – E’ che non ho intenzione di attraversare la navata della chiesa davanti a te, sai quanto detesti mettermi in mostra.

-          Lo so bene – disse tristemente Lily – Ma non sarà un altro il motivo? – chiese poi con un sorriso ironico.

-          Ti assicuro che non c’è nessun altro motivo – confermò Sara fissandosi le mani.

-          Non sarà che non vuoi farmi da damigella perché Sirius è il testimone di James?

-          Assolutamente no, Black non c’entra nulla. Non sapevo neppure che sarebbe stato il testimone di James – replicò Sara rapidamente. Quindi dopo una pausa aggiunse: - Comunque ora che me l’hai detto anche questa potrebbe essere una valida ragione.

-          Io credo che Sirius c’entri eccome e credo anche che sarebbe il momento che voi due la smetteste di fare gli idioti in questo modo – rispose bruscamente Lily.

Mentre scendeva dall’auto, davanti al piccolo molo dove era ormeggiato il traghetto che li avrebbe condotti sull’isolotto di Azkaban, Sara rifletté che Lily aveva avuto anche troppo ragione a dire che avrebbero dovuto smettere di fare gli idioti.

*^*^*^*^*

Le giornate di Grimmauld Place sembravano a Sirius sempre più monotone. Erano tutte identiche l’una all’altra e lui, come ogni mattina, era seduto in cucina a sorseggiare un caffè leggendo la Gazzetta del Profeta. Se non fosse stato per la data impressa sul giornale non avrebbe neppure saputo dire che giorno fosse, forse era ieri o l’altro ieri o domani. Non c’era alcuna differenza.

L’unico sollievo veniva dalle lunghe chiacchierate che faceva con Lily, James e Remus. Sia Sirius che Remus cercavano di godersi questo splendido dono fino a quando sarebbe durato. Ora più che mai Sirius desiderava che le cose fossero andate in modo diverso, ma non poteva cambiare il passato, poteva solo ricordarlo.

Arrivato all’ultima pagina della Gazzetta, lo sguardo gli si posò sulle pubblicazioni dei matrimoni e un mezzo sorriso gli attraversò il viso nel ricordare la festa di fidanzamento di James e Lily.

In realtà non avevano organizzato una vera e propria festa di fidanzamento seguendo i crismi del galateo. Avevano invitato alcuni amici in un locale, all’epoca piuttosto alla moda, e avevano prenotato qualche tavolo.

Lily e James erano impegnati ad accogliere gli invitati che arrivavano man mano, c’erano alcune amiche di Lily, alcuni compagni di scuola di James e naturalmente Remus e Peter. Remus era già immerso in una conversazione animata con una delle amiche di Lily, mentre Sirius era appoggiato al bancone del bar dall’altro lato della sala e osservava la scena con interesse. Ad un tratto una ragazza bionda, piuttosto alta e inguainata in un tubino bianco, attirò la sua attenzione accarezzandogli un braccio. Sirius si voltò verso di lei e la guardò perplesso, poi si riscosse e la attrasse verso di sé.

-          C’è qualcosa che non va? – chiese la bionda.

-          No Mandy, va tutto bene – rispose Sirius.

Mandy era la ragazza del momento ma, nonostante stessero insieme da poco più di un mese, Sirius già faticava a ricordare le ragioni per cui si era messo con lei. Come per farsi perdonare, il ragazzo la baciò appassionatamente attirando gli sguardi invidiosi della maggior parte degli uomini nel raggio di dieci metri.

Quando si staccarono Mandy sorrideva raggiante, ma lo sguardo di Sirius era già altrove. Stava fissando l’ingresso dove era appena entrata una ragazza che gli pareva di conoscere. Aveva lunghi capelli scuri e indossava un abitino nero molto semplice. Subito non la riconobbe, ma quando la vide avvicinarsi a Lily e salutarla calorosamente realizzò: era Sara White.

Non la vedeva dall’estate precedente e si sorprese a pensare che era cambiata molto… e in meglio. Ma non avrebbe dovuto essere a scuola?

Sirius si staccò dal bancone e attraversò la sala tenendo per mano Mandy che saltellava sui tacchi vertiginosi per stargli dietro. Si avvicinò quel tanto che bastava per verificare che si trattasse effettivamente di Sara e per cogliere uno stralcio di conversazione.

-          Sono contenta che tu ce l’abbia fatta! – stava dicendo Lily.

-          Lascia perdere! E’ stata una vera impresa. Ho dovuto promettere a Rebecca tutta una serie di favori per convincerla a coprirmi stasera – replicò Sara.

E così era scappata da scuola. Sirius era sorpreso, non la credeva capace di tanto.

-          Sei scappata? – domandò Lily incredula.

-          Certo! Non pensavi che la McGrannitt mi avrebbe dato il permesso spero?

In quel momento Sara si voltò e vide Sirius a poca distanza. Il ragazzo cercò di assumere un’espressione indifferente, ma senza grande successo.

-          Black, la mamma non ti ha insegnato che è maleducazione origliare – disse aspramente la ragazza.

-          E tua mamma non ti ha insegnato che è contro le regole fuggire da scuola? – ribatté il ragazzo.

-          Senti chi parla – sbuffò Sara e si voltò di nuovo verso Lily cercando di ignorarlo.

A quel punto gli invitati erano tutti arrivati, così i futuri sposi li guidarono verso i tavoli riservati e si formarono tre gruppi attorno ad altrettanti tavoli. Lily e James presero posto al centro e al loro tavolo si sistemarono Sirius con Mandy, Sara che si sedette accanto a Remus e Peter.

All’inizio tutto sembrò andare per il meglio, la conversazione era piacevole e tranquilla. Sirius e Sara praticamente non si rivolgevano la parola ma la cosa non pareva troppo grave.

A metà serata Lily e James si alzarono per andare a chiacchierare anche con gli altri ospiti e lasciarono il tavolo. I bicchieri giacevano sul tavolo vuoti, così Sara disse:

-          Altro giro?

-          Perché no, vado io – disse Remus.

-          No, lascia vado io – replicò Sara alzandosi e raccogliendo i bicchieri vuoti.

Sirius la osservò allontanarsi zigzagando tra i tavoli e non poté fare a meno di notare che alcuni ragazzi si erano voltati a guardarla. Sara si fermò al bancone e chiacchierò un attimo con il barista prima di ordinare. Il ragazzo al di là del bancone continuò a chiacchierare mentre riempiva i bicchieri e questo infastidì Sirius, anche se non avrebbe saputo spiegare il perché.

Per far passare la sensazione di fastidio, Sirius si voltò e si accorse che Remus lo fissava intensamente.

-          Che c’è? – chiese seccato.

-          Niente. Assolutamente niente – rispose Remus alzando le mani come in segno di resa.

Dopo qualche istante Sara era di ritorno con un vassoio carico di bicchieri che depose con delicatezza sul tavolo. Ognuno prese il suo cocktail e Sirius osservò:

-          I miei complimenti, non ne hai versato neppure una goccia. Hai un futuro come cameriera.

-          Oh  grazie per questo benevolo giudizio! – esclamò Sara irritata – Vuoi che mi prostri ai tuoi piedi per il complimento?

-          Non era un complimento era una constatazione – replicò Sirius – Sei sempre così acida? Mi stupisce che non si sciolga tutto quello che tocchi.

-          Sirius… - disse Remus cercando di placare gli animi.

-          Ma no, lascialo dire Remus. Sarai simpatico tu! Ad Hogwarts non siamo mai stati così bene come da quando te ne sei andato – rincarò Sara alzando leggermente la voce – Ci siamo liberati di un rompiscatole e piantagrane da guinness dei primati.

-          Vedo però che tu sei una degna sostituta quanto all’essere piantagrane. Dimmi la verità ci godi a litigare?

Mandy seguiva la discussione con l’aria di una che non capisce quello che sta succedendo, Remus era a disagio e cercava di fermarli prima che la situazione degenerasse, mentre Peter fingeva indifferenza guardando altrove.

-          Ti ricordo che sei stato tu a cominciare – precisò Sara.

-          E tu hai colto la palla al balzo, vero? – replicò Sirius

-          Ho l’impressione che sia tu che godi nel litigare con me, non è vero Black?

-          Sei fuori strada, non sei diversa da mille altre persone, perché dovrei preferire litigare con te che con altri? – ribatté Sirius con un sorrisetto sarcastico.

-          Bene allora non vedo perché continuare questa discussione – concluse Sara.

-          Per una volta siamo d’accordo su qualcosa – confermò Sirius.

-          Comunque Mandy – cominciò Sara rivolgendosi alla ragazza – i miei complimenti per la pazienza. Devi essere una santa per sopportare uno così.

Detto questo Sara si alzò e andò a cercare Lily. Sirius rimase seduto a fissare il bicchiere che teneva in mano. Fu la voce di Remus a riscuoterlo:

-          Cosa ne dici, potrebbe essere arrivato il momento di smetterla.

-          Smetterla di fare cosa? – domandò fingendo ingenuità Sirius.

-          Smetterla di fare gli idioti. Tu e Sara. Stareste meglio voi e starebbero meglio gli altri.

Seduto nella cucina di Grimmauld Place, Sirius dovette riconoscere che Remus aveva avuto perfettamente ragione.

 
Per i lettori: ci avviciniamo ad entrare nel vivo della storia e a conoscere un po' meglio questi personaggi. Buona lettura e COMMENTATE!!!!! :-D



Sara era finalmente a casa. Come ogni volta, prima di abbassare la guardia, controllò che non ci fossero segni di effrazione e che tutto fosse a posto. Erano anni che non riusciva a dormire profondamente, aveva sempre un orecchio teso a captare suoni sospetti e la mano sotto il cuscino stretta sulla bacchetta.

Tolse le scarpe e la giacca, che abbandonò sul divano del salotto, e andò in cucina a prepararsi qualcosa da mangiare.

L’appartamento di Sara era composto da un ampio salotto arredato con comodi divani, tappeti e cuscini; la cucina, posta sulla sinistra, aveva un grande tavolo rotondo al centro e dei pensili in legno chiaro occupavano due delle quattro pareti. Alla destra del salotto invece c’erano il bagno, un piccolo ripostiglio e tre stanze da letto. Una delle camere era riservata a Raymond, il figlio di Rebecca, che di tanto in tanto passava qualche giorno con lei. La seconda stanza era occupata da Sara, mentre la terza, inutilizzata da anni, era diventata una specie di deposito.

L’appartamento era lo stesso che aveva affittato con Rebecca quando se ne era andata da casa. Rebecca e Trisha, la loro coinquilina, erano diventate la famiglia di Sara dal momento che la sua famiglia d’origine, da quando se ne era andata, si era completamente disinteressata di lei.

Sara non avrebbe mai dimenticato la reazione di sua madre Eleanor quando le aveva comunicato che sarebbe andata frequentare l’Accademia degli Auror. Sulle prime la donna non aveva compreso il vero senso dell’affermazione, poi, quando Sara le aveva spiegato in che cosa consisteva il lavoro era scoppiato un pandemonio.

-         Che cosa vorresti fare?! Vorresti diventare una specie di poliziotta? E che cosa ne sarà del nome della nostra famiglia?! Non ti sembra già abbastanza il fatto che ti abbia permesso di frequentare quella specie di scuola per fattucchiere! – aveva cominciato a strillare Eleanor, con i capelli generalmente perfetti che sfuggivano dall’elaborata acconciatura.

Grace e Derek, che erano nelle loro stanze, erano usciti precipitosamente per godersi lo spettacolo che si svolgeva al piano di sotto, nello studio della madre.

-         Ma mamma, non sarei “una specie di poliziotta”! – aveva cercato di spiegare Sara – Nel mondo magico essere Auror viene considerato un onore. Sono davvero pochi quelli che riescono a superare le selezioni per l’Accademia.

-         Non mi hai neppure consultata prima di fare l’esame di ammissione! Non se ne parla. Non ho intenzione di pagare per mantenerti altri tre anni mentre studi chissà quale diavoleria.

-         Bene – aveva gridato Sara ancora più forte di sua madre – Bene! Se è così, non dovrai mantenermi affatto! Me ne vado! Mi pagherò gli studi da sola!

Era uscita sbattendo la porta ed era scappata a casa di Rebecca. Quando aveva realizzato cosa aveva detto sull’onda della rabbia, in parte si era pentita. Come avrebbe fatto a mantenersi agli studi? In parte però si era sentita libera come mai in vita sua.

Suo padre, quando aveva saputo, aveva provato a ricondurla alla ragione e a convincerla a tornare a casa, ma ben presto si era reso conto che non ci sarebbe riuscito, così aveva aiutato Sara come aveva potuto, passandole qualche soldo di tanto in tanto, di nascosto dalla moglie.

Sara era grata a Gerald, gli voleva molto bene ma non poteva dire di avere un vero rapporto con lui. Era sempre stato assente e troppo preso dal lavoro. In questo si assomigliavano molto: il lavoro prima di tutto.

La pasta che aveva riscaldato al microonde ormai era pronta, prese il piatto e si trasferì in salotto. Si sedette sul suo divano preferito e accese la televisione; non che avesse realmente intenzione di seguire un programma ma sentire delle voci le teneva compagnia. Sedendosi, Sara udì un suono cartaceo provenire dal retro dei suoi jeans e improvvisamente ricordò della foto che era ancora nella sua tasca, la estrasse dai pantaloni e la guardò a lungo.

Ritraeva lei e Sirius, mano nella mano, nel giardino della casa di James e Lily. Era stata scattata il giorno del battesimo di Harry.  Guardando Sirius che le sorrideva con affetto, ricordò quel momento e le parve che facesse parte della vita di qualcun altro. Cercava sempre di non pensare a quel periodo meraviglioso per evitare che la nostalgia prendesse il sopravvento, ma quella sera fece un’eccezione e per la prima volta da quando quella storia era iniziata, si concesse di piangere.

*^*^*^*^*

Quando era rientrato dalla sua scappatella, Sirius aveva sperato di scamparsela rifugiandosi nella sua stanza, ma aveva fatto male i suoi conti. Ben presto era arrivato James per vedere come stava, poco dopo li raggiunse Lily e in fine arrivò anche Remus.

Fortunatamente i tre conoscevano Sirius abbastanza da sapere che non amava subire rimproveri troppo prolungati, così, dopo avergli detto quanto pensavano fosse stato incosciente e stupido, avevano sviato la conversazione su un argomento più neutro. Avevano iniziato a parlare di Harry.

Sirius, come spesso faceva, era appoggiato al davanzale della finestra, Lily aveva preso posto sul letto, mentre James e Remus erano seduti su due sedie accanto al caminetto.

-         Mi dispiace che Harry sia rimasto qui così poco… ma d’altronde era giusto che tornasse a scuola – stava dicendo la donna.

-         Fa uno strano effetto – continuò suo marito – fino a poco fa era un bambino di un anno e ora davanti ai miei occhi c’è un ragazzo di quindici anni che ne ha passate di tutti i colori. Non so neppure che cosa dirgli, mi sembra molto più adulto di me.

-         Senza dubbio ha dovuto crescere in fretta, ha incontrato nella sua vita molte più difficoltà di qualunque quindicenne normale, ha già incontrato Voldemort quattro volte ed è sopravvissuto quattro volte. Sono cose che segnerebbero chiunque – replicò Remus.

-         Harry è forte – disse Sirius – E’ una delle persone più forti e coraggiose che abbia mai conosciuto. E’ forte come te, James. Ma meno irresponsabile – concluse sorridendo.

-         Grazie della considerazione, amico mio! – esclamò James ridendo.

-         Voi l’avete conosciuto molto più di noi, perché non ci raccontate qualcosa – propose Lily con uno sguardo che anelava informazioni su suo figlio.

-         Bè, io l’ho avuto come studente per un anno – iniziò Remus – Non dico che sia uno stinco di santo ma ha dimostrato di essere molto maturo per la sua età. Ha affrontato i dissennatori con grande tenacia. Ama il Quidditch proprio come te – disse rivolto a James.

-         Mio figlio non avrebbe potuto essere altro che un grande Cercatore! Quante volte hanno già vinto la coppa?

-         Soltanto al terzo anno – rispose Remus – Ma al secondo anno è stata sospesa, mi hanno detto, e al primo anno Harry non ha potuto partecipare all’ultima partita. In compenso – proseguì l’uomo per lenire la delusione di James – da quando Harry è arrivato a Hogwarts Grifondoro non ha più perso la Coppa delle Case neppure una volta.

-         Uomini! – esclamò Lily irritata – Sempre a parlare di sport, di punti, di trofei! Io preferirei sapere cose più sostanziali su mio figlio, piuttosto che sapere la sua media di punteggio a Quidditch!

-         A proposito Sirius, ottima idea regalargli quella scopa! – disse James incurante del rimprovero di Lily.

Sirius rise, ma non replicò. Rispose invece a Lily:

-         Che ti posso dire? E’ sopravvissuto a dieci anni con i Dursley e credo che valgano come tredici anni ad Azkaban. Riesce a condurre una vita normale, per quanto possibile, anche se l’opinione pubblica oscilla tra il considerarlo un eroe predestinato e un pazzo furioso. Ha visto risorgere Voldemort senza dare di matto e questo è molto più di quanto potessimo pretendere da lui. Ha saputo scegliere molto bene i suoi amici, Hermione e Ron sono eccezionali e fuori dal comune quasi quanto lui. Che altro vuoi sapere?

-         Per ora posso ritenermi soddisfatta – rispose Lily concedendo un ampio sorriso.

-         Che fine ha fatto la Mappa del Malandrino? – chiese James ad un tratto.

-         Ce l’ha Harry – rispose Remus con un sorrisetto enigmatico – Gliel’hanno data George e Fred al terzo anno. Una volta Piton gliel’ha trovata nelle tasche. Funziona ancora piuttosto bene, l’ha insultato come non mai quando ha provato ad usarla.

I quattro scoppiarono in una sonora risata, prima di ricordare che era notte inoltrata e il resto degli abitanti della casa stava dormendo profondamente da ore. Era bello stare così a parlare. Sirius avrebbe voluto che non finisse mai. Ma questi momenti erano sempre velati dalla consapevolezza che non sarebbe durata e che prima o dopo avrebbero dovuto di nuovo dirsi addio. Sirius sperava solo, quando il momento sarebbe giunto, di aver trovato la forza sufficiente per andare avanti.

*^*^*^*^*

Sara aprì lentamente gli occhi. La luce del mattino filtrava dalle imposte e illuminava il salotto dell’appartamento. Si era appisolata sul divano, stringendo la fotografia in una mano. Guardò l’orologio: le sei e trenta.

La donna appoggiò la fotografia sul basso tavolino di fronte al divano e si alzò stiracchiandosi. Era ora di tornare al lavoro. Una doccia calda e un cambio d’abiti le diedero nuovo vigore. Una tazza di caffè bollente completò l’opera.

Mentre si dirigeva verso il garage dove aveva parcheggiato la sua auto, pensava a come la sua vita fosse uguale da circa dieci anni. Casa, lavoro, casa. Nulla di più. A volte si stupiva lei stessa del fatto che non si fosse ancora stufata, ma fare l’Auror le piaceva troppo per rinunciarci. Trovava esaltante avere una nuova sfida ad ogni caso, amava poter assicurarsi che giustizia fosse fatta. Almeno nella maggior parte dei casi era così.

Trattare il caso di Sirius con freddezza le costava sempre più sforzo, ma ne poteva valere la pena. La rivelazione della sera prima continuava a ronzarle in testa e non riusciva a trovare una spiegazione: o Black non aveva ucciso Minus (e a pensare questo il suo cuore batteva più forte ogni volta) o Minus non era affatto saltato per aria. E questo era assurdo, se non era saltato per aria che fine aveva fatto? Come spiegare il suo dito mozzato?

Il traffico del mattino era congestionato come ogni giorno. Per andare in giro in auto Londra era sicuramente meglio di notte. Per fortuna Sara conosceva il meccanico del Ministero, colui che curava le auto ministeriali, ed era riuscita a convincerlo ad apportare alcune modifiche alla sua macchina, in modo che riuscisse a districarsi rapidamente dagli ingorghi. Nonostante abitasse piuttosto lontano, la donna raggiunse il Ministero in un quarto d’ora.

Era ancora presto, ma il Ministero era già pieno di maghi che andavano e venivano. In quel periodo tutti erano carichi di lavoro extra. Quando raggiunse il Dipartimento, Sara si diresse per prima cosa verso il cubicolo di Frank, ma il ragazzo non era ancora arrivato, d’altronde era stata lei a dirgli di arrivare più tardi.

Sara era impaziente di effettuare la seconda simulazione che si era prefissa, voleva far saltare in aria una delle due mani finte che avevano acquistato il giorno precedente mentre con l’altra aveva intenzione di tagliare con un incantesimo soltanto il dito indice. Certo il confronto con le foto poteva essere ritenuto discutibile in tribunale, ma valeva la pena tentare.

Per fare questo però aveva bisogno di un testimone, doveva aspettare Frank.

Mentre aspettava, estrasse il fascicolo in cui erano raccolte le fotografie della scena del delitto. C’era una foto del punto in cui si trovava Black, ritraeva uno scorcio di strada quasi del tutto immobile, se non fosse stato per qualche foglia secca che svolazzava in secondo piano. La seconda foto invece ritraeva il punto in cui si trovava Minus, lì c’era una chiazza di sangue attorno al dito mozzato e alcune gocce di sangue più piccole che sembravano allontanarsi dalla chiazza più grande. Avevano una strana forma, vagamente allungata, ma Sara non avrebbe saputo identificarla meglio. Le piccole gocce di sangue proseguivano sull’asfalto fino a perdersi nei pressi di un tombino.

La donna mise da parte la fotografia e guardò l’orologio, erano quasi le otto, Parker sarebbe arrivato  a momenti. Aprì il primo cassetto della scrivania e estrasse un posacenere e un pacchetto di sigarette aperto, ne estrasse una e se la portò alla bocca. Mentre sollevava la bacchetta per accendere la sigaretta lo sguardo si posò nuovamente sulla fotografia. Sara, per un attimo, fissò intensamente l’immagine poi si riscosse e la sigaretta quasi le cadde dalle labbra. Come aveva potuto essere così cieca?

Estrasse in fretta e furia le fotografie che lei e Parker avevano scattato durante la simulazione e trovò quello che cercava: la foto che ritraeva la zona in cui avevano sistemato il manichino. Il pavimento della stanza era coperto da un lago di vernice rossa, gli schizzi erano arrivati addirittura alla parete della sala che si trovava a parecchi metri di distanza. Nulla a che fare con l’esigua chiazza di sangue della foto della scena del crimine.

Questo avallava sicuramente la tesi secondo cui Minus non era saltato in aria. Non poteva essere che così, a meno che qualcuno non si fosse preso la briga di ripulire la scena prima dell’arrivo dei soccorritori, ma la cosa pareva poco probabile. Se così fosse stato perché lasciare quelle macchie? Non avrebbe avuto senso.

Ma se Minus non era saltato per aria, com’era morto, dove era finito il suo corpo?

Era morto davvero?

Il cuore di Sara le martellava in petto. Se Minus non era morto allora… non aveva neppure il coraggio di pensarlo.

In quel momento Frank entrò nell’ufficio, ignaro delle ultime rivelazioni, salutò allegramente:

-         Ciao Capo! – poi quando vide la faccia sconvolta di Sara chiese – Tutto bene?

La donna non rispose, deglutì ripetutamente e si limitò a guardarlo con gli occhi sgranati indicando le fotografie sparse davanti a lei. Impiegò qualche istante a riorganizzare le idee e a riprendere una salivazione che le consentisse di spiegare. Quando cominciò a parlare, Parker la ascoltò con estrema attenzione restando anche lui sconcertato dalla conferma dei loro sospetti.

Il ragazzo esitò un po’ prima di parlare a sua volta:

-         Sara… ma tu credi… insomma pensi che sia possibile… che… sì, insomma… che Black possa essere… possa essere innocente?

La risposta di Sara cercò di essere il più possibile cauta, ma non poté esimersi dal rispondere:

-         Alla luce di tutto questo… potrebbe… anche essere…

-         E adesso che facciamo?

-         Non siamo precipitosi. Ci sono ancora un sacco di domande senza risposta. Andiamo avanti come avevamo programmato. Innanzitutto facciamo la prova delle mani.

Sara e Frank andarono nuovamente nei sotterranei armati di mani finte, vernice rossa e tutto l’occorrente. Scrissero l’ennesima relazione e scattarono foto su foto, dopo di che procedettero: fecero saltare in aria una delle due mani finte con lo stesso incantesimo della sera precedente. Ne restò veramente poco, niente più di una poltiglia indistinta con qualche brandello più grande. Con la seconda mano invece, Sara eseguì un incantesimo di taglio, il più semplice che conoscesse, indirizzando la bacchetta alla base del dito indice. Il dito si staccò in modo netto, senza arrecare altri danni alla mano.

Frank cercò tra le foto della scena del delitto e trovò quella che riportava il dito di Minus, il tipo di taglio, netto, preciso, quasi chirurgico, era simile in modo quasi inquietante.

-         Questo cosa può significare? – chiese Parker.

Erano seduti al tavolo, nella sala dei sotterranei dove avevano lavorato la sera prima. Sara rifletteva intensamente, gli occhi che saettavano tra i documenti e le fotografie. Possibile che nessuno si fosse accorto di queste incongruenze? Oppure si stava ingannando clamorosamente?

-         Ho solo una vaga idea di quello che potrebbe significare. Ci mancano troppi elementi, procediamo con ordine – propose Sara -  C’è una cosa che non sai – aggiunse poi cautamente - ma mi raccomando, è la più confidenziale tra tutte le informazioni che ti ho detto – rilfettè ancora un attimo, poi si risolse a parlare – Sirius Black era il Custode Segreto dei Potter.

-         Che cosa?!?! – strillò Frank.

-         Shhh! Vuoi farti sentire da tutto il Ministero – sibilò Sara inferocita – Sì, è così. James Potter e Sirius Black erano grandi amici e Black era il loro Custode Segreto. Anche Minus era un amico dei Potter. Fino ad ora si è sempre pensato che Black avesse tradito i Potter, consegnandoli a Voldemort e che Minus, a conoscenza dell’Incanto Fidelius, fosse andato in cerca di Black per vendicarli. Ma da quello che abbiamo trovato si direbbe che Minus non sia affatto morto. Non in quel momento almeno. Dov’è il corpo? E il sangue?

-         Tu come le sai queste cose? – chiese Frank impressionato e perplesso al tempo stesso.

-         Non ti preoccupare, ho le mie fonti. Tu che ne pensi?

-         Penso che il dito sembra stato messo lì apposta per farci credere che Black abbia ucciso Minus. Però non capisco… se Black era il Custode Segreto dei Potter e se non ha ucciso Minus, significa che non è stato lui a consegnarli a Voldemort. Ma allora chi è stato? Come può qualcuno aver aggirato l’Incanto Fidelius? E Minus che fine ha fatto?

-         Questo non lo so, ma prova ad immaginare la scena. E’ notte, i Potter sono appena stati assassinati da Voldemort e il piccolo Harry ha appena compiuto il miracolo di respingere la Maledizione Senza Perdono. Supponiamo che Black non li abbia consegnati a Voldemort, però ha saputo che è successo qualcosa ed è andato a Godric’s Hollow a controllare. Cosa può aver trovato?

-         La casa distrutta, i suoi amici morti – proseguì Frank – Doveva essere sconvolto. Ma Minus come entra in questa storia?

-         Anche lui è amico dei Potter, forse è lì anche lui per vedere se può fare qualcosa. E’ a conoscenza dell’Incanto Fidelius, è convinto che Black li abbia traditi e vuole vendicarli.

-         Ma allora le cose sarebbero andate come abbiamo sempre pensato e Minus sarebbe morto davvero. Potrebbe aver finto la sua morte per fuggire, perché era spaventato? – suggerì Parker.

-         Potrebbe essere, ma la cosa non mi convince – rispose Sara scettica – Se fosse stato per paura perché restare nascosto? Una volta arrestato Black il pericolo per lui non sussisteva più. No, ci deve essere qualcos’altro.

-         Se i Potter erano protetti da un Custode Segreto e Black non li ha consegnati deve averlo fatto qualcun altro. Ma chi? Nessuno a parte il Custode designato poteva rivelare il luogo in cui erano nascosti. A meno che…

-         A meno che non fosse Black il Custode – completò Sara.

-         Pensi che avrebbe potuto essere Minus? – chiese Frank perplesso.

-         Era un amico dei Potter anche lui…

-         Ma la tua “fonte” ti ha detto che il Custode era Black – replicò Parker con una punta di sarcasmo – A proposito, posso sapere di chi si tratta?

-         No.

-         Ti prego… - cantilenò il ragazzo.

-         Se lo dici a qualcuno ti stermino la famiglia – minacciò la donna.

-         Sarò una tomba, avanti chi è?

-         Silente.

-         Hai parlato con Silente? Quando? Perché non me l’hai detto? – domandò il Parker fingendosi offeso.

-         Ci sono andata qualche giorno fa. Non te l’ho detto perché speravo di non dover usare queste informazioni. D’altra parte Silente conosceva bene i Potter e anche Black. Speravo potesse dirmi qualcosa che non sapevo e così è stato – confessò Sara.

-         Potrebbe essersi sbagliato?

-         Non saprei, i Potter potrebbero aver deciso di cambiare Custode senza dire niente a nessuno per maggiore segretezza. In quegli anni la paura più grande derivava dall’impossibilità di fidarsi di chiunque. Può darsi che avessero deciso di non comunicare a Silente la loro decisione.

-         Se il Custode Segreto dei Potter era Minus allora le parti erano invertite! – esclamò Parker.

-         Proprio così… Minus ha tradito i Potter, Black che sapeva che era lui il nuovo Custode è andato a cercarlo e…

-         E Minus si è finto morto per fuggire – completò il ragazzo.

-         E ha fatto saltare in aria una strada intera per incolpare Black – concluse Sara.

Entrambi rimasero in silenzio per un po’. Sara sentiva questa nuova consapevolezza schiacciarla come se avesse un peso sulle spalle. Era una storia assurda, ma quadrava tutto. Quasi tutto. Prima di potersi fermare a riflettere troppo a lungo, disse:

-         Mi sembra una teoria alquanto campata per aria.

-         Già, non abbiamo uno straccio di prova, se non degli indizi che ci dicono che Minus potrebbe non essere morto come abbiamo sempre creduto.

-         Forse abbiamo lavorato troppo di fantasia.

Sara però non ne era così convinta. L’aveva detto per smorzare gli entusiasmi, per ritornare con i piedi per terra e per farci tornare anche Frank. Questa teoria però aveva un senso. Sirius non avrebbe potuto tradire Lily e James, non avrebbe mai messo in pericolo Harry e in fondo Sara l’aveva sempre saputo.

Di certo Voldemort avrebbe cercato Sirius non Peter. Peter era sempre stato il più debole del gruppo, non era certo un segreto, e Voldemort avrebbe pensato che il Custode fosse Sirius. Potevano aver deciso di scambiare i Custodi all’ultimo momento, senza dirlo neppure a Silente. Avrebbe potuto essere un piano geniale.

Ma Peter avrebbe tradito davvero gli amici che lo avevano protetto per anni a scuola e anche dopo? Forse sì, d’altronde lei stessa aveva appena sostenuto che Peter era debole.

Tutto questo però Frank non lo doveva sapere. Gli aveva rivelato già anche troppo.

-         Ci servono delle prove – disse infine – Che confermino o che smentiscano non importa, ma ci serve qualcosa di concreto su cui lavorare.

-         E dopo quindici anni dove le cerchiamo le prove? – chiese Frank

-         Possiamo cercare di capire che cosa ha spinto Black alla fuga innanzi tutto.

-         E come suggerisci di fare?

-         Un prigioniero come Black, tenuto sotto stretta sorveglianza, non ha molti stimoli esterni. Cerchiamo di capire se ad Azkaban è successo qualcosa nei giorni immediatamente precedenti alla sua evasione, qualcosa che avrebbe potuto spingerlo alla fuga.    


 
Per i lettori: in questa FF mi sono concessa qualche licenza sui tempi, sulla cronologia e, mi dispiace doverlo dire, sulle scienze forensi. Lo so che non si può usare la vernice per simulare il comportamento del sangue, lo so. Concedetemi la licenza letteraria. Buona lettura!

Il deposito dei reperti era piuttosto grande, ma Parker non ebbe grosse difficoltà a trovare quello che cercava e fu abbastanza rapido da incrociare Sara nell'ascensore, di ritorno dalla caffetteria.

- Pensi che ci vorrà così tanto tempo? - domandò Frank preoccupato osservando le mani di Sara, piene di tazze di caffè.

- E' sempre meglio essere previdenti.

La donna preferiva il caffè del bar a quello che poteva preparare lei stessa nel bricco, quindi quando ne aveva la possibilità scendeva a comprarselo. Era anche un modo per prendere qualche minuto d'aria. Nonostante le finestre artificiali,  a volte trovava il Ministero claustrofobico.

Sara era molto impaziente di esaminare il contenuto della scatola, ma attese di aver raccontato a Frank le sue idee prima di aprirla. Quella scatola conteneva gli ultimi oggetti che Sirius Black aveva toccato prima di essere arrestato e questo, in qualche modo, faceva sentire Sara a disagio.

- Sono colpito... – disse Frank dopo che la donna gli ebbe esposto le sue idee -  Il dito, i vestiti... La tua analisi psicologica mi piace. In effetti, se ne aveva la possibilità, perché ha aspettato così tanto tempo per scappare? Qualcosa deve aver fatto scattare una molla nella sua mente...

- Bè, per ora non lo possiamo sapere - lo interruppe Sara cercando di riportarlo su una strada più pratica e meno teorica - Cominciamo da quello che possiamo verificare - disse appoggiando una mano sul coperchio della scatola.

Si alzarono entrambi in piedi, a Sara sembrava di stare per profanare qualcosa che avrebbe dovuto lasciar perdere. Nonostante ciò fece appello alla sua professionalità e scacciò ogni sentimento, pose entrambe le mani sul coperchio e lo sollevò. Dentro la scatola c'erano varie buste, di diverse dimensioni, tutte fatte di una pesante pergamena giallo scuro e chiuse da un sigillo in ceralacca  con lo stemma del Ministero.

I due sgombrarono la scrivania ed estrassero tutte le buste, disponendole ordinatamente davanti a loro. Indossarono dei guanti e cominciarono ad aprire le più piccole.

Parker aprì la prima e ne estrasse un semplice portafogli di pelle nera. Quella tra le mani di Sara conteneva invece qualche soldo, documenti e... una fotografia. La donna la intravide appena, aprendo la busta, ma le bastò per riconoscerla. Era una foto di lei e Sirius insieme. Si affrettò a chiudere la busta decretando che non conteneva nulla di interessante.

Una terza busta conteneva un pacchetto di sigarette pieno a metà e un accendino, un'altra ancora presentava un braccialetto d'oro con una targhetta con su inciso "Sirius Black".

L'ultima busta era quella dei vestiti. Sara e Frank li estrassero uno ad uno, c'era una giacca di pelle nera, un maglione con il collo a dolce vita anch'esso nero, un paio di jeans e un paio di anfibi neri.

- Hmm, nero di nome e di fatto... - commentò Parker guadagnandosi un'occhiataccia da Sara.

- Allora, sul rapporto non si parla di tracce di sangue. Vediamo se si sono dimenticati di scriverlo o se non ci sono proprio.

Sara si curvò sul tavolo per osservare da vicino la giacca, era l'indumento più esterno, quindi in teoria il più esposto agli schizzi di sangue. Mormorò "Lumos" accendendo la punta della sua bacchetta. Illuminò la giacca centimetro per centimetro sotto la luce. Ad occhio nudo non si vedeva niente. Parker intanto stava esaminando allo stesso modo i jeans.

Sara spense la bacchetta e mormorò un altro incantesimo:

- Sanguis revelio - disse facendo scorrere la bacchetta su tutta la giacca.

Le uniche macchie di sangue che si vedevano erano alcune piccole gocce sul bavero destro. La donna ripeté l'operazione anche sul retro ma non evidenziò nulla. Passò a controllare il maglione, ripeté gli stessi esami e in questo caso trovò una sorta di striscia di sangue che partiva da metà fino ad arrivare al bordo, come se alcune gocce fossero colate lungo le fibre.

Frank intanto aveva evidenziato delle piccole colate di sangue anche sulla gamba destra dei jeans.

- Che ne pensi? - chiese Parker

- E' poco. Io non ho mai provato a far saltare per aria una persona ma ritengo che il sangue dovrebbe essere molto di più.

Frank cercò tra i documenti e trovò un foglio su cui erano riportate le misure.

- Qui dice che Black e Minus erano a tre metri circa l'uno dall'altro. Potremmo fare una prova.

- Se hai voglia di imbrattarti di vernice rossa... Non siamo neppure sicuri che questo sangue sia di Minus. Potrebbe essere di Black, d'altra parte hanno duellato.

Sara prese il maglione nero e lo sistemò all'interno della giacca, poi mise i jeans al di sotto del maglione. Le gocce di sangue, che erano rimaste evidenziate dall'incantesimo, formavano una striscia unica.

- Questi sono segni di gocciolamento - commentò Frank osservando con interesse la composizione degli abiti - Sembra che a Black sia sanguinato il naso.

- Oppure un labbro... Forza. Organizziamo una simulazione.

Parker uscì per primo dall'ufficio, Sara stava per seguirlo quando improvvisamente si ricordò della foto. Si bloccò sulla porta, tornò verso la scrivania, estrasse la foto dalla busta e se la mise in tasca senza guardarla.

- Capo? Non vieni? - chiese Parker affacciandosi in ufficio.

- Sì, arrivo.



*^*^*^*^*

Sirius era stufo marcio di restare chiuso a Grimmauld Place. Era sera, Molly e Lily stavano riordinando i piatti della cena, James stava giocando una partita a scacchi con Remus. Sirius prese la decisione all’improvviso, si alzò e si avviò verso l’ingresso della casa ignorando James che gli chiedeva dove stesse andando. Scrisse un frettoloso biglietto che lasciò su una mensola, aprì la porta con la sua bacchetta, quindi si trasformò in cane e uscì chiudendosi la porta alle spalle con una zampata.

Felpato respirò la fresca aria autunnale a pieni polmoni e gli parve che Londra non avesse mai avuto un profumo così buono. Decise di allontanarsi da Grimmauld Place prima che qualcuno si accorgesse che era lì fuori e cercasse di convincerlo a rientrare.

Non aveva una meta, voleva solo fare un giro. Si lasciò guidare dall’istinto e dal fiuto, vagando per le strade di Londra e godendosi appieno quelle poche ore di libertà. Sapeva che quando fosse rientrato si sarebbe preso una lavata di capo da Remus e da Lily. James forse avrebbe capito di più il suo desiderio di evasione, ma loro no. Gli avrebbero detto che era un incosciente, che così rischiava non solo la sua sicurezza ma anche quella dell’Ordine intero, ma in quel momento non era importante. Si sentiva di nuovo vivo, si sentiva come quando ancora era una ragazzo e a Hogwarts sgattaiolava fuori dal dormitorio per andare con i suoi amici a correre nella Foresta Proibita.

Dopo qualche tempo rallentò l’andatura, aveva corso come un pazzo fino a quel momento, ma ora era in una zona più frequentata della città e doveva prestare più attenzione. Si era allontanato parecchio da Grimmauld Place, quasi senza rendersene conto.

Si guardò intorno, era in una strada piuttosto ampia, con negozi di vario genere, ristoranti e caffetterie. Sulla strada principale si aprivano alcune vie secondarie e qualche vicolo cieco. Sirius si infilò in un vicolo particolarmente malconcio e buio per riprendere fiato e riflettere con calma sulla strada da percorrere per rincasare. Si rintanò nell’angolo più scuro e fu allora che si accorse che stava accadendo qualcosa.

A metà del vicolo c’era una cabina telefonica con i vetri rotti e coperta dai grafiti. Sirius la osservò attentamente e ad un certo punto vide un lieve luccichio magico all’interno di essa. Due figure sembravano emergere dal pavimento della cabina, erano chiaramente un uomo e una donna.

I due uscirono dalla cabina e, quando passarono sotto la fioca luce dell’unico lampione sopravvissuto, il cuore di Sirius mancò un colpo.

L’avrebbe riconosciuta d’ovunque, era Sara.

Sara e l’uomo si avviarono per il vicolo e Sirius rimase immobile ad osservarli. Era bella come se la ricordava, anzi era ancora più bella di quando aveva sedici anni. Sirius si sorprese a pensare quanto fosse diventata donna, d’altronde erano passati quindici anni, cosa si aspettava? Chissà chi era quello con lei, forse era un collega, magari era il suo fidanzato.

Quando furono al termine del vicolo Sirius si arrischiò ad avanzare di qualche passo. Il desiderio di avvicinarla, di toccarla, di guardarla negli occhi era insopportabile. Solo la sorpresa di trovarsela davanti così all’improvviso lo trattenne dal fare qualcosa di molto avventato.

Felpato vide che l’uomo era più giovane di Sara, aveva ancora l’aria del ragazzino. Lui disse qualcosa e Sara rise di gusto, inclinando la testa all’indietro.

Nel vedere quella scena Sirius provò una terribile fitta al petto. Anche lui un tempo l’aveva fatta ridere a quel modo. Sara e il ragazzo si allontanarono attraversando la strada e Sirius uscì dal vicolo prendendo la via di casa.

*^*^*^*^*

Era sera, Sara e Frank avevano impiegato tutto il giorno a preparare la simulazione. Avevano dovuto chiedere il permesso di utilizzare una delle stanze delle vecchie prigioni, cosa che aveva richiesto la compilazione di un mucchio di documenti, quali dichiarazioni di responsabilità e cose del genere. Poi avevano dovuto procurarsi il materiale adatto, cosa non facile visto che avevano bisogno un manichino di forma umana, sangue finto e cose simili. Per fortuna Sara conosceva alcuni negozi babbani che vendevano, maschere, costumi, scherzi per carnevale e che si rivelarono molto utili. In uno di essi trovarono un macabro manichino che rappresentava un cadavere, sembrava vero, il peso e la struttura umana erano molto ben riprodotte. In un altro negozio invece acquistarono due mani finte che Sara aveva intenzione di utilizzare per un’altra prova. Per il sangue acquistarono alcuni litri di vernice rossa.

Tornati al Ministero si era trattato di allestire la simulazione, sostenendo il manichino in modo che stesse in piedi e iniettando al suo interno sei litri di vernice rossa. Avevano dovuto lanciare incantesimi protettivi e rinforzanti ai mobili e alle pareti per non distruggere ogni cosa. Infine avevano dovuto descrivere tutto minuziosamente in una relazione e scattare numerose fotografie.

A fine giornata erano esausti, ma non avevano intenzione di rimandare la simulazione al giorno seguente. Prima di procedere però si concessero una pausa e uscirono per andare da Lucilla a mangiare qualcosa.

Passarono dall’Atrium e uscirono in strada attraverso la cabina telefonica. Mentre camminavano Frank disse:

-          Pensa alla faccia di Caramell se sapesse cosa stiamo facendo. Gli verrebbe un colpo a pensare che stiamo mettendo in discussione un caso chiuso quindici anni fa.

Sara rise al pensiero della faccia paonazza di Caramell e pensò che sarebbe stata una grossa soddisfazione trovare la soluzione a tutti gli interrogativi di questo caso.

Quando arrivarono il locale di Lucilla era piuttosto affollato. Lo era sempre, soprattutto quando fuori faceva così freddo. Era uno dei pochi locali magici in zona e molti vi si ritrovavano per bere qualcosa o anche solo fare quattro chiacchiere.

-          Buonasera! – salutò Lucilla con un grosso sorriso.

-          Vorremmo mangiare qualcosa, è possibile? – chiese Frank con un sorriso altrettanto largo. Al ragazzo piaceva farsi viziare da Lucilla, era un po’ come una zia.

-          Prego accomodatevi!

Frank e Sara si addentrarono tra i tavoli finché non trovarono un  tavolo libero accanto a una parete. Non appena si furono seduti Lucilla andò a prendere le ordinazioni.

-          Cosa vi porto ragazzi?

-          Quello che vuoi tu – disse Sara – Ho piena fiducia nelle tue doti di cuoca.

-          Se si fida lei non posso che fidarmi anch’io – replicò Frank.

Lucilla si allontanò e Frank si abbandonò contro lo schienale della sedia di legno.

-          Allora… dimmi la verità… pensi che abbiano sbagliato?

-          Di cosa parli? – chiese Sara guardando il ragazzo con le sopraciglia sollevate.

-          Andiamo Sara sono sei anni almeno che lavoriamo insieme, credo di conoscerti un po’, se stai facendo tutte queste prove è perché non sei convinta delle conclusioni che sono state tratte.

Sara non era colpita dalla perspicacia di Frank. L’aveva scelto per collaborare a quell’incarico anche per questa sua qualità, ma ora si domandava se non avesse intuito troppo del suo coinvolgimento. Prima o poi avrebbe dovuto raccontargli la verità.

-          Bè… . rispose cautamente - Ci sono dei punti che non mi sono chiari e, come tu ben sai, le cose poco chiare non mi piacciono.

Prima di riprendere a parlare Frank prese un respiro più profondo degli altri e abbassò la voce in modo che nessun’altro nel locale potesse sentire.

-          Quello che sto cercando di chiederti è: tu pensi che Black possa essere innocente?

Sara ebbe un attimo di smarrimento, non sapeva neppure lei che cosa pensava. Cercava di pensare il meno possibile e essere obiettiva al massimo, perché avrebbe desiderato con tutto il cuore che Sirius fosse innocente ma se avesse sperato questo avrebbe finito per distorcere le prove per avallare questa tesi.

Per un attimo fu sul punto di raccontare tutta la storia a Frank, ma poi si trattene e rispose più semplicemente:

-          A questo stadio delle cose non penso né che sia colpevole né che sia innocente. O almeno ci provo. Dobbiamo cercare di guardare il quadro generale con distacco senza farci influenzare da quello che è già stato detto e fatto. Fingi che sia un caso come un altro, in cui non c’è ancora nessun colpevole dietro le sbarre.

-          D’accordo. Però tu non me la racconti giusta.

In quel momento Lucilla arrivò con due piatti stracolmi di una deliziosa pasta al forno e le loro bocche furono del tutto assorbite dal cibo. Sara si compiacque tra sé, Frank stava diventando un ottimo Auror, esattamente l’Auror che lei avrebbe voluto prendesse il suo posto se le fosse successo qualcosa. Non si illudeva di scamparla ancora lungo, i Mangiamorte le avevano già rivoltato la casa come un calzino un paio di volte lasciandole simpatici messaggi di morte, indagava sempre sui casi più spinosi, non ultima l’evasione dei dieci Mangiamorte. Avevano tutto l’interesse a toglierla di mezzo.

Quando ebbero finito la cena, pagarono e tornarono in ufficio. Il sotterraneo che una volta serviva da prigione era buio e freddo, ricordava un po’ il sotterraneo di Hogwarts, ma se possibile era ancora più triste.

-          Allora, pronto? – domandò Sara a Parker mentre si sfilava la giacca e la appendeva ad una parete.

-          Certo!

Erano in una stanza piuttosto grande che era servita un tempo come aula di tribunale secondario, al centro era sistemato il manichino che avevano riempito di vernice rossa, sostenuto in piedi da un incantesimo.

-          Ricontrolliamo le condizioni – disse Sara.

-          Allora, il rapporto dice che Black era a circa tre metri da Minus – disse Frank.

Presero un metro a nastro e misurarono tre metri sul pavimento. Nel punto giusto sistemarono uno sgabello.

-          Poi dice che Black è alto un metro e ottantanove centimetri – continuò Parker

-          Quindi ventidue centimetri in più di me – constatò Sara misurando l’altezza dello sgabello – Questo è troppo alto.

La donna fece un segno sulle gambe dello sgabello che indicava i ventidue centimetri, quindi, con un colpo secco di bacchetta tranciò il legno abbassandolo alla misura giusta.

-          Direi che non c’è altro – concluse Frank.

-          Allora possiamo procedere.

Sara e Parker indossarono due tute di tessuto bianco che li coprivano dalla testa ai piedi, quindi Sara salì sullo sgabello e puntò la bacchetta verso il petto del manichino. Parker scattò una foto della donna in posizione, quindi si allontanò di qualche passo.

-          Pronto? – domandò la donna.

-          Quando vuoi…

Sara si concentrò, prese un respiro profondo, quindi scagliò lo stesso incantesimo con cui Black aveva fatto saltare in aria una strada. La stanza si riempì di un’abbagliante luce gialla, il pavimento e le pareti tremarono, si sentì un boato assordante e una forte esplosione.

Poi la quiete. La stanza era piena di fumo denso e scuro.

Frank era stato sbalzato contro la parete dalla violenza del colpo. Per prima cosa andò ad aprire la porta per far uscire il fumo, quindi si avvicinò a Sara che stava distesa a terra anch’essa sbalzata dal suo stesso incantesimo.

-          Caspita! – le disse.

-          Caspita – ripeté lei rialzandosi in piedi – Guardami! Ti pare che i miei vestiti siano nelle stesse condizioni di quelli di Black?

-          Ehm, no – rispose Frank osservando il suo capo imbrattato da capo a piedi di vernice rossa.

Parker prese la macchina fotografica che aveva appesa al collo e scattò varie foto a Sara, davanti, dietro, di lato, poi passò a fotografare la scena. Il manichino era ridotto a una poltiglia piuttosto indistinta. Tutto intorno a quello che era stato il fantoccio c’era letteralmente un lago di vernice vermiglia.

Sara e Frank registrarono ogni cosa, fotografarono, scrissero la relazione più minuziosamente possibile e conservarono tutto quello che avevano utilizzato in buste sigillate e catalogate, non volevano che la simulazione fosse annullata in tribunale. Poi riordinarono il sotterraneo e si sedettero al tavolo che c’era contro una parete.

Era circa l’una di notte.

Sara prese dalla borsa il suo pacchetto di sigarette e ne accese una.

-          Ci voleva una sigaretta – commentò mentre espirava la prima boccata.

-          Se lo dici tu… - Parker disapprovava il vizio di Sara - Dunque, cosa abbiamo concluso? – chiese cambiando discorso.

-          Abbiamo concluso che sui vestiti di Black c’è troppo poco sangue. E questo significa che o non è stato Black a far saltare per aria Minus…

-          …o Minus non è affatto saltato in aria.

*^*^*^*^*

Quando Sirius rientrò a Grimmauld Place trovò, come aveva previsto, Lily e Remus in allarme. Quello che non aveva previsto era l’assalto della signora Weasley e di suo marito. Appena entrato nella cucina fu assalito da tutti quanti che si misero a strillare contemporaneamente.

-          Basta! – urlò ad un tratto – Lo so, sono stato un pazzo, un incosciente, sono stato irriguardoso, irresponsabile e tutto il resto. Non c’è bisogno che mi facciate la predica.

Detto questo sparì nella sua stanza e si sedette sul davanzale della finestra, come faceva anche da ragazzo quando voleva riflettere su qualcosa.

Vedere Sara era quello che desiderava di più da quando era evaso, ma ora che l’aveva vista non sapeva neppure cosa provava. Era stato insieme bellissimo e terribile averla lì a un passo e non poterle parlare, non poterla toccare, abbracciare. Le era sembrata tranquilla, serena, neanche lontanamente sconvolta quanto lo era lui.

Forse era uno sciocco, un illuso. Non doveva farsi speranze che sarebbero state senza dubbio disattese. Sara aveva la sua vita e lui non c’entrava più nulla.   





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